Se non voti non conti / L'alfabeto della politica

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"Non votare sarebbe un grave errore. Dobbiamo andare a votare e ognuno deve votare, secondo coscienza, senza lasciarsi abbindolare da questi piazzisti che ingombrano il video e gli altri mezzi di comunicazione".

Non è l'invito di un partito o di un leader politico ma la dichiarazione di Indro Montanelli. I piazzisti ingombranti di cui parla sono i signori della cosiddetta Casa delle libertà che trattano gli elettori come dei clienti ai quali vendere i loro prodotti nel supermercato delta politica.

Noi pensiamo che la politica non sia un affare commerciale e che la campagna elettorale non debba somigliare affatto ad una vendita pubblicitaria. Come ha detto il Presidente della Repubblica all'indomani dello scioglimento delle Camere, "gli elettori vogliono capire per chi e per cosa votare; e per capire è necessario che tutti si esprimano con pacatezza".

II nostro "alfabeto della politica " che ti proponiamo vuole essere un contributo a capire quali sono i problemi concreti della nostra vita quotidiana e quale prospettiva di risposta può venire da una politica solidale ispirata ai grandi principi del cattolicesimo democratico.

La nostra ambizione è che questo piccolo dizionario svolga un servizio di informazione e di orientamento. E' rivolto a tutti gli elettori: agli incerti e indecisi, perché sciolgano i loro dubbi sulla base delle proposte politiche e non per le facili promesse e le simpatie personali; a quelli di sinistra perché abbiano consapevolezza dei valori della loro storia, anche se la storia di quei valori è stata tragicamente fallimentare; a quelli che vivono con disagio la coabitazione nelle due coalizioni perché riflettano sulla politica come ricerca del bene possibile e utilizzino le opportunità del sistema bipolare. Per quelli di destra può valere quanto ha dichiarato ancora Montanelli: "io sono un uomo di destra ma mica di questa destra qua. Perciò, darò il voto al centrosinistra". Infine, a chi non vuole andare a votare, diciamo: se non voti non conti. Saranno gli altri a decidere per te.

Giorgio Campanini - Raffaele Cananzi - Alberto Monticone - Lino Prenna

 

Astensionismo

Riferito alle elezioni politiche e amministrative, è la scelta di non votare, per protesta, per sfiducia, per disinteresse. Anche la scheda bianca è una forma di astensionismo. Chi non vota rinuncia all'esercizio di un diritto e riduce l'efficacia del metodo democratico, basato sul principio che ogni cittadino è un elettore.

L'astensione elettorale è largamente diffusa in Europa e negli USA, specie nei paesi di più antica tradizione parlamentare, dove la democrazia ha comunque maggiori capacità di resistenza. Pur essendo legittimo, l'astensionismo è un segnale di crisi nei rapporti tra la politica e i cittadini; di esso possono approfittare i gruppi di pressione e i poteri forti della società.

In Italia è cresciuto negli ultimi anni il numero di quelli che non vanno a votare, tanto che si parla dei non votanti come del più grande "partito". é segno evidente di disagio, di disaffezione, di ostilità alla politica che, in questo momento, non gode certo di credibilità presso la maggior parte dei cittadini.

Secondo recenti sondaggi, tra i giovani uno su due non intende votare o non sa chi scegliere. Si confermerebbe così il dato, rilevato in questi anni, che la politica non interessa o interessa poco i giovani. E tuttavia, possiamo disinteressarci della politica? Oltre che un diritto, il voto è un dovere di partecipazione responsabile alla scelta di coloro che ci governeranno. Se non scegli tu, altri lo faranno per te.

 

Bene comune

L'enciclica Mater et magistra di Giovanni XXX afferma che l'attuazione del bene comune è "la ragion d'essere" dello Stato e che i poteri pubblici sono responsabili del bene comune" (nn.12 e 41).

Dunque la politica, che è l'arte di governare la società, ha come compito specifico a realizzazione del bene comune che consiste nell'insieme di quelle condizioni sociali che consentono lo sviluppo integrale della persona" (n.51).

Ma c'è anche una responsabilità orizzontale, di tutti i cittadini, nella realizzazione del bene comune, poichè tutti siamo chiamati alla virtù civica della solidarietà la quale secondo l'enciclica "Sollecitudo rei socialis" di Giovanni Paolo II, porta all'impegno determinato e perseverante per il bene comune, "ossia per il bene di tutti e di ciascuno", essendo "tutti veramente responsabili di tutti" (n.38).

