Democrazia e Istituzioni

Summa cum laude

Vincenzo Ortolina

Agosto 2010

Il candidato del ministro Gelmini a una laurea honoris causa in “Comunicazione”, il ministro Umberto Bossi, ha definito “scemo e ignorante” l’autore dell’articolo di Famiglia Cristiana (ultimo numero) sulla classe politica italiana. Un comportamento da “lode”, per un …laureando! Un altro ministro, Gianfranco Rotondi, quello che ha recentemente celebrato i suoi splendidi 50 anni, a Villa Aurelia, un po’ nello stile berlusconiano (perlomeno quanto a “fasto”), ha difeso il “premier”, definendolo “cattolico non di sinistra”, e per questo, è sottinteso, inviso ai cattocomunisti. Cattolico sì, forse, il “premier”, ma con qualche Comunione di troppo, stante la sua situazione familiare, come abbiamo appreso a suo tempo dai “media”. Ma il commento più singolare, diciamo così, al “fondo” del settimanale dei Paolini, a me è parso quello di monsignor Luigi Negri, vescovo notoriamente “superciellino” di San Marino-Montefeltro. Il quale, intervistato dal “Corriere della sera” in un articoletto che affianca quello di commento al “pezzo” in questione, risponde insinuando innanzitutto, piuttosto convenzionalmente (detto senza offesa), che “il giustizialismo delle denunce della stampa cattolica …. serve solo a far vendere qualche copia in più …..”. Oddio, l’editoriale della nota rivista è assai pungente (come altre volte, peraltro), e, forse, come dice Rosy Bindi, sarebbe stato giusto che nello stesso fosse precisato meglio che non tutti, in politica, vanno posti sullo stesso piano, accomunati, cioè, in un giudizio generalmente e irreparabilmente negativo. A me viene in ogni caso da considerare, con il massimo rispetto, che, se per Sua Eccellenza (come ha ulteriormente affermato) denunce di tale natura non fanno fare “nessun passo in avanti alla società e al Paese, e non costruiscono”, anche il suo invito - espresso nel classico e tipico linguaggio di “Comunione e Liberazione”- a creare “una cultura diversa, che nasca dall’educazione” e “da una nuova vita”, finisce col lasciare, come si suol dire, il tempo che trova, stante la situazione, e l’urgenza dei tempi. Glielo accenna la stessa intervistatrice, ma monsignore replica affermando di considerare tale obiezione “banale”! Il prelato, citando addirittura Gesù Cristo, mette infine in guardia tutti dal dare retta a quei “farisei che gridano allo scandalo e magari hanno da farsi perdonare colpe più grandi di altri”. Un riferimento, credo, che risulterà molto gradito, oltre alla platea ciellina, anche a quegli “atei devoti” (l’intellettuale organico al centrodestra Giuliano Ferrara su tutti) i quali sbraitano, giusto in questi giorni, contro certo “moralismo immorale”. In conclusione, a me pare di poter affermare che don Sciortino (direttore di Famiglia Cristiana) da una parte, e mons. Negri dall’altra, nella vicenda, sintetizzano bene i diversi “umori” di quel mondo cattolico che s’interessa alla politica: il primo ne incarna, in un certo qual modo, la componente “democratica”, il secondo, quella cosiddetta “moderata” (pur se il fenomeno CL ha una sua assoluta peculiarità), che si è sostanzialmente trovata a suo pieno agio, in tutti i questi anni, nel sistema di potere berlusconiano (dal quale ha tratto e trae benefici), nonostante, detto naturalmente “moraleggiando”, il basso livello del suo standard etico. Temo, però, che, ormai, la maggioranza dei “cattolici” non stia né sull’uno né sull’altro dei due fronti.

