Chiesa e Magistero

Nostalgia di Costantino?

Il numero 7/2011 della nota rivista Rocca ha pubblicato una riflessione di Giancarlo Zizola: ne riportiamo alcuni brani.

Giancarlo Zizola

(…) Catto-berlusconismo

L'insorgere di una tentazione neo-costantiniana è senza dubbio facilitato dalla deriva liberistica del governo Berlu­sconi che ha applicato la politica della privatizzazione anche ai rapporti con la Santa Sede e con la CEI, riducendoli ad un aberrante mercato di privilegi confessionali in cambio di consenso. Anche all'interno della coalizione governativa si nota con allarme che è invalsa una prassi per cui vengono sistematicamente saltati i canali diplomatici dello Stato per privilegiare comunicazioni dirette tra membri del governo e prelati romani e trattare a questo livello privatistico misure legislative di interesse ecclesiastico.

Una prassi del genere è andata incontro al neo-costantinia­nesimo di settori ecclesiastici, segnando la crisi dell'impian­to conciliare della Gaudium et Spes sul quale si fondava l'aspettativa che la Chiesa seguisse altre strade, diverse da quella delle posizioni di potere, per farsi strada nel mondo delle anime. Di fatto, la Chiesa reale ha ceduto alla facilità di una Chiesa ‘di Stato’ esorbitando dal proprio campo con interventi in­vasivi nei campi in cui, in una società pluralista, lo Stato può e deve legiferare, cioè sulle coppie di fatto, sul tratta­mento di fine vita, sulla ‘pillola abortiva’ eccetera: altrettan­ti campi sui quali lo Stato ha competenza ed è tenuto a in­tervenire con attente mediazioni fra l'ordine dei valori e la complessa realtà sociale in rapida trasformazione. Si tratta di situazioni che di fatto sono presenti nella nostra società, e sui quali il potere civile è pienamente legittimato a legife­rare per inquadrarle in un minimo di normativa civile, ad evitare mali maggiori.

Strategie interventiste

Le sortite di alcuni vescovi di regime ne hanno dato una corposa convalida, nella congiuntura delle notti orgiastiche del premier. Tra le scorciatoie assolutorie escogitate, nes­sun discepolo laicista di Machiavelli avrebbe saputo toccare le altezze cognitive raggiunte da Giampaolo Crepaldi, il ve­scovo che sta dividendo la comunità cristiana di Trieste. In un volume Il cattolico in politica. Manuale per la ripresa (Can­tagalli, 2011), Crepaldi afferma: “Tra un partito che contemplasse nel suo programma la difesa della famiglia fondata sul matrimonio e il cui segretario fosse separato dalla moglie, e un partito che contemplasse nel programma il riconoscimento delle coppie di fatto e il cui segretario fos­se regolarmente sposato, la preferenza andrebbe al primo partito”. E aggiungeva: “E più grave la presenza di principi non accettabili nel programma che non nella pratica di qual­che militante, in quanto il programma è strategico ed ha un chiaro valore di cambiamento politico della realtà più che le incoerenze personali”.

Il suo confratello Luigi Negri, vescovo di San Marino e Mon­tefeltro, non esitava a schierarsi a difesa di Berlusconi, ad­ducendo (in un articolo al settimanale Tempi, poi in una intervista a La Stampa) l'appoggio assicurato da questo go­verno ai ‘principi non negoziabili’, quali la difesa della vita dal suo inizio al suo termine naturale, ai valori della fami­glia, avvalorando questi vantaggi come sufficienti a giustifi­care la mancanza di ‘indignazione’ verso le condotte perso­nali del premier (in realtà, verso le presunte sue violazioni di leggi dello Stato sulla concussione e la prostituzione mi­norile, contestategli dalla Procura di Milano).

Lo spettacolo di vescovi che si prodigavano ad affondare alcuni principi fondamentali dell'ordine cristiano tradiziona­le per tenere a galla Berlusconi non poteva lasciare indiffe­renti. Già al Consiglio Permanente della CEI, aperto il 24 gennaio ad Ancona dalla prolusione del Cardinale Bagna­sco, si erano manifestate le inquietudini di alcuni vescovi secondo i quali la Chiesa con il suo atteggiamento ancillare nei confronti del regime avrebbe assunto ‘la responsabilità di intrattenere questo governo’. ‘Un conto è pazientare, tutt'al­tro sostenere’ era stato osservato da chi avvertiva dei gravi danni che una sostanziale collusione col regime avreb­be procurato alla missione pastorale, chiamata a rivol­gersi a tutti, al di là di opzioni politiche settarie.

