Democrazia e Istituzioni

Il berlusconismo, trait d'union tra P2 e P3

di Giannino Piana

docente di Teologia Morale

Ottobre 2010

da “Jesus” (Morale e Coscienza)

Riferendosi ad alcuni episodi di corruzione, che hanno caratterizzato in questi ultimi mesi la vita politica italiana, i media hanno formulato l'ipotesi della nascita di una «società segreta», la P3, insieme comitato di affari e struttura sotterranea di potere che si propone di influenzare i vari ambiti nei quali il potere ufficiale si dispiega. È difficile dire se (e come) sussista una vera analogia tra questa nuova società occulta e la P2, ma non vi è dubbio che esista una effettiva continuità tra il piano di Rinascita democratica di Licio Gelli, scoperto dalla magistratura agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, e l'ipotesi di cambiamento del Paese messo in atto dai governi Berlusconi. Infatti, al di là della accertata appartenenza del premier alla P2 con tessera n° 1816 — pochi ricordano la condanna per falsa testimonianza comminatagli, in anni ormai lontani, a Venezia per aver mentito al giudice a proposito di tale appartenenza — sorprendenti sono gli aspetti di convergenza che esistono tra i due progetti.

Comune appare anzitutto — come risulta dalle carte sequestrate nella villa di Gelli — l'obiettivo perseguito, consistente nello svuotamento dall'interno di ogni sostanza reale della democrazia parlamentare in favore di uno Stato populista guidato da un capo carismatico che ha il diretto controllo di tutte le leve del potere. Si tratta, in sostanza, di una lotta senza esclusione di colpi nei confronti della politica, che viene screditata e vilipesa, mortificando i partiti, esautorando i sindacati, sradicando la cultura dell'uguaglianza e dei diritti per sostituirla con una cultura clientelare, dove a prevalere sono gli interessi delle corporazioni forti e la costante prevaricazione nei confronti delle classi più deboli.

Ma comune risulta pure la strategia mediante la quale si tende a perseguire tale obiettivo: dall'asservimento dei media, ridotti a strumenti di distrazione delle masse, al disprezzo per le regole e per le procedure, considerate meri impedimenti all'azione di Governo; dal continuo dileggio della magistratura e degli organi istituzionali di controllo — quali la Presidenza della Repubblica, la Corte Costituzionale, la Corte dei Conti, ecc. — alla riduzione degli spazi di indagine della magistratura e della polizia; dal bavaglio all'informazione alla divisione delle carriere giudiziarie con la dipendenza dei pubblici ministeri dall'esecutivo; dal dileggio della Costituzione giudicata superata e progressivamente ridimensionata, fino alla più volte ventilata proposta di introduzione del presidenzialismo. Ciò che si intende, in definitiva, smantellare è il sistema di garanzie, faticosamente costruito nel corso della storia della nostra Repubblica e finalizzato a favorire una partecipazione sempre più ampia alla gestione della cosa pubblica, a dar vita a forme di rappresentanza più qualificate e a creare condizioni di rispetto dell'autonomia dei poteri e di equilibrio nei loro rapporti.

La crisi della politica, provocata da Tangentopoli, e il cambiamento del clima culturale a opera dei media hanno determinato l'uscita del progetto piduista dalla clandestinità e dall'area del potere occulto per proporsi in campo aperto. Da disegno eversivo, che mirava a destabilizzare il sistema per crearne uno alternativo mediante una struttura di superpotere ramificata nei gangli vitali della società, grazie all'infiltrazione di persone appartenenti al mondo delle banche, dei servizi segreti, dell'imprenditoria, della politica, del giornalismo, ecc., esso diviene proposta che ottiene il consenso popolare e che riceve perciò piena legittimazione sul piano legale. Gli esiti di questa operazione sono evidenti: partiti inesistenti, parlamentari designati dall'alto, sindacati lacerati e impotenti, magistratura screditata, Rai distrutta come servizio pubblico, e si potrebbe continuare. Ma ciò che soprattutto sconcerta (e preoccupa) è che tutto questo avvenga nell'indifferenza di gran parte della popolazione, nel servilismo di molti uomini pubblici e nell'insufficiente reazione dei "chierici", spesso tra loro divisi. Si tratta pertanto di una drammatica emergenza etica, che esige, per essere adeguatamente affrontata, un forte impegno teso in primo luogo a riabilitare la politica, restituendo dignità al parlamento, rifondando i partiti, rimettendo al centro il lavoro, difendendo l'unità nazionale e reagendo alle disuguaglianze e al razzismo. Ma esige anche un rinnovamento profondo delle coscienze. Un rinnovamento improntato al recupero di valori quali l'onestà e la trasparenza, l'uguaglianza, la giustizia e la solidarietà che sono le basi della vita democratica. Il danno più rilevante dell'attuale congiuntura è infatti di natura morale e culturale. E reclama per questo l'impegno di tutti a ricostruire le fondamenta di una politica che concorra allo sviluppo di una serena convivenza civile.