Secondo un'altra felice espressione di Paolo VI, il bene comune consiste nel pieno sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini, in una prospettiva di umanesimo plenario (cf. "Populorum progressio", n. 42). Perciò, non è un bene parziale, a vantaggio di pochi o di una maggioranza.

Non è il prodotto della somma nè della mediazione degli interessi individuali o delle singole parti ma è un bene ulteriore che scaturisce dall'incontro tra i valori comunitari e i diritti-doveri delle persone. Pertanto lo si può anche definire quale effetto sociale dell'etica ispirata al personalismo comunitario proprio del cattolicesimo democratico.

L'attuazione del bene comune impegna lo Stato sociale soprattutto nei settori più poveri e marginali della società.

 

Conflitto di interessi

E' la situazione che si viene a creare quando un uomo di governo o un amministratore pubblico deve assumere decisioni che riguardano materie o attività nelle quali ha forti interessi personali.

Quanto più un responsabile politico possiede beni o strumenti di potere economico o sociale, tanto più può essere condizionato a far prevalere il proprio interesse sul bene della comunità. Invece, chi esercita un'alta funzione pubblica deve perseguire l'interesse generale non interessi particolari, essendo stato eletto per realizzare il bene comune e non per curare i propri affari, servendosi del potere politico di cui dispone.

Il conflitto di interesse può verificarsi in molte situazioni: per i capi di governo e i ministri, in molti Stati democratici, si richiede la netta separazione tra beni personali e funzione pubblica; in taluni casi se ne dichiara l'ineleggibilità o l'incompatibilità.

Il Parlamento italiano non è riuscito a varare una legge che regoli le situazioni di possibile conflittualità degli interessi.

Ma, in assenza di una legge, rimane il problema e crescono le preoccupazioni degli elettori, perché il candidato premier della cosiddetta Casa delle libertà è il più ricco imprenditore italiano e, nel caso vincesse le elezioni, sarebbe esposto alla tentazione di servirsi della politica per sviluppare la propria ricchezza economica.

Sembra che già lo abbia fatto!

 

Democrazia

Forma di governo perennemente "in crisi" - perché periodicamente assogettata al giudizio degli elettori - la democrazia lo è in questo particolare momento, per il parziale venir meno di quella larga base di consenso che, pur tra mille difficoltà, si era andata costituendo nei primi decenni del dopoguerra.

Sostenere che un'eventuale affermazione elettorale del centro - destra possa mettere in discussione le fondamenta della democrazia sarebbe caricare l'appuntamento elettorale del 13 maggio di un peso forse eccessivo: nonostante tutto "Annibale non è alle porte".

E tuttavia sono davanti agli occhi di tutti i rischi di una deriva plebiscitaria e di imbonimento televisivo di massa che il volto "pacioso" ed "efficiente" di Berlusconi preannunzia e che potrebbe accompagnarci, notte e giorno, per i prossimi cinque anni.

Chi ha a cuore le sorti della democrazia rifletta dunque attentamente, prima di esprimere il suo voto.

Come ha scritto l'Azione Cattolica milanese, in un suo documento che invita alla "responsabilità del voto", noi "non crediamo a chi promette di fare dell'Italia un paese dei balocchi!"-

 

Europa

E' l'unione degli Stati del vecchio continente, dall'Atlantico agli Urali, sulla base della comune civiltà delle radici cristiane e dell'incontro dei popoli e culture nel corso della storia. Più che un concetto geografico, l'Europa è un "prodotto" storico, nel senso che l'identità europea non è statica e definita ma muta nel tempo ed è soggetta a continue trasformazioni. Si tratta poi di una identità plurale, perché costituita da tante storie e da culture diverse. Oggi, l'Unione Europea è un progetto aperto, realizzato a livello economico e finanziario, ma da realizzare sul piano culturale e politico.

Jacques Delors, già presidente della Commissione europea, ha affermato che "la costruzione europea è certamente la sola grande avventura collettiva che sia stata proposta ai nostri popoli nella seconda metà del XX secolo". Il progetto europeo dell'Unione dei popoli non va inteso come omologazione delle varie culture nazionali ma come ricerca di un'anima, di un senso, di una spiritualità capaci di fondere e alimentare le identità nazionali.