A Crepaldi hanno risposto alcuni gruppi cristiani di Verona (in ‘Segni dei tempi’, anno II, n. 10) indicando il pericolo dell'immoralismo berlusconiano, dei suoi fiancheggiatori e della vasta pletora dei tolleranti per il suo potere destruttu­rante dal punto di vista civile e politico. Essi contestavano ‘ la pretesa di scindere vita privata e vita pubblica’ come uno dei fattori (accanto all'eventuale responsabilità per atti penalmente rilevanti) che ‘inquinano alla radice la possibili­tà della costruzione di una vita sociale in cui si possa ricono­scere’.

La vera alternativa a Dio

Sulle tesi neo-costantiniane di Negri interveniva poi, uscen­do da un prolungato silenzio, l'emerito vescovo di Ivrea Lui­gi Bettazzi. In una ‘Lettera aperta’ egli difendeva lo statuto originalmente evangelico dell'’indignazione’ e rammentava che tra i principi ‘non negoziabili’ è presente quello fonda­mentale della solidarietà, in forza del quale ci si deve impe­gnare non solo in difesa delle vite più deboli ma anche di tutte le vite ‘minacciate’, ‘come sono quelle di quanti sfug­gono la miseria insopportabile o la persecuzione politica, che sono invece fortemente condizionate dal nostro Gover­no’. Del resto, anche sotto il profilo delle ‘consonanze cri­stiane’, ‘non si è fatto nulla per favorire la vita nascente con leggi che incoraggino il matrimonio e la procreazione come ha fatto la 'laica' Francia’. Infine, a contraddire la tesi che il politico va giudicato solo per la politica, Bettazzi ricor­dava che *chi sta in alto deve dare il buon esempio perché egli - tanto più in quest'era mediatica, influisce sull'opinione pubblica. Ed è questo che dovrebbe preoccupare noi vescovi, cioè il diffondersi, soprattutto fra i giovani, dell'opinione che quello che conta è 'fare i furbi', è riuscire in ogni modo a con­quistare e difendere il proprio interesse, il bene particolare, anche a costo di compromessi, come abbiamo visto nei genito­ri e nei fratelli che suggerivano alle ragazze di casa di vendersi ad alto prezzo’. Così si diffonde l'idolatria del fare soldi, del fare ciò che si vuole, concludeva Bettazzi. Si instaura nella società ‘la vera alternativa a Dio’ (‘o Dio o mammona’), si ignorano le raccomandazioni della CEI sul bene comune come impegno specifico dei cristiani.(…)

(…) Con pericoli per lo sviluppo delle dinamiche democratiche ( al­tro che puritanesimo moralistico !), ma anzitutto pericoli ‘per l'anima della Chiesa stessa, per la sua mistica’ ammoniva Achil­le Ardigò poco prima di morire. ‘Vedo il pericolo - sottoli­neava il discepolo di Giuseppe Dossetti - nella volontà ormai esplicita della gerarchia di scendere direttamente, in prima persona, sul terreno politico più operativo, quello dell'organiz­zazio­ne, delle scelte tattiche, delle valutazioni di convenienza e opportunità, del fine che giustifica i mezzi (...). La Chiesa non può farsi partito politico senza rischiare di dissolvere il proprio fondamento mistico’.

Dizionarietto della Settimana Sociale di Reggio Calabria

Settimana sociale dei cattolici italiani (46a)

Chiara Santomiero
14 Marzo 2011

In 22 pagine il Documento finale della Settimana Sociale di Reggio Calabria ( 14-17 ottobre 2010) "Un cammino che continua: … dopo Reggio Calabria " raccoglie una serie di questioni legate al ruolo della Chiesa in Italia in ordine al bene comune della società. Ecco una sintesi delle indicazioni più importanti con i rimandi al testo integrale del documento.

AGENDA. Formulare un’agenda di speranza per il Paese, finalizzata al servizio del bene comune, era lo scopo della 46a Settimana Sociale. Cosa può significare oggi, in Italia, per noi cattolici e per la Chiesa tutta, servire il bene comune? E, in termini moralmente ancor più stringenti: in questo momento tanto difficile, da dove è realisticamente possibile cominciare?

AMBIENTE (n. 13) La situazione critica in cui versa l’ambiente deve suscitare attenzione non solo nella comunità civile, ma anche nella Chiesa e tra i credenti, chiamati a essere custodi della creazione.

BENE COMUNE (nn. 11-12) La nozione di bene comune che la Chiesa insegna impedisce di guardare in una sola direzione (ad esempio, verso la politica) e di affidarsi a un solo gruppo di soggetti e di istituzioni. Chiede poi capacità di sintesi e di parsimonia, non però secondo schemi astratti, ma cercando di intendere il risultato mai scontato dell’incontro tra dati di realtà e fede. (…) I partecipanti alla 46a Settimana Sociale hanno condiviso il giudizio per cui, nelle condizioni date, la responsabilità per il bene comune impone come ineludibile la condizione di una ripresa della crescita, certamente a livello economico, ma non solo. La ripresa di cui c’è bisogno richiede l’impegno di tanti soggetti: perché va perseguita in diverse direzioni, e perché – esauriti i vecchi modelli, e tra questo particolarmente quello fondato sull’espansione indiscriminata della spesa pubblica – tali soggetti costituiscono la principale forza che resta al Paese. A questi soggetti occorre chiedere ancora, dando in cambio maggiore libertà: non assenza di regole, ma meno regole e migliori.