 

 

Pretoriani in affanno

Una nota di Vincenzo Ortolina

 

Vincenzo Ortolina

già presidente del Consiglio Provinciale di Milano

8 agosto 2010

I “pretoriani” di Berlusconi, quelli che “Famiglia Cristiana”, giustamente, ha definito “semplici esecutori dei voleri del capo”, del “dominus assoluto” del PdL, sono in affanno, e vanno gridando ai quattro venti (cito, per tutti, il proclama sul “Corriere” di uno di questi, il ministro Frattini) che sarebbe “golpismo politico” se i “finiani” cambiassero alleato. E’ comprensibile: avendo consapevolmente deciso di annullare, in qualche misura, la propria identità, riversandola in quella del proprio “leader carismatico”, dal quale peraltro ricevono ininterrottamente favori, una crisi irreversibile del berlusconismo li schianterebbe. Le affermazioni dello stesso “scudiero” leghista del premier sulla “sacralità” dell’alleanza tra PdL e Lega, che sarebbe tale semplicemente perché votata dagli elettori, sono un’evidente forzatura: in politica non v’è nulla di sacro (per fortuna) e di immodificabile, e Bossi dovrebbe incominciare a rendersi conto che, in realtà, parte dei suoi elettori, votando Lega Nord, non avevano e non hanno intenzione di legarsi mani e piedi ai destini dell’uomo di Arcore (e di Macherio), che non hanno mai amato. In realtà, il “gruppo Fini” persiste nel dichiarare (obbligatoriamente, direi, in questa fase) che non intende “rompere” sul programma della coalizione, ma che si riserva di assumere una posizione critica sui punti non negoziati a suo tempo. Che riguardano prevalentemente, vedi il caso, le questioni “personali” del Capo, e dunque, tanto per cambiare, le ulteriori leggi “ad personam” sul tappeto, e i temi (in qualche misura collegati) della giustizia e della legalità. E’ una situazione, peraltro, che evidentemente non reggerà, per cui si arriverà presto, come molti pensano, allo “showdown” definitivo. Perché, in realtà, la questione è più di fondo: come traspare dalla lettura del mensile “Caffeina”, vicino a questa “nuova” destra, i “finiani”, i quali vogliono ancora “fare politica”, e non appartenere a una formazione che sia semplicemente “di contorno” al leader, hanno definitivamente sperimentato, com’è stato rilevato, “di che pasta è davvero fatto Berlusconi”, e che cos’è l’Italia berlusconiana. “La peggiore delle Italie che ho visto”, scrisse a suo tempo in argomento, ci ricorda “Repubblica” in questi giorni, il grande Indro Montanelli. Cioè, un giornalista (e non solo) davvero liberale, al cui confronto impallidiscono gli attuali opinionisti politici sedicenti tali (oltre che “moderati”), che nulla hanno mai scritto, nei loro editoriali, per contrastare davvero questo fenomeno. Che “sta distruggendo la nostra democrazia”, ha detto bene Enrico Letta, lui sì indiscutibilmente un moderato, nonostante tale affermazione. L’Italia berlusconiana, che governa ormai, con qualche interruzione, da un quindicennio, è la stessa nella quale, ribadisce il settimanale cattolico, l’evasione fiscale sottrae all’erario (in un crescendo indubitabile nonostante i proclami sui “ricuperi”) miliardi e miliardi di euro. D'altronde, per il premier si tratta di un fenomeno comprensibile e giustificabile. E quindi, con le “finanziarie” tremontiane, per contrastarlo, il suo governo abbozza sempre azioni di dubbia efficacia. Un’Italia nella quale, altresì, l’attività delle mafie (che non sono un “teorema” dei giudici “politicizzati”) produce altrettanti miliardi e miliardi di fatturato, e la corruzione ne brucia decine e decine. Ma “questo è il governo che più degli altri ha contrastato mafia,’ndrangheta e criminalità”, proclamano quotidianamente, un po’ “smarroneggiando” (l’allusione è al nome del ministro degli interni), il capo dell’esecutivo e i suoi