E' questo il senso di una "via nazionale" all'Europa che anche l'Italia può percorrere, portando alla casa comune degli europei la singolarità della sua storia e delle sue tradizioni culturali. Il progetto politico di una comune cittadinanza è appena avviato, poichè si tratta di costruire una comunità che attraverso rappresentanti eletti direttamente e un governo designato dal parlamento europeo attui, al proprio interno, una politica di giustizia e di pace e operi, sul piano internazionale, per i diritti umani e per l'equilibrato sviluppo del mondo, senza atteggiamenti di inferiorità e senza pretese di dominio.

 

Famiglia

Può sembrare paradossale affermarlo - eppure i dati sono lì a testimoniarlo - ma soltanto negli ultimi anni, grazie ai governi di centro-sinistra ed alla particolare sensibilità mostrata in questo campo soprattutto dal Partito Popolare, si sta avviando in Italia una vera politica famigliare.

Finalmente al tempo delle retoriche proclamazioni ha fatto seguito quello delle concrete, anche se tuttora parziali, realizzazioni.L'alleggerimento del peso fiscale che grava sulle famiglie, l'avvio alla conciliazione della potenziale conflittualità tra famiglia e lavoro, la nuova disciplina delle adozioni e degli affidamenti sono alcuni importanti passi in avanti sin qui compiuti.

Sta ai cittadini valutare se sia preferibile prestar fede a chi tutto promette ed assai poco rischia di mantenere o a chi, con i fatti, ha dimostrato la propria attenzione alla famiglia.

Un'attenzione che dovrà essere ancor più penetrante e sorretta da coerenti scelte legislative e di politica economica, nei prossimi anni. Bisognerà superare definitivamente una visione individualistica della tassazione e porre al centro del sistema di imposizione il nucleo fondamentale della società che è la famiglia, considerata, perciò, come soggetto sociale.

 

Globalizzazione

"Il mondo ridotto a mercato" " il titolo di un libro del sociologo francese Serge Latouche che definisce il fenomeno della mondializzazione dell'economia e ne lascia intuire gli inquietanti scenari.

La globalizzazione del mercato non è un fenomeno spontaneo ma una scelta dei paesi industrializzati e dell'economia occidentale.

Potremmo anche definirla come progetto di occidentalizzazione del mondo, ispirato all'individualismo economico e politico. Di fatto, introduce come regola il gioco delle competizioni, nel quale vince il più forte; e il più debole, oltre ad essere perdente, risulta un avversario.

Inoltre, è una minaccia al bene comune e al diritto di tutti e di ciascuno di raggiungere un livello dignitoso di vita. Ancora, il trionfo della società di mercato mina alle radici la democrazia, quale sistema delle uguaglianze oltre che delle libertà e garanzia del pluralismo e delle diversità.

Tuttavia, non si tratta di demonizzare la globalizzazione ma di responsabilizzare la politica, ai vari livelli, perché ne governi il processo, per farne strumento di speranza e non di inquietudine per il futuro dei popoli, in particolare dei più poveri.

Il dovere di giustizia sociale che tocca le organizzazioni nazionali e mondiali dell'economia è di "assicurare una globalizzazione nella solidarietà, una globalizzazione senza marginalizzazione" (Giovanni Paolo II, Dalla giustizia di ciascuno nasce la pace per tutti, n.3).

Da questa prospettiva sono lontane tutte le politiche economiche ispirate al liberismo, sia quello classico sia quello proposto dalla Casa delle Libertà.

 

Habitat

"San Benedetto, una rondine sotto il tetto" è il noto proverbio popolare che salutava l'inizio della primavera e l'arrivo delle prime rondini, il 21 marzo, giorno di ricorrenza della festa di san Benedetto, nel vecchio calendario liturgico. Quest'anno la primavera è arrivata, anche in anticipo, ma non le rondini.

E' uno dei segnali del clima che cambia e dell'andamento capriccioso delle stagioni.

Ma i capricci sono dell'uomo. Se l'ambiente, cioè "l'edificio della natura" nel quale viviamo, è cambiato, dobbiamo cercarne le cause nelle condotte irresponsabili individuali e collettive.