CITTADINANZA (n. 15) Vi è stata ampia convergenza sul riconoscimento della cittadinanza italiana ai figli degli stranieri nati in Italia. Si è discusso invece sulle condizioni per il riconoscimento e l’esercizio della cittadinanza a stranieri giovani e adulti, anche con riferimento alla necessaria attenzione per i doveri che ne conseguono. E’ stata sottolineata la necessità di mettere mano a una revisione complessiva dell’attuale legge sulla cittadinanza, riducendo i tempi del riconoscimento – anche in relazione al contesto europeo – e la discrezionalità della procedura. È emersa poi la necessità di predisporre specifici percorsi per l’inclusione e per l’esercizio della cittadinanza, concedendo, tra l’altro, il diritto di voto almeno alle elezioni amministrative e l’ammissione al servizio civile. (…) E’ importante valorizzare le eccellenze garantendo pari opportunità sia nel riconoscimento dei titoli di studio, sia attraverso borse di studio per l’accesso a livelli di studio superiori e universitari.

COSTITUZIONE (n. 17) La Costituzione italiana è frutto di un’esperienza esemplare di alto compromesso delle principali culture politiche del Paese. Eventuali modifiche non devono stravolgerne l’impianto fondante, definito anzitutto nella prima parte.

CULTURA (n. 5) In un’ora segnata dalla crisi economica, occorre andare alla radice culturale dei problemi, che si manifestano “in particolare nella crisi demografica, nella difficoltà a valorizzare appieno il ruolo delle donne, nella fatica di tanti adulti nel concepirsi e porsi come educatori”. Alla “cultura” viene così riconosciuto uno spessore e una concretezza sovente trascurati: sono “cultura” i modi e i luoghi in cui vita e socialità si incontrano. (…) Si comprende, allora, l’invito a riconoscere “l’insostituibile funzione sociale della famiglia cuore della vita affettiva e relazionale” (…) o il richiamo all’urgenza di affrontare “il fenomeno migratorio.

DESTINATARI (n. 2). Questo testo è offerto a tutti i cattolici italiani, perché a tutti è diretto l’invito che scaturisce dalla rinnovata coscienza della grave responsabilità che ci è affidata in ordine al servizio del bene comune del Paese. Oggi è quanto mai evidente che “il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna” (GS 43). Ci rivolgiamo infine a tutti gli italiani, perché quello al bene comune è servizio che possiamo rendere insieme.

EMERGENZA EDUCATIVA (n. 14). Nella sessione educare per crescere, la tematica è stata affrontata come “emergenza educativa”, intesa come possibilità che provoca e invita a una risposta positiva. (…) È stata largamente sottolineata l’importanza del ruolo dell’adulto e della sua funzione di autorità nel processo educativo ed è stato condiviso il carattere prioritario dei tre nodi problematici proposti nel documento preparatorio: dare più strumenti a scuola e famiglia per premiare l’esercizio della funzione docente e incentivarne l’assunzione di responsabilità; sostenere l’esercizio dell’autorità genitoriale in famiglia; promuovere l’azione educativa dell’associazionismo e delle comunità elettive.

FEDERALISMO (n. 17) A partire dalla riforma del titolo V della Costituzione, avvenuta nel 2001, il federalismo fa ormai parte della storia nazionale. (…). Ci troviamo di fronte a un duplice bivio. In primo luogo, si può fare del federalismo una lotta agli sprechi, responsabilizzando chi ha potere decisionale in ordine alle spese e i cittadini a un controllo più deciso, oppure si può passare da un centralismo statale a un centralismo regionale, con il rischio di prevaricazione da parte di poteri non trasparenti. In secondo luogo, si può fare del federalismo un modo diverso di pensare l’unità del Paese, oppure sancire una frattura ancora più insanabile tra Nord e Sud. Di fronte a queste alternative, il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale (cioè la poliarchia) si offre come prospettiva dirimente capace di valorizzare due grandi protagonisti della democrazia, l’associazionismo e la città. Dare coerenza di sussidiarietà al federalismo serve anche a offrire al Mezzogiorno “una sfida che potrebbe risolversi a suo vantaggio, se riuscisse a stimolare una spinta virtuosa nel bonificare il sistema dei rapporti sociali, soprattutto attraverso l’azione dei governi regionali e municipali, nel rendersi direttamente responsabili della qualità dei servizi erogati ai cittadini, agendo sulla gestione della leva fiscale” e alimentando nel Paese una sana reciprocità. A queste condizioni, il federalismo costituisce un obiettivo realistico di migliore unità politica e di maggiore solidarietà. (…) Tanto una riforma in senso federalista dà respiro di sussidiarietà al sistema politico, quanto un rafforzamento dell’esecutivo nazionale pone le condizioni di efficaci politiche di solidarietà.