corifei. Verrebbe da replicare che il tutto avviene grazie alla magistratura e alle varie polizie, e ...nonostante il governo! La stessa rivista sintetizza poi più complessivamente la situazione del nostro paese parlando di “impotenza morale” e di “disastro etico”, di fronte al quale si registra una rassegnazione generale, una mancata indignazione da parte di un’opinione pubblica del resto piuttosto narcotizzata dai “media” del padrone di Mediaset, e non solo, aggiungo io. Gli attuali possessori della “golden share” cattolica del “sistema” berlusconiano, i “ciellini” alla Lupi e ... Compagnia (delle “opere”, s’intende), che da tale sistema traggono indubbi benefici, s’indignano contro il giornale  dei “Paolini”, così come s’indigna qualche altro ministro cattolico (magari di quelli capaci di organizzare, per il proprio compleanno, feste giusto in stile paraberlusconiano, perlomeno quanto a”sfarzo”). La realtà, però, è questa, come ha compreso lo stesso Casini, che pure ha sostenuto per anni, rendendone purtroppo più “densa” la caratura filo clericale e pseudo cattolica, quel “sistema”. Viva Fini, perciò, e viva Casini. Anche se il quadro che si sta prospettando crea, paradossalmente, ansia nello stesso Partito democratico. In proposito, sul da farsi, a me, che pure, alle primarie, non ho votato per l’attuale segretario, convince in buona misura la posizione del già citato vice di Bersani, quale è apparsa ultimamente sulla stampa. L’obiettivo finale del premier è di arrivare al Quirinale. Una prospettiva che dovrebbe allarmare gli stessi “moderati” del centrodestra, perché sarebbe irresponsabile spedire al vertice dello Stato il personaggio decisamente meno adatto a rappresentare il punto di equilibrio tra le  diverse (e contrapposte) pulsioni politiche del paese. E che occorre fare perciò l’impossibile (continuo il ragionamento di Letta) affinché non si avveri.  Urge, pertanto, lavorare per un’alleanza la più ampia possibile, che comprenda inevitabilmente, oltre al PD (e alla sinistra “responsabile”), Fini e Casini, ma anche Di Pietro. I “neocentristi”, infatti, collegandosi in qualche modo col Presidente della Camera, non potranno che sponsorizzare la linea della “legalità”. E allora dovranno accettare il capo dell’IDV, imponendogli eventualmente di rendere meno “rozzo” il suo “giustizialismo”. Quest’ultimo, per parte sua, se davvero vuole la sconfitta di Berlusconi, non potrà avere preclusioni sui primi. Se l’attuale governo va in crisi, precisa meglio il vicesegretario democratico, e io convengo, prima di andare a votare, qualunque cosa dicano i “berluscones” (che prenderanno di mira, allora, il Presidente della Repubblica, sperabilmente non con i toni “squadristi” del Feltri di oggi), è necessario provare con forza a dar vita a un esecutivo di transizione, che approvi, innanzitutto, una nuova legge elettorale. Che cancelli la “porcata”. Una scelta che incontrerebbe il favore dell’opinione pubblica, recando un certo vantaggio all’attuale opposizione. Personalmente sono per il ritorno ai collegi uninominali, di dimensioni medio-piccole (e all’obbligo delle “primarie”, nel PD), ma è ovvio che bisognerà capire quale può essere la soluzione che mette d’accordo gli “alleati”. Impresa ardua, indubbiamente. Il nuovo esecutivo dovrebbe occuparsi altresì  di poche altre questioni importanti e urgenti (questa, però, sa di “mission impossibile”, nella situazione che si prospetta), e portarci, poi, alle elezioni generali. Che si terrebbero dunque tra qualche mese. Resta ovviamente aperto il problema del candidato premier di questa “alleanza”. Ho la netta impressione, in proposito, che sia meglio cercare un nome in qualche misura “nuovo”, gradito al “Nord”, vivace ma non eccessivamente “estroverso”. ... Fate voi i nomi.

