Democrazia e Istituzioni

Una sentenza eversiva

(lettera ad "Europa")

Vincenzo Ortolina

Coordinatore A.P. per la Lombardia

20 Gennaio 2011


Caro direttore,

Nella divisione dei compiti tra i molteplici portavoce del premier, mentre a tutti gli altri è suggerito di stare prudenti per ragioni tattiche, tocca all'ex sessantottino (ora sfegatato berlusconiano) Paolo Liguori, che sfrutta subito alcune uscite poco felici di qualche intellettuale di sinistra in verità non più molto in auge, proclamare coram populo la verità (la loro, naturalmente), sulla decisione della Corte costituzionale: si tratta (sostanzialmente) di una sentenza eversiva, che dà a un singolo giudice il potere di sovvertire, appunto, il volere del popolo, che ha scelto l'"Unto del Signore". Secondo me, i giudici, invece, hanno semplice dichiarato che il legittimo impedimento non può trasformarsi, nel concreto, in un legittimo, eterno, impedimento.

COSTITUZIONE

difendila


Gustavo Zagrebelsky, Paul Ginsborg e Sandra Bonsanti
per tutta Libertà e Giustizia

20 Gennaio 2011

Questo è l'appello per le dimissioni del Capo del Governo lanciato da Libertà e Giustizia. E' stato lanciato in inglese e tradotto ora in molte altre lingue. E' il tentativo anche di salvare la dignità del popolo italiano agli occhi dell'opinione pubblica mondiale.

 

1. Dimissioni
Chiediamo a Silvio Berlusconi di dimettersi immediatamente.
In nessun altro paese democratico un Primo ministro, indagato per così gravi capi di accusa, rimarrebbe in carica. Tutti i cittadini italiani, di qualsiasi credo politico, devono essere consapevoli che l’immagine del loro paese sarà profondamente danneggiata se Berlusconi rimarrà al suo posto.

2. Presenza in aula
Chiediamo a Silvio Berlusconi di non utilizzare la televisione per difendersi e screditare i magistrati grazie al suo considerevole potere mediatico, bensì di presentarsi ai giudici come farebbe ogni cittadino. In tribunale, Berlusconi potrà comunque giovarsi dall’avere ingaggiato gli avvocati più pagati del paese. Speriamo vivamente per lui e per l’Italia che sia in grado di dimostrare la propria innocenza. Visto che Berlusconi e i suoi sostenitori affermano che i giudici sono irrimediabilmente prevenuti nei suoi confronti, ricordiamo che in più di un’occasione gli è stato garantito il beneficio del dubbio. Nel caso Mondadori, ad esempio, la corte giudicò, nel novembre 2001, la posizione di capo del Governo una “circostanza attenuante” che, unicamente nel suo caso, fece cadere in prescrizione l’accusa.

3. Il ruolo del Presidente della Repubblica
In una situazione in cui due dei principali poteri dello Stato – la magistratura e l’esecutivo – si affrontano in uno scontro estremamente pericoloso per il futuro della Repubblica, chiediamo al Presidente Napolitano di valutare la situazione e di intervenire tempestivamente, entro i limiti previsti dalla Costituzione.

4. I partiti di opposizione
Chiediamo a tutti i partiti di opposizione di mettere da parte le loro divergenze e di abbandonare qualsiasi desiderio di primeggiare, chiedendo invece con una sola voce le dimissioni del Premier.

5. Società civile
Invitiamo le numerose associazioni e le centinaia di migliaia di cittadini che si riconoscono nella società civile a concentrare le loro forze e a unirsi in una linea d’azione comune. Chiediamo soprattutto al mondo cattolico di esortare il Vaticano a pronunciarsi su una questione di etica pubblica così rilevante.

6. Gli amici dell’Italia nel mondo
Abbiamo scritto questo appello sia in inglese che in italiano per mandare un messaggio a tutti coloro che all’estero amano la nostra democrazia e le sorti del nostro Paese. Non perdete la fiducia nell’Italia! Abbiamo bisogno della vostra solidarietà e del vostro aiuto.