Dove va il Partito Democratico

Per una alternativa politica del paese

 Antonio Conte

Coordinatore per la Regione Puglia Associazione Agire Politicamente e fondatore PD

Crispiano (TA), lì 29.10.2010

Da dove bisogna ripartire? Si deve ripartire da quel 40% di elettori che si sono astenuti alle regionali scorse; delusi dalla politica. Il PD deve essere forza alternativa al centrodestra al governo, al berlusconismo. Deve essere chiaro qual è il progetto che ha per l’Italia. Gli italiani devono essere convinti che un’altra Italia è possibile, oltre a quella degli opportunismi, del permissivismo, della prepotenza e degli interessi personali, del degrado morale e ambientale, degli sprechi, del cieco profitto, del liberismo, della libertà interessata e strumentalizzata.

E’ l’Italia del lavoro, come recita l’art. 1 della nostra Costituzione (L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro). Il lavoro si crea anche e non solo costruendo sempre automobili e automobili; il lavoro si rigenera da un profondo ripensamento di questo sistema economico-sociale incentrato esclusivamente sull’industria del consumo e sulla speculazione finanziaria. Il lavoro si crea combattendo gli sprechi: lo spreco dell’energia elettrica nelle case, negli uffici, nei luoghi pubblici e privati, nelle strade; lo spreco delle materie prime che si getta attraverso un sistema distributivo della merce, fatto di confezioni e imballaggi; lo spreco del cibo e di prodotti della campagna che non si consuma e sono buttati nella pattumiera; lo spreco di carburante a mezzo fermo e motore acceso delle automobili. Il lavoro si crea ricostruendo una cultura, una mentalità che si è perduta; quella del risparmio e della sobrietà, del rispetto del patrimonio ambientale e culturale, del bene comune, della cosa pubblica.

Il PD non deve stare a ruota di Casini e Fini (che pure hanno tanta responsabilità di questo degrado culturale, sociale ed economico che l’Italia e gli italiani, le nuove generazioni in special modo, hanno subito dall’era Berlusconi). Adesso si afferma: “Con il 26% dei consensi non possiamo sconfiggere Berlusconi”. Bella forza! Quello che vuol rappresentare Casini e Fini, sono già da tempo nell’Ulivo ed è patrimonio delle culture delle forze e degli uomini che costituiscono il PD.

Se continuiamo con l’assenza di reale cambiamento democratico all’interno delle sezioni periferiche del partito e di fissità burocratica di apparato che si evince da uno statuto di partito, borbonico e ideologico, continuerà l’emorragia di voti: dal Pd verso Idv, UDC e Fli.

Come si deve presentare allora il PD? Si deve presentare diverso! In tutto. A cominciare dall’effettiva declinazione della democrazia all’interno del partito, soprattutto in periferia, dove si sono formati organismi dirigenziali non sempre frutto di una partecipazione libera, spontanea e democratica ma in maniera predeterminata, con cooptazioni e spartizioni (art. 49 della Costituzione). Un partito bloccato e ”controllato”, dove si designano candidature che spesso non tengono conto della preparazione, della competenza, della sincera volontà, della coerenza politica e culturale; ci si affida a primarie inique. Per fare un grande partito nazionale, rappresentativo degli interessi generali di un popolo, bisogna ri-chiedere l’apporto di tutta la società civile, di quel popolo dell’Ulivo deluso dal ’98, sempre dai partiti.