 

 

Evitare la teologizzazione della politica e l`ideologizzazione della religione

Mentre la discussione nazionale verte solo sul tema del federalismo, dimenticandosi della crisi, del lavoro e della famiglia, si crea uno spazio vuoto di incertezza.
Un effetto di questo status incerto è l’assenza di strumenti idonei, un’assenza alla quale la Chiesa, nella sua universalità, partendo dalla politica “locale”, vuole cominciare a porre rimedio per tutti quei cattolici che hanno voglia di rilancio.
La politica va guidata dalla ragione e dalle virtù naturali della prudenza, della temperanza, della giustizia e della fortezza. Partendo da questo inciso, l’impegno attivo dei cattolici in politica richiede di evitare due pericoli: la “teologizzazione” della politica e “l’ideologizzazione” della religione.

Leggi tutto: I CATTOLICI ESPLORINO NUOVE VIE DEMOCRATICHE.

Introduzione ai problemi della laicità

Relazione introduttiva tenuta al Convegno dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti su “Problemi pratici della laicità agli inizi del secolo XXI”

Leopoldo Elia

26-27 settembre 2007

Questo tema è stato finora trattato soprattutto dagli studiosi di diritto ecclesiastico che, insieme ad alcuni civilisti (diritto di famiglia), hanno fornito contributi di alto livello specialmente a proposito del rapporto tra lo Stato e le Chiese, con particolare riguardo alla Chiesa cattolica. Peraltro non sono mancati giovani costituzionalisti nelle Università di Napoli, di Torino, di Ferrara, di Milano e di Teramo' che hanno affrontato questioni di bioetica e di biopolitica: ma questo convegno è anche l'occasione per sollecitare costituzionalisti di altre Università (e di più lunga esperienza) ad instaurare un dibattito di cui si sente l'urgente necessità. Infatti presto o tardi la Corte costituzionale dovrà affrontare questioni nuove in queste materie e non solo in sede di giudizi di ammissibilità di referendum abrogativi. C'è dunque bisogno di sviluppi dottrinali che costruiscano linee di argomentazione direttamente riferibili a principi e a norme costituzionali: non certamente per sostituirsi all'opera interpretativa della Corte, ma soprattutto per adeguare alle discussioni svoltesi in altri paesi, e particolarmente in Germania, le condizioni del nostro dialogo scientifico su questo arduo terreno. ...

Vedi articolo: Introduzione ai problemi della laicità

Un ricordo di Leopoldo Elia

Scompare un grande Maestro, ma non il suo insegnamento

Gian Candido De Martin

Ottobre 2008

Ci ha lasciato d’improvviso un grande Maestro, un Uomo di Stato, un autentico cattolico democratico. La scomparsa repentina di Leopoldo Elia, impegnato fino all’ultimo nell’elaborazione di analisi e indicazioni sui tanti problemi delle nostre istituzioni e di una democrazia in declino e a rischio, è davvero un vuoto immenso e incommensurabile, specie per i tanti che hanno avuto la fortuna, come il sottoscritto, di conoscerlo da vicino, potendone apprezzare la straordinaria statura culturale, la profonda dottrina giuridica e la limpida coscienza di democratico al servizio delle istituzioni della Repubblica: doti che si accoppiavano felicemente ad un tratto umano di genuina semplicità e gentilezza, sostenuto da elevatissimi valori morali, frutto anche della fede e della spiritualità di un cristiano responsabile (come ha sottolineato il celebrante al suo funerale).

Leopoldo Elia è stato anzitutto un Maestro, certo anzitutto nel campo del diritto pubblico e costituzionale, laddove è stato ben presto riconosciuto come un punto di riferimento al massimo livello per i suoi studi sulle forme di governo e sulla continuità degli organi costituzionali, ma anche per la sua eccezionale capacità di coniugare l’approfondimento dei principi del sistema repubblicano con osservazioni,sempre acute e puntuali, sull’esperienza vivente delle istituzioni, con una sensibilità affinata spesso dall’essere stato protagonista diretto in organi costituzionali, talora con responsabilità di vertice esercitate con proverbiale equilibrio.

Ma è stato anche – a tutto tondo – un Maestro di vita e di impegno civile, per la sua lezione di dedizione generosa e qualificata alle questioni più e complesse e determinanti della convivenza nella società contemporanea, alle prese con i nodi di una crescente secolarizzazione,talora di nuovi fondamentalismi e comunque di un pluralismo politico e culturale, che richiede costante capacità di ascolto e di dialogo: doti che Leopoldo Elia ha sempre avuto in massimo grado, senza con ciò rinunciare a far valere le sue convinzioni, che anzi cercava di sostenere con determinazione, specie quando erano in gioco principi e valori di sistema.