GIOVANI (n. 14) Ai giovani deve essere riconosciuta l’opportunità di assumere ruoli di responsabilità e di reale protagonismo. (…) Nei luoghi ecclesiali deve essere possibile sperimentare regole, obiettivi, ragioni di impegno, che consentano di maturare prospettive. (…) Le associazioni diventano spazi importanti per dare voce al mondo giovanile e rappresentarne le istanze presso le istituzioni e la società civile. E’ importante recuperare anche l’originaria funzione formativa del servizio civile volontario, strumento utile ad abilitare i giovani a conoscere la realtà, leggerne i bisogni e dare risposte concrete.

IMMIGRAZIONE (n. 15). Il percorso di tutela dei diritti fondamentali della persona immigrata – che non si identifica con il rilascio della cittadinanza – è incompleto e presenta ancora punti deboli o problematici, soprattutto in riferimento ai clandestini e agli irregolari. La Dichiarazione dei diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie attende ancora la ratifica da parte dell’Italia. La giusta retribuzione e le condizioni di lavoro degli immigrati non sono garantiti in ogni settore. Manca una specifica legge sul diritto d’asilo e vanno rafforzate le azioni di accoglienza rivolte a coloro che fuggono da condizioni di persecuzione politica. È necessaria una revisione della legge sul rispetto delle minoranze etniche o linguistiche. Troppo debole è l’impegno per la protezione sociale per le vittime della tratta per sfruttamento sessuale e per lavoro e il contrasto al traffico degli esseri umani, spesso gestito da organizzazione criminali internazionali. Permane una forte discriminazione tra cittadini regolari e irregolari in riferimento alla tutela della salute e della maternità e alle pene alternative al carcere. (…) Occorre superare una lettura emergenziale del fenomeno evitando semplificazioni e pregiudizi, che rischiano di connettere automaticamente immigrazione e criminalità, aumentando la paura che i migranti possano indebolire la nostra sicurezza.

LAICATO (n. 3) Mentre si è sperimentata la verità dell’impegno della Chiesa per il bene comune, si sono espresse le ragioni e la rinnovata forza di quel particolare e decisivo contributo proprio dei laici, in primo luogo con riferimento ad ambiti rimessi anzitutto alla loro responsabilità. Tutto questo ha mostrato un laicato bello, non silente, preparato, capace di dar vita a una nuova stagione del proprio insostituibile apostolato.

LEGGE ELETTORALE E PARTITI (n. 17) C’è bisogno di una legge – coerente con i correttivi che vanno apportati alla legge elettorale e alla forma di governo – che disciplini alcuni aspetti cruciali della vita dei partiti, prevedendone la pubblicità del bilancio e regole certe di democrazia interna. In maniera altrettanto convinta ci si è pronunciati per la revisione della legge elettorale a tutti i livelli e per tutte le istanze. Occorre dare all’elettore un reale potere di scelta e di controllo. Bisogna anche affrontare la questione del numero dei mandati e dell’ineleggibilità di quanti hanno pendenze con la giustizia. Il nodo della forma di governo è stato affrontato in coerenza con la richiesta di restituire il potere di scelta ai cittadini-elettori.

LAVORO E IMPRESA (n. 13) La ripresa, anche in termini strettamente economici, ha bisogno di imprese che rafforzino la capacità competitiva, ritrovino il percorso della produttività, attuino forme di responsabilità del lavoro. Per la loro crescita è decisivo anche il contesto sociale, culturale e il rispetto della legalità. Alcune delle modalità con cui viene aumentata la flessibilità del mondo del lavoro, in particolare nel settore della pubblica amministrazione, rischiano di produrre fenomeni di precarietà, che aggravano ulteriormente l’insicurezza dovuta in primo luogo alla difficile situazione economica. Come attenuare le conseguenze negative di questo fenomeno? Bisogna anzitutto abbattere il lavoro sommerso, aumentando i controlli e usando la leva fiscale, anche con incentivi alle imprese che assumono con contratti regolari, e portare a termine riforme indilazionabili, quali quelle degli ammortizzatori sociali e quelle consistenti nell’adozione di strumenti normativi che tutelino chi lavora in modi adeguati a ruoli e contesti produttivi sempre più diversificati. È decisivo che il lavoro non contraddica le funzioni essenziali e qualificanti della famiglia, ma le sostenga e le rafforzi, garantendo così un ulteriore fattore di crescita.

MAFIA (n. 17) La lotta alla mafia in tutte le sue denominazioni e in ogni area del Paese va accompagnata da una coerente azione educativa e dotando l’amministrazione giudiziaria delle risorse atte a favorite la certezza del diritto.