 


Le amnesie dei cattolici in politica


Gian Enrico Rusconi

da "La Stampa" - 28 dicembre 2010

I cattolici torneranno a condizionare direttamente la politica? Ma hanno forse mai smesso di contare nel berlusconismo in tutte le sue fasi: dal trionfo di ieri sino alla sua virtuale decomposizione? Dentro, fuori, contro. Grazie al berlusconismo hanno creato un consistente «pacchetto cattolico», con scritto sopra la perentoria frase «valori non negoziabili». Nel contempo hanno mantenuto aperti spazi giornalistici di franco dissenso.
Che cosa ci si aspetta ora da Pier Ferdinando Casini, che ha preso parte diretta e indiretta a tutte le fasi del berlusconismo? Anche quando se n’è tenuto lontano, è riuscito ad essere lo spauracchio della Lega e dei post-fascisti incorreggibili. Ma soprattutto a farsi rimpiangere dal Cavaliere.
E' ovvio che ora, nella fase attuale di latente disarticolazione e disgregazione del berlusconismo, Casini riacquisti profilo. Si badi bene: non sto parlando affatto della fine del berlusconismo, tanto meno dell'esaurirsi dello stile politico-mediatico che ha prepotentemente segnato la vita politica italiana e ha deformato il modo di guardare e di giudicare la politica. Questo costume andrà avanti, sotto altre spoglie. Ma assistiamo alla disarticolazione dei pezzi della classe politica che il Cavaliere ha tenuto insieme sino ad ieri. Ma questa classe politica non sparirà affatto. Anche se sentimentalmente legata ancora a Berlusconi, è fermamente determinata a non finire con lui.
In questo contesto, Casini si presenta come l'uomo politico in grado di ricompattare l'intero segmento dei cattolici in politica, cominciando con il mettere al sicuro «il pacchetto cattolico» da un’ipotetica ripresa laica. E' questo ciò che sta a cuore alla gerarchia ecclesiastica.
Se questa operazione riesce, i cattolici continueranno a costituire una «lobby dei valori» (come se quegli degli altri fossero disvalori) senza riuscire ad essere una vera classe politica dirigente. Forse non se ne rendono neppure conto. Comincio a pensare che le ragioni di questa debolezza siano da ricercare anche nell’elaborazione religiosa di cui si sentono tanto sicuri. Cerco di spiegarmi - a costo di dire cose sgradevoli.
Non c'è bisogno di evocare «il ritorno della religione nell'età post-secolare» per constatare nel nostro Paese la forte presenza pubblica della religione-di-chiesa (cioè dell'espressione religiosa mediata esclusivamente dalle strutture della Chiesa cattolica). Ma la rilevanza pubblica della religione, forte sui temi «eticamente sensibili» (come si dice), è accompagnata da un sostanziale impaccio comunicativo nei contenuti teologici che tali temi dovrebbe fondare. O meglio, i contenuti teologici vengono citati solo se sono funzionali alle raccomandazioni morali. Siamo davanti ad una religione de-teologizzata, che cerca una compensazione in una nuova enfasi sulla «spiritualità». Ma questa si presenta con una fenomenologia molto fragile, che va dall’elaborazione tutta soggettiva di motivi religiosi tradizionali sino a terapie di benessere psichico. I contenuti di «verità» religiosa teologicamente forti e qualificanti - i concetti di rivelazione, salvezza, redenzione, peccato originale (per tacere di altri dogmi più complessi ) -, che