Nel 1997 i paesi industrializzati sottoscrissero in Giappone un accordo (il "protocollo di Kyoto") col quale s'impegnavano a ridurre le emissioni dei gas responsabili dell'effetto serra entro il 2010. Il cosiddetto effetto serra è una cappa che ostacola la dispersione del calore dall'atmosfera nello spazio ed è provocato dall'anidride carbonica ma anche dal metano, dall'azono e da altri gas nocivi. A causa di questa concentrazione di calore, si sciolgono i ghiacciai e le calotte polari, si alza il livello degli oceani, si verificano più uragani, alluvioni e disastri naturali. A questa va aggiunto il saccheggio del territorio, operato dall'intervento sconsiderato dell'uomo.

E tuttavia il protocollo di Kyoto oggi è congelato perché l'attuale presidente degli Stati Uniti sembra più interessato a garantire gli interessi dell'industria carbonifera e petrolifera che a tutelare il pianeta. L'Europa chiede di rafforzare gli strumenti per la "governance ambientale" (governo mondiale dell'ambiente).

Il cambiamento climatico impone una revisione del nostro modello di sviluppo e dei nostri stili di vita. Ai cristiani ricorda la responsabilità di custodire e salvaguardare il creato per renderlo umanamente vivibile.

 

Immigrati

Sono persone in cerca di lavoro e di riscatto dalla povertà, provenienti da Paesi ove è a rischio la vita o la sopravvivenza umana, a causa di conflitti, persecuzioni, dittature e miseria. In gran parte sono diversi da noi, per colore, religione, razza e cultura: i rifugiati hanno diritti riconosciuti a livello internazionale e sono i più bisognosi di assistenza; gli altri possono fare lavori per i quali, in Italia, manca il personale. Questi ultimi sono in realtà emigranti, così come lo furono per generazioni molti italiani in Europa, in America e in altri Paesi lontani.

In dieci anni, dal 1991 ad oggi, gli immigrati sono raddoppiati e, con 200.000 nuovi ingressi regolari l'anno, l'Italia ha raggiunto il ritmo degli altri Paesi europei. Ma la percentuale di immigrati (poco meno del 3% di tutta la popolazione italiana) la colloca al quarto posto in Europa, dopo la Germania, la Francia e la Gran Bretagna che hanno percentuali più alte.

L'immigrazione è un fenomeno sociale che mette alla prova le capacità della nostra gente di confrontarsi con mentalità diverse e richiede la formazione di una cultura dell'accoglienza, oltre alla tolleranza e al rispetto.

E' un fenomeno che la politica è chiamata a controllare e a governare, secondo regole ben definite, soprattutto per impedire che attraverso l'immigrazione clandestina passi la criminalità.

Gli immigrati non hanno bisogno d'assistenza ma di integrazione nelle nostre comunità con precisi doveri, come ogni altro cittadino, ma anche con i diritti di tutte le persone e, per noi credenti, secondo il messaggio cristiano, che chiama tutti gli uomini a sentirsi fratelli perché figli di un unico Padre.

 

Laicità

Mai come in questa stagione della storia d'Italia la Chiesa, i suoi uomini rappresentativi, le sue istituzioni, sono stati ricercati e quasi corteggiati, un po' da tutti; e nello stesso tempo mai come ora si sono sprecati gli appelli alla "laicità" e le messe in guardia contro vecchi e nuovi clericalismi.

I cristiani operanti in politica che hanno veramente recepito la lezione del Concilio Vaticano II sanno che la città dell'uomo e la città di Dio sono ben distinte, anche se non separate. "Ispirazione cristiana" della politica è fare riferimento ai grandi valori del Vangelo - rispetto della persona e attenzione agli ultimi, radicale uguaglianza fra gli uomini e libertà di coscienza - e non rivendicazione di primogeniture ecclesiastiche.

Su questa ispirazione, che viene dal cristianesimo, è fondata la laicità della politica, cioè la sua autonomia e la distinzione dalla religione.

Prevenire l'insorgere di nuovi anticlericalismi significa non dimenticare la lezione conciliare, evitando di compromettere la Chiesa nelle "piccole cose" della politica; e di una politica, tuttavia, che non è pura gestione del potere ma anche concreto ed operoso impegno per l'uomo, di quell'uomo che non a caso Giovanni Paolo II ha chiamato "la via della Chiesa".