MEDIA (n. 14) I media costituiscono un luogo di educazione informale che permea la società, rivolgendosi tanto alla fascia giovanile che a quella adulta. Con particolare riferimento alla televisione e a Internet, è stata sottolineata la prevalente negatività dei modelli proposti e la necessità di un codice etico di riferimento che non penalizzi le grandi potenzialità di cui sono portatori.

MOBILITA’ SOCIALE (n. 15) E’ emersa con chiarezza l’attenzione alle dinamiche della vita sociale, aperti verso forme nuove di mobilità e insieme preoccupati dei poveri e di coloro che hanno meno risorse. (…) Due questioni i particolare: l’università – è stato chiesto di interrogarsi in modo approfondito sull’autonomia universitaria, sulle modalità di finanziamento di governance degli atenei, sul reclutamento dei docenti, sulla strutturazione dell’offerta formativa in relazione al territorio e del mondo del lavoro – e sull’ambito delle professioni.

PAROLE CHIAVE (n. 3) Sono tre: unità, speranza e responsabilità. L’impegno a elaborare un’agenda di problemi cruciali in vista del bene comune del Paese (…) è via di unità nell’impegno a promuovere anzitutto una cultura dell’uomo, della vita, della famiglia, fonte di uno sviluppo autentico, perché fondato sul rispetto assoluto e totale di ogni persona. (…) Tocca a noi guardare al futuro del Paese senza paura, con quella “speranza affidabile” che nasce dal Risorto e va incarnata nella vita di ogni giorno. Siamo noi i primi a essere chiamati a operare in un orizzonte di vita e non di declino. (…) Abbiamo questo debito anzitutto verso i giovani. (…) Ci è dato di comprendere in termini storicamente determinati come la fede si faccia condivisione, corresponsabilità, partecipazione.

POLIARCHIA (n. 9) In questa prospettiva le forme sociali appaiono plurali e non uniformi (cfr CDSC 150-151) e l’ordine sociale – per esprimersi con le parole della Caritas in veritate – “poliarchico” (n. 57), sino a consentirci di parlare anche di un bene comune fatto di più beni comuni, la cui cura non può mai essere affidata a un solo tipo di istituzioni, neppure politiche, né a pochi o ristretti gruppi di individui. Semmai, come recentemente ricordato da Benedetto XVI, la via che occorre percorrere nelle ricerca degli assetti sociali in generale e anche all’interno di ciascun ambito particolare, a cominciare da quello politico, è quella di poteri limitati, che si controllano reciprocamente, alla cui guida ci sia alternanza, e sull’esercizio dei quali il giudizio è rimesso ai cittadini. La libertà religiosa è il cardine di questa forma di governance, poliarchica e a molti livelli, e di quel consenso etico di fondo di cui ogni società necessita.

QUESTIONE ANTROPOLOGICA (n. 6) Ogni società è sempre una concreta risposta alla domanda “ chi è l’uomo? Cos’è l’umano? ”. Nessun assetto sociale storico ha fornito e potrà mai fornire una risposta perfettamente adeguata a questa domanda, nella quale si riassume la cosiddetta “questione antropologica”. (…) Essa fa costante riferimento ad un assoluto incondizionato, posto a garanzia della dignità e della libertà di ogni uomo.

SCUOLA (n. 14). L’elemento maggiormente condiviso è stato l’importanza della sua funzione costitutivamente pubblica, sia essa statale o non statale, a partire dal grande patrimonio dalle iniziative di ispirazione cristiana a servizio di tutta la società, dalla scuola dell’infanzia alle istituzioni universitarie. La scuola riveste un ruolo insostituibile e fondamentale nell’educazione dei giovani e merita il massimo investimento di risorse. E’ stata sottolineata anche l’importanza dell’insegnamento della religione cattolica e il valore di un raccordo qualificato con le altre discipline.

SISTEMA FISCALE (n. 13) Particolare consenso ha ottenuto l’esigenza di una riforma dell’intero sistema fiscale, prioritariamente nei riguardi della famiglia e del lavoro. Per quanto concerne la famiglia, va sostenuto un sistema che rapporti il carico fiscale al numero dei componenti, come modo concreto “per riconoscere e sostenere con forza e fattivamente l’insostituibile funzione sociale della famiglia”. La proposta del Forum delle associazioni familiari, va in questa direzione. La riforma deve mirare inoltre a una riduzione del carico fiscale sul lavoro e sugli investimenti, anche come espressione di condanna dell’evasione fiscale, arrivata a livelli insostenibili.

SUD (n. 19) Tutta la Chiesa d’Italia conosce e fa proprio l’impegno di promozione umana e di educazione alla speranza della “parte migliore della Chiesa nel Sud, che non si è solo allineata con la società civile più coraggiosa, rigettando e stigmatizzando ogni forma di illegalità mafiosa, ma soprattutto si è presentata come testimone credibile della verità e luogo sicuro dove educare alla speranza per una convivenza civile più giusta e serena”.