nella loro formulazione dogmatica hanno condizionato intimamente lo sviluppo spirituale e intellettuale dell'Occidente cristiano, sono rimossi dal discorso pubblico. Per i credenti rimangono uno sfondo e un supporto «narrativo» e illustrativo, non già fondante della pratica rituale. La Natività che abbiamo appena celebrato è fondata sul dogma teologico di Cristo «vero Dio e vero uomo». Si tratta di una «verità» che ha profondamente inciso e formato generazioni di credenti per secoli. Oggi è ripetuta - sommersa in un clima di superficiale sentimentalismo - senza più la comprensione del senso di una verità che non è più mediabile nei modi del discorso pubblico.
Ricordo il commento di un illustre prelato davanti alla capanna di Betlemme: lì dentro - disse - c'era «la vera famiglia», sottintendendo che tali non erano le coppie di fatto e peggio omosessuali. Si tratta naturalmente di un convincimento che un pastore d'anime ha il diritto di sostenere, ma che in quella circostanza suonava come una banalizzazione dell'evento dell’incarnazione, che avrebbe meritato ben altro commento. Ma viene il dubbio che ciò che soprattutto preme oggi agli uomini di Chiesa nel loro discorso pubblico sia esclusivamente la difesa di quelli che essi chiamano «i valori» tout court, coincidenti con la tematica della «vita», della «famiglia naturale» e i problemi bioetici, quali sono intesi dalla dottrina ufficiale della Chiesa. Non altro. La crescita delle ineguaglianze sociali e della povertà, la fine della solidarietà in una società diventata brutale e cinica (nel momento in cui proclama enfaticamente le proprie «radici cristiane»), sollevano sempre meno scandalo e soprattutto non creano impegno militante paragonabile alla mobilitazione per i «valori non negoziabili».
Un altro esempio è dato dalla vigorosa battaglia pubblica condotta a favore del crocifisso nelle aule scolastiche e nei luoghi pubblici. Una battaglia fatta in nome del valore universale di un simbolo dell'Uomo giusto vittima dell’ingiustizia degli uomini. O icona della sofferenza umana. Di fatto però, a livello politico domestico il crocifisso è promosso soprattutto come segno dell'identità storico-culturale degli italiani. E presso molti leghisti diventa una minacciosa arma simbolica anti-islamica. In ogni caso, l'autentico significato teologico - traumatico e salvifico del Figlio di Dio crocifisso, oggetto di una fede che non è condivisa da altre visioni religiose, tanto meno in uno spazio pubblico - è passato sotto silenzio. I professionisti della religione non riescono più a comunicarlo. E i nostri politici sono semplicemente ignoranti.
Se i cattolici hanno l'ambizione di ridiventare diretti protagonisti della politica, dovrebbero riflettere più seriamente sul loro ruolo. Il discorso politico, soprattutto quando porta alla deliberazione legislativa, rimane e deve rimanere rigorosamente laico, nel senso che non può trasmettere contenuti religiosi. Ma nello «spazio pubblico», che è molto più ampio e può ospitare discorsi di ogni tipo, si deve misurare la maturità di un movimento di ispirazione religiosa che sa essere davvero universalistico nell'interpretare e nel gestire l'etica pubblica. Non semplicemente una lobby in difesa di quelli che in esclusiva proclama i propri valori.