 

Meridione

II solco che separa il Sud dal Nord in termini di occupazione, di produttività e di investimenti ha fatto parlare spesso di Italia a due velocità. Ma negli ultimi tempi è aumentata anche la velocità del Sud: per la prima volta, nel triennio che va dal 1995 al 1998, il Sud è cresciuto un po'di più rispetto al resto del Paese.

Il PIL del Mezzogiorno è ancora all'incirca un quarto di quello nazionale e quello medio pro capite è all'incirca i due terzi del reddito medio degli italiani. Ma sono cambiati due fattori decisivi dell'economia territoriale: la produttività e gli investimenti. Mentre gli investimenti creano occupazione, c'è bisogno di un adeguamento dei salari alla produttività per non correre il rischio di investire nel Meridione per risparmiare lavoro invece che per crearne. In questi anni è diminuito il sostegno pubblico ma è migliorata l'economia privata: sono nate nuove imprese; sono cresciute le esportazioni. Ci sono i presupposti per arrivare a una migliore corrispondenza fra salari e produttività e per cominciare finalmente a ridurre il divario col resto del Paese.

Per molto tempo il Meridione è stato considerato come un problema nazionale e non come una opportunità per tutti. Ma, se l'Italia non ha bisogno di una "questione meridionale", non può fare a meno, invece, del Meridione, delle sue risorse umane e culturali, dei suoi valori, radicati nella gente ed espressi nella originalità delle tradizioni locali. Nel futuro del Paese, il Sud ha una sua vocazione che è compito anche della politica rispettare e coltivare.

 

New economy

Con lo slogan "Back the Net" (sostieni la rete) è stata indetta da un sito americano la Giornata della Nuova Economia, celebrata il 3 aprile scorso. La data non è stata scelta a caso. Infatti, il 3 aprile dello scorso anno il Nasdaq, indice dei titoli tecnologici e termometro della New economy, precipitò di 349 punti facendo vacillare la fiducia degli operatori di Wall Street. Dunque, la Giornata voleva ridare fiducia ai netizens (cittadini della rete) e dimostrare che il negozio virtuale ha un futuro. Non sappiamo quanti italiani abbiano raccolto l'invito della Giornata a comprare qualcosa, qualsiasi cosa, dal supermarket globale del web. Sappiamo però che quasi due milioni di italiani fanno shopping on line.

L'e-commerce (commercio elettronico) ? il settore della New economy che interessa lo scambio dei prodotti, mentre la Nuova economia è, appunto, un modo nuovo di produrre beni di consumo. Lo strumento è Internet, la grande rete, che non è solo il giocattolo per navigare nel divertimento ma è uno strumento di lavoro per produrre e fare ricchezza, rimanendo anche a casa o in qualsiasi luogo.

Nelle Considerazioni finali proposte all'assemblea del 31 maggio 2000, il governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio ha detto che la Nuova economia "non è altro che la riorganizzazione attuata attraverso l'informazione e l'innovazione, dell'assetto produttivo operante".

Non mancano gli studiosi di sociologia che, di fronte all'euforia degli economisti, considerano la New economy come la grande truffa del secolo! Noi riteniamo che la New tecnology in genere, sia un'opportunità, bisognosa di regolamentazione e di controllo, perché il grande potenziale di cui è dotata sia a servizio di una migliore qualità della vita e di una più responsabile conoscenza del mondo che abitiamo.

 

Occupazione

A metà del 1996 c'erano in Italia 20 milioni 119 mila occupati. Alla fine del terzo trimestre del 2000, gli occupati erano 21 milioni 95 mila, con un aumento di quasi un milione di unità. Nello stesso periodo, il tasso di disoccupazione è sceso dall'll,7% al 10,5%. Nel gennaio scorso è andato al di sotto del 10%.

Tra le misure che hanno contribuito a sbloccare il mercato del lavoro, la principale è stata l'introduzione dei contratti interinali: i rapporti di lavoro avviati utilizzando questa forma contrattuale sono stati 260 mila nel 1999 e 228 mila nei primi sei mesi del 2000. Circa il 30% dei lavoratori assunti con contratto interinale restano poi nelle aziende con contratti stabili.