Vedi dossier 46° Settimana sociale dei cattolici italiani in Reggio Calabria (Ottobre 2010)

Link www.settimanesociali.it

L’ARCIVESCOVO DEVE MORIRE

Oscar Romero e il suo popolo

Roma

Presentazioni del libro di Ettore Masina, con prefazione di Mons. Raffaele Nogaro

due occasioni:

Mercoledi 23 marzo 2011 - ore 18:00

Sala della Comunità di base San Paolo
via Ostiense 152/B

Intervervengono:

Claudia FantiGiancarlo Zizola

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Sabato 26 marzo 2011 - ore 17

Sala della parrocchia di San Frumenzio,
via Cavriglia-angolo via dei Prati Fiscali. - Roma 

Intervervengono:

Gabriella Caramore, Tonio Dell'Olio, Italo Moretti
 
 

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Il Papa al Presidente Napolitano per i 150 anni dell'unità d'Italia

Città del Vaticano, 16 marzo 2011

Riportiamo di seguito il testo del Messaggio che Papa Benedetto XVI ha inviato al Presidente della Repubblica Italiana, l'On. Giorgio Napolitano, in occasione dei 150 anni dell’Unità politica d’Italia. Il Messaggio è stato consegnato al Presidente dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, nel corso di una visita al Quirinale.

* * *

Illustrissimo Signore

On. GIORGIO NAPOLITANO

Presidente della Repubblica Italiana

Il 150° anniversario dell’unificazione politica dell’Italia mi offre la felice occasione per riflettere sulla storia di questo amato Paese, la cui Capitale è Roma, città in cui la divina Provvidenza ha posto la Sede del Successore dell’Apostolo Pietro. Pertanto, nel formulare a Lei e all’intera Nazione i miei più fervidi voti augurali, sono lieto di parteciparLe, in segno dei profondi vincoli di amicizia e di collaborazione che legano l’Italia e la Santa Sede, queste mie considerazioni.

Il processo di unificazione avvenuto in Italia nel corso del XIX secolo e passato alla storia con il nome di Risorgimento, costituì il naturale sbocco di uno sviluppo identitario nazionale iniziato molto tempo prima. In effetti, la nazione italiana, come comunità di persone unite dalla lingua, dalla cultura, dai sentimenti di una medesima appartenenza, seppure nella pluralità di comunità politiche articolate sulla penisola, comincia a formarsi nell’età medievale. Il Cristianesimo ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell’identità italiana attraverso l’opera della Chiesa, delle sue istituzioni educative ed assistenziali, fissando modelli di comportamento, configurazioni istituzionali, rapporti sociali; ma anche mediante una ricchissima attività artistica: la letteratura, la pittura, la scultura, l’architettura, la musica. Dante, Giotto, Petrarca, Michelangelo, Raffaello, Pierluigi da Palestrina, Caravaggio, Scarlatti, Bernini e Borromini sono solo alcuni nomi di una filiera di grandi artisti che, nei secoli, hanno dato un apporto fondamentale alla formazione dell’identità italiana. Anche le esperienze di santità, che numerose hanno costellato la storia dell’Italia, contribuirono fortemente a costruire tale identità, non solo sotto lo specifico profilo di una peculiare realizzazione del messaggio evangelico, che ha marcato nel tempo l’esperienza religiosa e la spiritualità degli italiani (si pensi alle grandi e molteplici espressioni della pietà popolare), ma pure sotto il profilo culturale e persino politico. San Francesco di Assisi, ad esempio, si segnala anche per il contributo a forgiare la lingua nazionale; santa Caterina da Siena offre, seppure semplice popolana, uno stimolo formidabile alla elaborazione di un pensiero politico e giuridico italiano. L’apporto della Chiesa e dei credenti al processo di formazione e di consolidamento dell’identità nazionale continua nell’età moderna e contemporanea. Anche quando parti della penisola furono assoggettate alla sovranità di potenze straniere, fu proprio grazie a tale identità ormai netta e forte che, nonostante il perdurare nel tempo della frammentazione geopolitica, la nazione italiana poté continuare a sussistere e ad essere consapevole di sé. Perciò, l’unità d’Italia, realizzatasi nella seconda metà dell’Ottocento, ha potuto aver luogo non come artificiosa costruzione politica di identità diverse, ma come naturale sbocco politico di una identità nazionale forte e radicata, sussistente da tempo. La comunità politica unitaria nascente a conclusione del ciclo risorgimentale ha avuto, in definitiva, come collante che teneva unite le pur sussistenti diversità locali, proprio la preesistente identità nazionale, al cui modellamento il Cristianesimo e la Chiesa hanno dato un contributo fondamentale.