Sopravvive il berlusconismo, affari travestiti da patriottismo

È l'eredità peggiore del governo in agonia. Berluscones da vendere e comprare; berluscones che sventolano il tricolore gridando "l'Italia siamo noi". E il loro Cavaliere annuncia in parlamento il sogno di un governo senza "interferenze parlamentari". Tornano le aule inutili e grigie di Mussolini

16-12-2010
Raniero La Valle

I dolori non finiscono mai, così Berlusconi è ancora lì col suo governo, dopo la “due giorni” parlamentare giunta talmente in ritardo, dopo un mese dalla presentazione della mozione di sfiducia, e di favori fatti al presidente del Consiglio, da ribaltare il previsto risultato del voto. Quello che è avvenuto tra il 13 e il 14 dicembre in Parlamento dimostra che ormai il problema della salvezza della nostra Repubblica non è riducibile al superamento di Berlusconi, ma è legato al superamento del berlusconismo; la corruzione delle persone e delle idee infatti è scesa per i rami, e dai vertici del potere attraversando il Parlamento si diffonde nel Paese penetrando, in cerca di legittimazione, nel senso comune.

Lo sfondo è uno sfondo di violenza, che a Roma è venuta alla superficie nella guerriglia urbana provocata dai black bloc in coincidenza con il voto parlamentare. Ma almeno due volte gli attori principali della scena politica hanno sprigionato una violenza non meno pericolosa di quella dei black bloc. La prima si annidava nel discorso antiparlamentare del presidente del Consiglio, laddove egli sosteneva che un capo del governo eletto dal popolo non può che essere rimosso dal popolo: “se un governo non ha bene operato e deve lasciare”, deve essere il popolo infatti a deciderlo (a tempo debito, con le elezioni), mentre non avrebbero questa facoltà i Parlamenti che sono chiamati a “interpretare e rappresentare” la volontà popolare (espressasi nella nomina del capo del governo), non a “sostituirvisi”; il che vuol dire che per cinque anni il governo dovrebbe essere immune da qualsiasi interferenza parlamentare, con la conseguenza che la protesta contro un governo che “non opera bene” e che perciò dovrebbe “lasciare”, non potrebbe manifestarsi che attraverso gli operai che salgono sulle gru, i disoccupati che salgono sui tetti, gli studenti che occupano aeroporti e ferrovie, e black bloc che spaccano tutto. In tal modo l’insindacabilità e imperturbabilità dei governi sarebbe pagata con la collera e la violenza sociale.

La seconda violenza si è avuta quando, dopo l’esito favorevole del voto, la gioia incontenibile dei deputati della maggioranza si è manifestata con lo sventolio dei tricolori, che hanno pavesato di bianco rosso e verde metà dell’aula di Montecitorio. Qui la violenza stava nell’interpretare la propria vittoria come una vittoria dell’Italia, come se l’altra non fosse Italia, e anzi nel presentare la propria parte come l’unica qualificata a dirsi italiana. Ciò voleva dire mettere fuori l’altra metà (e anzi più) dell’Italia, radiarla dalla comunità nazionale, considerarla indegna di appartenervi; che se poi quest’altra Italia dovesse governare sarebbe, come aveva detto il premier, un “orrore”. Dunque la spaccatura radicale e violenta che questa politica infligge alla società italiana è di dividerla tra un’Italia che fa meraviglie e un’Italia che fa orrore. E come possono stare insieme sullo stesso territorio?

A questo punto è meglio che, al più presto, si vada alle elezioni, pensando però alla prossima legislatura non come la ripetizione e lo sviluppo dei mali passati, ma come una legislatura ricostruttiva e ricostituente, in cui si ricomponga l’unità del Paese, si ripristini l’idea del bene comune, si ristabilisca la stima fra le parti contrapposte e si facciano quelle riforme che possano dare uno sbocco efficace e mite alla ormai troppo lunga transizione italiana.

Per avere una legislatura così, non ci si può arrivare né con la riduzione della battaglia a due soli contendenti né con quella forzatura rappresentata dal premio di maggioranza previsto dalla legge Calderoli. Senonché la stessa legge Calderoli prevede e permette che un adeguato collegamento tecnico-istituzionale tra forze politiche diverse produca un risultato elettorale tale che vada al di là di quello per il quale è destinato a scattare il premio di maggioranza. In tal caso non si avrebbe alcuna manipolazione del voto in sede di attribuzione dei seggi, i quali sarebbero distribuiti tra tutti i partiti, dell’uno e dell’altro schieramento, secondo la reale forza di ciascuno in modo proporzionale. Ciò permetterebbe un momento di tregua nella durezza della contrapposizione politica, e la formazione di un Parlamento più capace di dialogo e più sereno, sia per fare una nuova legge elettorale, sia per decidere con più vasti e articolati consensi la strada che deve prendere il Paese. Quanto al governo esso sarebbe formato dalle forze che abbiano ricevuto i maggiori consensi, che siano più affini tra loro e abbiano la maggiore capacità di aggregazione.

È questa la proposta che i Comitati Dossetti per la Costituzione faranno a tutti i partiti in un convegno che si terrà a Bologna il 28 gennaio prossimo.






Pericle - Discorso agli Ateniesi 461 a.C.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

Qui ad Atene noi facciamo così.

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Chi fa politica perché?

Bologna

2 Dicembre 2010

ore 17.30
Biblioteca dell'Archiginnasio - Piazza Galvani 1 - 40124 Bologna

Presentazione del volume di e con Giancarla Codrignani

Carlo Galli, Maria Giuseppina Muzzarelli, Luigi Pedrazzi

presentano il volume di Giancarla Codrignani 

Ottanta, gli anni di una politica

Ed. Servitium


Saranno presenti l'autrice e l'editore

Presiede Luisa Marchini


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