A fine 1995 erano registrate in Italia 4 milioni 243 mila imprese (il dato non tiene conto delle imprese agricole, per le quali l'obbligo di registrazione è intervenuto successivamente). A ottobre 2000, il numero era salito a 4 milioni 611 mila. Questo aumento è distribuito in tutta l'Italia, a conferma di una ripresa economica che comincia a coinvolgere anche il Mezzogiorno, dove tuttavia è ancora alto il tasso di disoccupazione (il 65% dei disoccupati italiani abita da Roma in giù). Pur registrando una ritrovata vitalità del sistema produttivo italiano, rimane ancora molto da fare, soprattutto per costruire una cultura del lavoro che consideri la disoccupazione non solo una perdita economica ma anche una ferita politica e promuova il lavoro come bene comune e valore significativo delle relazioni sociali.

 

Pensioni

Imprenditori, sindacati, politici sono convinti, pur con diversissime ragioni, che l'attuale sistema pensionistico vada rimodulato. Si discute su come e quando ma sulla necessità di una riforma sono tutti d'accordo. In un paese dove è ormai in atto da diversi anni un calo demografico non si può far reggere solo sulle future generazioni la spesa previdenziale. L'attuale sistema va, quantomeno, integrato. Non si tratta di tagliare le pensioni ma di dar vita al prolungamento del sistema integrativo.

L'attenzione va posta, innanzitutto, sulla riforma del sistema che regge le liquidazioni dei lavoratori dipendenti, il cosiddetto TFR (trattamento di fine rapporto), per indirizzarlo verso la .previdenza integrativa che è il secondo indispensabile pilastro del futuro sistema pensionistico. Si può e si deve puntare alla creazione di Fondi pensione, a "contribuzione definita", sbloccando i veti incrociati proprio sull'utilizzo del TFR. I tentativi in questa direzione fatti dagli ultimi governi della XIII legislatura si sono arenati per la netta contrapposizione tra esecutivo, Confindustria e sindacati. Il discorso è solo rimandato ai prossimi mesi. Per il momento vanno accolte le novità in materia previdenziale contenute nella Finanziaria 2001: l'ammorbidimento del divieto di cumulo tra pensione anticipata e altro reddito da lavoro; l'incentivazione per favorire il rinvio del pensionamento anticipato da parte degli "over 50".

 

Questione sociale

La vecchia "questione sociale" - quella che impegnò alle sue origini, nella stagione del primo e "selvaggio" capitalismo, il movimento cattolico e quello socialista - è ormai alle nostre spalle. Ma si profila una "nuova questione sociale": quella che ha per, oggetto le conseguenze, spesso drammatiche, della globalizzazione; che deve fare i conti con l'impatto sociale di una esasperata competitivita; che è chiamata a misurarsi con le minacce portate alle radici stesse della vita.

Di fronte a chi ritiene che la "nuova questione sociale" possa essere risolta attraverso una cieca fiducia nelle capacità di autoregolazione del mercato e della stessa società, la Dottrina sociale della Chiesa di ieri, come quella di oggi, ricorda e richiama anche le responsabilità dei pubblici poteri. "é compito dello Stato provvedere alla difesa e alla tutela di quei beni collettivi... la cui salvaguardia non può essere assicurata dai semplici meccanismi di mercato" (Centesimus annus, n. 40).

La dimensione morale delle questioni economiche e il iritto inalienabile di tutti al soddisfacimento dei bisogni fondamentali forniscono le ragioni etiche per la realizzazione dello Stato sociale.

Al di fuori di ogni miope e obsoleto statalismo è questo progetto di governo della politica, anche nei confronti dell'economia, che deve essere rivendicato come passaggio obbligato per la soluzione della "nuova questione sociale" del XXI secolo.

 

Riforme

Nella legislatura che si è appena conclusa fu istituita una Commissione bicamerale per le riforme istituzionali e costituzionali. Il fallimento della Commissione voluto dal centro-destra ha reso più difficile il cammino riformatore. Tuttavia la legislatura si caratterizza proprio per le tante riforme varate. Ne elenchiamo alcune.

La riforma costituzionale e amministrativa ha reso più leggero lo Stato, più agile ed efficiente il Governo nazionale, ha arricchito le competenze legislative e di indirizzo delle Regioni, ha reso i Comuni e le Province veri centri esponenziali della cittadinanza.

Il principio di sussidiarietà ha ispirato la legge costituzionale sul federalismo, approvata definitivamente dal Senato l'8 marzo scorso, che modifica il rapporto tra governo centrale ed enti locali. Così, i] potere amministrativo parte dal Comune, in quanto ente più vicino ai cittadini. Inoltre, nella gestione dei servizi pubblici viene favorita l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati. Innovativo, all'interno di questa riforma, è il federalismo fiscale. I Comuni, le Province, le Città metropolitane le Regioni hanno risorse autonome, stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri.