Per ragioni storiche, culturali e politiche complesse, il Risorgimento è passato come un moto contrario alla Chiesa, al Cattolicesimo, talora anche alla religione in generale. Senza negare il ruolo di tradizioni di pensiero diverse, alcune marcate da venature giurisdizionaliste o laiciste, non si può sottacere l’apporto di pensiero - e talora di azione - dei cattolici alla formazione dello Stato unitario. Dal punto di vista del pensiero politico basterebbe ricordare tutta la vicenda del neoguelfismo che conobbe in Vincenzo Gioberti un illustre rappresentante; ovvero pensare agli orientamenti cattolico-liberali di Cesare Balbo, Massimo d’Azeglio, Raffaele Lambruschini. Per il pensiero filosofico, politico ed anche giuridico risalta la grande figura di Antonio Rosmini, la cui influenza si è dispiegata nel tempo, fino ad informare punti significativi della vigente Costituzione italiana. E per quella letteratura che tanto ha contribuito a "fare gli italiani", cioè a dare loro il senso dell’appartenenza alla nuova comunità politica che il processo risorgimentale veniva plasmando, come non ricordare Alessandro Manzoni, fedele interprete della fede e della morale cattolica; o Silvio Pellico, che con la sua opera autobiografica sulle dolorose vicissitudini di un patriota seppe testimoniare la conciliabilità dell’amor di Patria con una fede adamantina. E di nuovo figure di santi, come san Giovanni Bosco, spinto dalla preoccupazione pedagogica a comporre manuali di storia Patria, che modellò l’appartenenza all’istituto da lui fondato su un paradigma coerente con una sana concezione liberale: "cittadini di fronte allo Stato e religiosi di fronte alla Chiesa".

La costruzione politico-istituzionale dello Stato unitario coinvolse diverse personalità del mondo politico, diplomatico e militare, tra cui anche esponenti del mondo cattolico. Questo processo, in quanto dovette inevitabilmente misurarsi col problema della sovranità temporale dei Papi (ma anche perché portava ad estendere ai territori via via acquisiti una legislazione in materia ecclesiastica di orientamento fortemente laicista), ebbe effetti dilaceranti nella coscienza individuale e collettiva dei cattolici italiani, divisi tra gli opposti sentimenti di fedeltà nascenti dalla cittadinanza da un lato e dall’appartenenza ecclesiale dall’altro. Ma si deve riconoscere che, se fu il processo di unificazione politico-istituzionale a produrre quel conflitto tra Stato e Chiesa che è passato alla storia col nome di "Questione Romana", suscitando di conseguenza l’aspettativa di una formale "Conciliazione", nessun conflitto si verificò nel corpo sociale, segnato da una profonda amicizia tra comunità civile e comunità ecclesiale. L’identità nazionale degli italiani, così fortemente radicata nelle tradizioni cattoliche, costituì in verità la base più solida della conquistata unità politica. In definitiva, la Conciliazione doveva avvenire fra le Istituzioni, non nel corpo sociale, dove fede e cittadinanza non erano in conflitto. Anche negli anni della dilacerazione i cattolici hanno lavorato all’unità del Paese. L’astensione dalla vita politica, seguente il "non expedit", rivolse le realtà del mondo cattolico verso una grande assunzione di responsabilità nel sociale: educazione, istruzione, assistenza, sanità, cooperazione, economia sociale, furono ambiti di impegno che fecero crescere una società solidale e fortemente coesa. La vertenza apertasi tra Stato e Chiesa con la proclamazione di Roma capitale d’Italia e con la fine dello Stato Pontificio, era particolarmente complessa. Si trattava indubbiamente di un caso tutto italiano, nella misura in cui solo l’Italia ha la singolarità di ospitare la sede del Papato. D’altra parte, la questione aveva una indubbia rilevanza anche internazionale. Si deve notare che, finito il potere temporale, la Santa Sede, pur reclamando la più piena libertà e la sovranità che le spetta nell’ordine suo, ha sempre rifiutato la possibilità di una soluzione della "Questione Romana" attraverso imposizioni dall’esterno, confidando nei sentimenti del popolo italiano e nel senso di responsabilità e giustizia dello Stato italiano. La firma dei Patti lateranensi, l’11 febbraio 1929, segnò la definitiva soluzione del problema. A proposito della fine degli Stati pontifici, nel ricordo del beato Papa Pio IX e dei Successori, riprendo le parole del Cardinale Giovanni Battista Montini, nel suo discorso tenuto in Campidoglio il 10 ottobre 1962: "Il papato riprese con inusitato vigore le sue funzioni di maestro di vita e di testimonio del Vangelo, così da salire a tanta altezza nel governo spirituale della Chiesa e nell’irradiazione sul mondo, come prima non mai".