Un Maestro di democrazia e di cittadinanza attiva, si potrebbe dire, capace di spendersi con esemplare disponibilità, ma anche con attenzione curiosa alle novità, sia nelle sedi istituzionali e politiche più prestigiose (dalla Corte costituzionale al Parlamento), sia negli incontri con semplici cittadini o nelle iniziative di riflessione più informali, dove però si dibattevano questioni legate alle riforme necessarie per migliorare la vita e la funzionalità del sistema democratico. In tal senso va anche sottolineata la sua  dedizione assidua degli ultimi anni alle riunioni dei vari gruppi di lavoro di Astrid, con una partecipazione – sempre in chiave costruttiva ed equanime – al dibattito sui tanti temi emergenti delle riforme istituzionali e amministrative del nostro paese, in cui offriva un contributo prezioso pure sul piano delle analisi comparate con altri sistemi.

Un esempio limpido anche di autentica laicità nel testimoniare nella vita politica la sua identità di cristiano alla ricerca del bene comune concretamente possibile: in sintonia con la lezione di laicità di cattolici democratici, come Vittorio Bachelet, Giovanni Marongiu e Pietro Scoppola, con cui ha avuto non a caso profondi rapporti di amicizia, condividendo il senso e lo stile dell’impegno per l’attuazione sostanziale dei principi e valori contenuti nella Costituzione, con la consapevolezza che non si tratta di un ordine puramente formale, da applicare meccanicamente in base al dispositivo delle norme,ma di riferimenti  di portata potenzialmente universale, tuttavia da interpretare e coniugare nel loro concreto svolgimento nel tempo storico in cui è possibile por mano alla loro realizzazione, nell’ambito di un confronto democratico basato sul dialogo e sulla ricerca di condivisione.E senza scorciatoie decisionistiche,come aveva incisivamente sottolineato già nel 1994 -nel convegno di studi  in ricordo di Giovanni Marongiu –

laddove faceva sue le preoccupazioni dell’amico “mettendo in guardia dalla tentazione di ridurre la complessità in forme semplificate e di immaginare la decisione politica come processo unidirezionale ed esclusivamente gerarchico” e denunciando quindi “l’illusorietà delle riforme che puntano verso un eccesso di semplificazione o di riduzione della complessità ,con sistemi elettorali e forme di governo che tagliano drasticamente la rappresentatività del corpo sociale e trasformano la decisione in decisionismo”.

Con la scomparsa di Leopoldo Elia è, perciò, venuto meno un ancoraggio assai solido e affidabile per la vita e le prospettive della nostra Repubblica, capace sia di interpretare nel modo più coerente e costruttivo i valori racchiusi nella Costituzione sia di percorrere la strada delle riforme in modo da attuarli il più possibile,senza stravolgerne il significato, pur non rinunciando a qualche utile intervento di manutenzione o di adeguamento per far funzionare meglio le istituzioni democratiche. Una perdita a maggior ragione assai grave, pensando alle difficoltà crescenti di questi anni per conservare vitalità al tessuto e alle strutture della nostra democrazia, condizionata – se non malintesa - da media spesso superficiali e fuorvianti e da una carente formazione di molta parte della dirigenza dei partiti e delle istituzioni politiche e amministrative.

Resta, comunque, il suo insegnamento, così ricco non solo nei suoi scritti scientifici ma anche negli innumerevoli interventi in sedi culturali, politiche e istituzionali. E’ un patrimonio che bisogna ora ancor più valorizzare con iniziative appropriate, non solo per ricavare utili orientamenti –di metodo e di merito – da un pensiero sempre lucido e coerente con i principi e gli obiettivi della democrazia sostanziale, ma anche per poter offrire ai giovani una solida speranza, capace di alimentare un loro serio impegno nelle istituzioni della Repubblica,nonostante le tante difficoltà.

Il discorso all'Università del Cairo

Barack Obama

4 Giugno 2009

SONO onorato di trovarmi qui al Cairo, in questa città eterna, e di essere ospite di due importantissime istituzioni. Da oltre mille anni Al-Azhar rappresenta il faro della cultura islamica e da oltre un secolo l'Università del Cairo è la culla del progresso dell'Egitto. Insieme, queste due istituzioni rappresentano il connubio di tradizione e progresso. Sono grato di questa ospitalità e dell'accoglienza che il popolo egiziano mi ha riservato. Sono altresì orgoglioso di portare con me in questo viaggio le buone intenzioni del popolo americano, e di portarvi il saluto di pace delle comunità musulmane del mio Paese: assalaamu alaykum. ...

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