Date le disuguaglianze sociali del territorio nazionale, lo Stato, applicando il principio di solidarietà, si impegna ad istituire un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale e si assume il compito di rimuovere gli squilibri economici e sociali tra gli enti locali.

Non essendo stata votata da una maggioranza qualificata (per l'opposizione del centro destra) la legge sarà sottoposta al parere degli elettori che saranno chiamati ad esprimersi in un referendum popolare per confermare o meno la legge stessa.

 

Scuola

Il progetto di riordino dei cicli scolastici, messo in cantiere dal ministero della Pubblica istruzione agli inizi del 1997, riportò l'attenzione della politica e dell'opinione pubblica sulla scuola e sulle sue competenze formative.

Ne seguì un dibattito vivace, talvolta frontale e polemico, anche da parte di alcuni ambienti cattolici, impegnati soprattutto nelle richieste di parificazione tra "scuola pubblica" e "scuola privata". Oggi, quel progetto è legge dello Stato (n. 30 del 2000) e impegna tutti in una vigile e responsabile attuazione. II quadro completo della riforma comprende anche la legge sull'autonomia (n. 59 del 1997) che trasferisce gradualmente alle singole istituzioni scolastiche, secondo il principio dell'autonomia educativa (finanziaria, organizzativa e didattica), competenze e ruoli finora attribuiti al ministero e ai provveditorati. Contestuale alla riforma è l'estensione fino al 18° anno dell'obbligo formativo, anche se l'obbligo scolastico rimane fermo al 15° anno.

La nuova scuola, dal 1 settembre prossimo, si articolerà in due grandi cicli: scuola di base (dall'età di 6 a 13 anni) e scuola secondaria (da 14 a 18), preceduti dalla scuola dell'infanzia, di durata triennale (da 3 a 5 anni).

Di fronte alle perplessità, più o meno giustificate, di una riforma che esalterebbe la valenza tecnologica delle conoscenze e introdurrebbe una gestione aziendalistica della cultura, noi riteniamo che si debba stare dentro il processo riformatore, per orientarlo sull'asse pedagogico e sulla centralitù della persona da educare.

Questa intenzione può tradursi in effettiva ettenzione dei genitori e degli insegnanti nel momento dell'elaborazione del POP (Piano dell'offerta formativa) nel quale ciascuna scuola renderà visibile l'identità educativa del proprio progetto di istruzione.

 

Tasse

Nel 1996 la pressione fiscale globale (tributi più contributi) rappresentava il 42,6% del PIL.

Dopo un incremento temporaneo, dovuto alla necessità di adeguare l'Italia ai parametri di Maastricht, oggi il dato è in via di riduzione, e il Governo quest'anno ha fissato l'obiettivo di portare la pressione al 41% entro il 2003/2004.

I Governi dell'Ulivo, riformando la struttura dei tributi e il funzionamento del fisco, combattendo l'evasione fiscale (10 mila miliardi recuperati solo nel 2000), hanno realizzato una maggiore giustizia fiscale.

Intanto è stato completamente ristrutturato il sistema dei tributi, con l'introduzione dell'Irap (Imposta regionale sulle attività produttive), che ha sostituito sette diverse imposte, e della "Dual Income Tax" che prevede un regime di favore per gli utili d'impresa reinvestiti, con la riduzione da 7 a 5 delle aliquote Irpef.

Quest'opera di razionalizzazione, unita agli effetti della ripresa economica, ha consentito di prevedere, a partire dal 2001, alleggerimenti fiscali in particolare a carico delle famiglie, delle piccole imprese, di tutte le imprese che reinvestono gli utili.

Le due novità che forse più di tutte hanno contribuito a migliorare il rapporto tra cittadini e fisco sono la possibilità per i contribuenti di presentare on line le loro dichiarazioni (a maggio 2000 le dichiarazioni dei redditi presentate per via telematica hanno superato quota 31 milioni) e l'accorpamento in un unico ufficio (l'Ufficio delle Entrate) dei molti uffici che esistevano prima (Ufficio del Registro, Ufficio Iva, Ufficio distrettuale delle imposte dirette, ex-Intendenze di Finanza).