Il PD si deve aprire alle energie e alle idee che vengono da una variegata presenza di associazioni culturali e politiche; da singoli cittadini preparati dell’area riformista. In modo particolare, sono diverse le associazioni a carattere nazionale di cattolici democratici, ad esempio, con diverse sigle (Agire Politicamente, Città dell’Uomo, Argomenti 2000, la Rosa bianca, Cristiano Sociali ed altri), a cui fare riferimento, che fanno formazione, che sviluppano una elaborazione culturale, politica, sociale ed economica, attraverso l’organizzazione di assemblee, convegni e seminari. Un’attenzione maggiore al patrimonio culturale dei cattolici democratici, dunque, presente dentro il PD e nelle Associazioni, per una più adeguata interpretazione della complessità della società e del mondo contemporanei, per un agire efficace sulla scena politica attuale e dare risposte adeguate ai problemi del paese. Occorre dare una credibile alternativa al liberismo, al conservatorismo e al corporativismo localistico delle destre in Italia, che hanno disgregato la coesione sociale e che sta disperdendo un patrimonio culturale fatto di riferimenti etici e morali; ed attingere alla sintesi culturale che ha ispirato la carta costituzionale.

“Uscire fuori dal vecchio guscio”, dai tatticismi e andare alle fonti che non hanno smesso mai di indicare e orientare la politica verso la sua vera funzione: il pensiero e la storia del cattolicesimo democratico, che forma la persona integrale e non solo il politico: da Rosmini a Maritain, da Mazzolari a Lazzati, da Mounier a Dossetti. Uomini che sono andati oltre gli schematismi  esprimendo idee democratiche, frutto di un pensiero laico della religione nella società: aperto alle idee positive, agli altri umanesimi; al pluralismo culturale.

L’identità, che al PD manca, si costruisce su queste risorse, abbandonando le forme e le idee stantie su cui ha proliferato il settarismo politico e ripensando al significato storico e culturale della stagione dell’Ulivo e al successo politico del ‘96. Il PD non può essere la conclusione stadiale del PCI-PDS-DS (leggi editoriale di Gianfranco Brunelli: “il Regno” n. 14, quindicinale delle Ed. Dehoniane BO).

Bisogna includere nuovi uomini e nuove donne, senza distinzione di età, perché non è questione di “nuovismo”, di rinnovamento anagrafico, ma a guidare il partito siano persone che hanno radici culturali ben radicate nella storia della Repubblica e nei valori della Costituzione; per una democrazia rappresentativa dove non ci sia più posto per gli opportunismi, per la menzogna e per le prepotenze.

 

SBLOCCARE LA DEMOCRAZIA: etica della responsabilità e responsabilità politica

12° corso di formazione alla politica dei Circoli Dossetti
Milano - Novembre 2010 - Giugno 2011

 

Sbloccare la democrazia è il dovere di questa fase politica fortemente compromessa, ed è il tema che il Circolo Dossetti ha scelto per il corso di formazione di quest’anno.

Non a caso ad aprire le lezioni (Sabato 20 novembre alle 9:30) sarà Romano Prodi con una conversazione che, rifacendosi al suo testo, titola “La mia visione dei fatti”. La persona giusta per affrontare il tema dell’etica e della responsabilità in questa congiuntura che ha bisogno di indicazioni insieme credibili ed autorevoli e di uno sforzo collettivo.

Nove incontri il sabato mattina con:
Romano Prodi, Pippo Ranci, Gianni Vaggi, Guido Viale, Michele Salvati, Salvatore Natoli, Enrico Morando, Pino Ruggieri,
Alberto Melloni.
Conduce Giovanni Bianchi
La partecipazione è aperta a tutti.

 

 

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Scarica il volantino dell'iniziativa o, per maggiori dettagli, accedi al sito dossetti.com

 CAMERATI

Giancarla Codrignani

(da Domani/Arco Iris)

12/10/2010

Il ministro della Difesa entrerà nell'aula a Montecitorio per presentare la felice proposta di armare gli aerei con bombe in funzione difensiva: nell'esordire accantonerà il normale "onorevoli colleghi" e gli verrà dal cuore l'antico "CAMERATI". Ai balilla nella scuola aveva già provveduto d'accordo con la Gelmini, gli avanguardisti li vivacizza contro i comunisti nei licei, le camicie nere non le vede nelle vetrine di Cenci (il negozio super-lusso vicino alla Camera), ma, memore del MEMENTO AUDERE SEMPER entra nel suo film preferito con un grido che gli viene dal cuore.

Cari amici, ci manca poco. Ignazio La Russa, infatti, reagisce secondo natura (la sua, ovviamente, lombrosianamente fascista): i talebani ci hanno ucciso quattro uomini e lui vede l'iniziativa a suo tempo definita costruttiva di democrazia come  realizzazione del suo sogno di guerra. Aveva annunciato ai ragazzini il suo programma formativo "Allenati alla vita", che voleva dire "Preparati a sparare": mentre i leghisti avevano approvato pensando che volesse dire "spara agli stranieri, soprattutto clandestini", Ignazio preparava la mimetica, dimenticando di passare da Napolitano per la dichiarazione di guerra. Della serie "spezzeremo le reni ai talebani"...

Bombardare l'Afganistan: lo hanno fatto fin qui gli americani e sono già morti in 700. Bisognerebbe conoscere un poco di storia e chiedersi come mai l'Inghilterra ci rimise le penne nel XIX secolo e l'Urss nel XX. Perfino uno come Annibale una strategia se la sarebbe inventata prima di mettersi nei guai. Noi moderni, no; e anche il povero Obama resterà strangolato dalla polpetta avvelenata della cucina Bush, destinata ad insegnare la democrazia ai civili afgani con le bombe.

Ha ragione Pax Christi quando si chiede chi ha voluto e vuole questa guerra che ci costa quasi 2 milioni di euro al giorno per mantenere 3300 soldati, sostenuti da 750 mezzi terrestri e 30 veicoli. "Quante scuole e ospedali si potrebbero costruire" per rendere la popolazione locale meno ostile agli occidentali invece di favorire il mercato delle armi italiane che produce morte e mutilazioni? Senza indulgenza per le associazioni cattoliche che accettano dall'industria bellica elargizioni e benefici, l'interrogazione di Pax Christi è ragionevolmente spietata: "può una nazione come l’Italia - che per riduce i posti letto negli ospedali, blocca gli stipendi, tiene i carcerati in condizioni abominevoli e inumane, licenzia gli insegnanti e riduce le ore di scuola, accetta che una parte sempre più grande di cittadini viva nell’indigenza e nella povertà - impegnare in armamenti e sistemi d’arma decine di miliardi di euro?"

Il camerata La Russa affida il nostro benessere e la pace ai cacciabombardieri da 14 miliardi di euro e alle navi FREM da 5,7 miliardi di euro. E prova affetto per la portaerei Cavour da un miliardo e mezzo per il cui esercizio sprechiamo 150.000 euro al giorno. Oggi gli brillano gli occhi pensando alla possibilità di bombardare. Che è il modo strano di augurarsi altri morti oltre ai poveri quattro giovani appena sepolti con onore.

Si può contestualizzare la bestemmia?

di Rosy Bindi
02 Ottobre 2010

 

(Questa è la nota con cui Rosy Bindi ha inteso commentare il parere espresso da Mons. Rino Fisichella circa l’espressione blasfema su cui si sostanziava una delle tante barzellette volgari raccontate pubblicamente da Silvio Berlusconi e, ancora una volta, usata per dileggiare proprio Rosy Bindi a cui esprimiamo la nostra piena condivisione).

Fin da piccola mi hanno insegnato a non pronunciare il nome del Signore invano. È una profonda, intima convinzione della mia fede, un segno di rispetto verso me stessa e gli altri e una regola  di buona educazione.

Sarò all'antica, ma mi amareggia profondamente e mi turba constatare che per un pastore della mia Chiesa (anche se voce isolata rispetto a quelle di altri pastori, di Avvenire e Famiglia Cristiana) ci sarebbero occasioni e circostanze nelle quali è possibile derogare anche dal secondo comandamento. Basta solo valutare il contesto per giustificare espressioni sguaiate, irriverenti e persino blasfeme. Anch'io penso che contestualizzare fatti e parole sia importante: aiuta a interpretare meglio gli eventi, a capire le responsabilità, a distinguere tra azioni volontarie e involontarie, tra reato e peccato. La contestualizzazione è in fondo un esercizio di laicità ma potrebbe diventare relativismo.

Se è così, c'è qualcosa di contraddittorio e profondamente diseducativo nel minimizzare la blasfemia del premier. Come si può condurre in modo credibile la battaglia contro il relativismo etico e la perdita di valori della nostra società se poi nel giudizio ci si ferma davanti alla soglia dei potenti? Ha senso invocare l'impegno di una nuova generazione di politici cattolici, chiamati a fare la giustizia e a dare il buon esempio nel servizio alla comunità, e poi autorizzare volgarità e bestemmie a seconda dei contesti? Non c'è giustizia se non è accompagnata da un po' di onestà, di coerenza personale, e per i credenti non c'è carità senza verità.

So bene quanto sia difficile l'azione pastorale dei nostri vescovi, quanto complesso l'impegno di evangelizzazione e di formazione di una forte e libera coscienza cristiana. Ma non vorrei che questa fatica fosse vanificata da troppe frettolose contestualizzazioni.