 

Uguaglianza

E' quasi un luogo comune affermare che storicamente la sinistra si è definita per la sua "passione per l'uguaglianza" mentre la destra si è identificata soprattutto nella sua "passione per la libertà". In realtà, fatti esperti della lezione della storia, noi sappiamo che uguaglianza e libertà stanno insieme e che non vi è vera uguaglianza fra gli uomini fuori dalla libertà, nè autentica libertà che non si fondi sul principio dell'uguaglianza e che non tenti di tradurlo concretamente nella storia. Inoltre, rendere uguali i cittadini non vuol dire uniformare tutti allo stesso livello ma consentire a ciascuno di affermare e sviluppare le qualità e le libertà personali.

Non manca oggi chi, in Italia, pone al centro del suo programma politico la libertà (invero, soprattutto la libertà economica, che però non è e non può essere la sola) e pone fra parentesi l'uguaglianza.

Importa - si dice - rimuovere i "lacci e lacciuoli" che frenano la libertà (economica), senza preoccuparsi oltre misura dell'uguaglianza. Ma l'uguaglianza non è la "figlia naturale" della libertà?

Riconoscere i diritti di tutti gli uomini - anche dei meno dotati, degli emarginati, dei più deboli, degli "ultimi" - suppone un lucido impegno intellettuale e un lungimirante progetto politico volto a rimuovere, in quanto possibile, le cause della disuguaglianza.

 

Volontariato

Esploso negli ultimi anni con inedita vivacità, oggi il volontariato organizzato è rappresentato da un arcipelago di soggetti, di associazioni, di iniziative sull'intero territorio nazionale ed è regolato da una legge-quadro (n. 266 del 1991) alla quale sono seguite leggi regionali. C'è anche un volontariato individuale e familiare che è difficile quantificare e ricondurre nella tipologia propria delle attività volontarie.

Data anche l'ampiezza di significato che viene attribuita al termine "volontario", riteniamo necessario definirlo, indicando gli elementi che lo costituiscono: la spontaneità, la finalità di servizio, la gratuità e la continuità.

Un'attività è volontaria se è frutto di libera scelta, finalizzata a servire gli altri, senza guadagno alcuno e in modo continuo, non occasionale o saltuario.

Questi caratteri distinguono il nuovo volontariato, impegnato a combattere e a rimuovere le cause dell'emarginazione, dal volontariato tradizionale, di tipo assistenziale dei bisogni e riparatorio dei mali sociali. Perciò, il nuovo volontariato assume una intenzionale valenza culturale e politica.

In genere si pensa che la solidarietà sia la virtù propria del volontariato e che quindi sia una libera scelta di alcuni. Invece è un dovere di tutti i cittadini, perché c'è una solidarietà dovuta che precede la solidarietà voluta e che rientra nella piena cittadinanza. Anche se non siamo tutti volontari, dobbiamo essere tutti solidali.

 

Zavorra

Che c'entra la zavorra con la politica? Niente o, forse, sì, un legame possiamo stabilirlo.

Se prendi un dizionario della lingua italiana, puoi vedere che per zavorra si intende quel materiale pesante che si mette sul fondo di una nave per assicurarne la stabilità.

Ma è anche ciò di cui la nave o gli aerostati si liberano quando imbarcano acqua o perdono quota.

Perciò, con significato traslato, zavorra è cosa o persona di poco valore, di cui si fa o si deve fare a meno.

Più volte l'Italia è stata paragonata ad una nave.

Noi non riteniamo che la nave italiana rischi di affondare o che l'aerostato delle nostre idealità stia perdendo quota. Ma scaricare le cose inutili e perfino dannose, stipate in questi anni, non sarebbe male.La politica, certo, ha bisogno di alleggerirsi, di pulirsi, di liberarsi dai tanti condizionamenti che la costringono a volare basso. Ma anche i nostri stili di vita sono appesantiti, ingolfati di cose senza valore, che ci legano e condizionano. é una vita zavorrata! La sobrietà, che è virtù della temperanza, dovrebbe regolare il rapporto tra ciò che abbiamo e ciò che desideriamo, per moderare l'ambizione dell'avere e potenziare ciò che vogliamo essere. È l'unica "moderazione" che vorremmo esercitata dai candidati di questa campagna elettorale ad alto volume.