L’apporto fondamentale dei cattolici italiani alla elaborazione della Costituzione repubblicana del 1947 è ben noto. Se il testo costituzionale fu il positivo frutto di un incontro e di una collaborazione tra diverse tradizioni di pensiero, non c’è alcun dubbio che solo i costituenti cattolici si presentarono allo storico appuntamento con un preciso progetto sulla legge fondamentale del nuovo Stato italiano; un progetto maturato all’interno dell’Azione Cattolica, in particolare della FUCI e del Movimento Laureati, e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ed oggetto di riflessione e di elaborazione nel Codice di Camaldoli del 1945 e nella XIX Settimana Sociale dei Cattolici Italiani dello stesso anno, dedicata al tema "Costituzione e Costituente". Da lì prese l'avvio un impegno molto significativo dei cattolici italiani nella politica, nell’attività sindacale, nelle istituzioni pubbliche, nelle realtà economiche, nelle espressioni della società civile, offrendo così un contributo assai rilevante alla crescita del Paese, con dimostrazione di assoluta fedeltà allo Stato e di dedizione al bene comune e collocando l’Italia in proiezione europea. Negli anni dolorosi ed oscuri del terrorismo, poi, i cattolici hanno dato la loro testimonianza di sangue: come non ricordare, tra le varie figure, quelle dell’On. Aldo Moro e del Prof. Vittorio Bachelet? Dal canto suo la Chiesa, grazie anche alla larga libertà assicuratale dal Concordato lateranense del 1929, ha continuato, con le proprie istituzioni ed attività, a fornire un fattivo contributo al bene comune, intervenendo in particolare a sostegno delle persone più emarginate e sofferenti, e soprattutto proseguendo ad alimentare il corpo sociale di quei valori morali che sono essenziali per la vita di una società democratica, giusta, ordinata. Il bene del Paese, integralmente inteso, è stato sempre perseguito e particolarmente espresso in momenti di alto significato, come nella "grande preghiera per l’Italia" indetta dal Venerabile Giovanni Paolo II il 10 gennaio 1994.

La conclusione dell’Accordo di revisione del Concordato lateranense, firmato il 18 febbraio 1984, ha segnato il passaggio ad una nuova fase dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia. Tale passaggio fu chiaramente avvertito dal mio Predecessore, il quale, nel discorso pronunciato il 3 giugno 1985, all’atto dello scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo, notava che, come "strumento di concordia e collaborazione, il Concordato si situa ora in una società caratterizzata dalla libera competizione delle idee e dalla pluralistica articolazione delle diverse componenti sociali: esso può e deve costituire un fattore di promozione e di crescita, favorendo la profonda unità di ideali e di sentimenti, per la quale tutti gli italiani si sentono fratelli in una stessa Patria". Ed aggiungeva che nell’esercizio della sua diaconia per l’uomo "la Chiesa intende operare nel pieno rispetto dell’autonomia dell’ordine politico e della sovranità dello Stato. Parimenti, essa è attenta alla salvaguardia della libertà di tutti, condizione indispensabile alla costruzione di un mondo degno dell’uomo, che solo nella libertà può ricercare con pienezza la verità e aderirvi sinceramente, trovandovi motivo ed ispirazione per l’impegno solidale ed unitario al bene comune". L’Accordo, che ha contribuito largamente alla delineazione di quella sana laicità che denota lo Stato italiano ed il suo ordinamento giuridico, ha evidenziato i due principi supremi che sono chiamati a presiedere alle relazioni fra Chiesa e comunità politica: quello della distinzione di ambiti e quello della collaborazione. Una collaborazione motivata dal fatto che, come ha insegnato il Concilio Vaticano Il, entrambe, cioè la Chiesa e la comunità politica, "anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane" (Cost. Gaudium et spes, 76). L’esperienza maturata negli anni di vigenza delle nuove disposizioni pattizie ha visto, ancora una volta, la Chiesa ed i cattolici impegnati in vario modo a favore di quella "promozione dell’uomo e del bene del Paese" che, nel rispetto della reciproca indipendenza e sovranità, costituisce principio ispiratore ed orientante del Concordato in vigore (art. 1). La Chiesa è consapevole non solo del contributo che essa offre alla società civile per il bene comune, ma anche di ciò che riceve dalla società civile, come affrerma il Concilio Vaticano II: "chiunque promuove la comunità umana nel campo della famiglia, della cultura, della vita economica e sociale, come pure della politica, sia nazionale che internazionale, porta anche un non piccolo aiuto, secondo la volontà di Dio, alla comunità ecclesiale, nelle cose in cui essa dipende da fattori esterni" (Cost. Gaudium et spes, 44).

Nel guardare al lungo divenire della storia, bisogna riconoscere che la nazione italiana ha sempre avvertito l’onere ma al tempo stesso il singolare privilegio dato dalla situazione peculiare per la quale è in Italia, a Roma, la sede del successore di Pietro e quindi il centro della cattolicità. E la comunità nazionale ha sempre risposto a questa consapevolezza esprimendo vicinanza affettiva, solidarietà, aiuto alla Sede Apostolica per la sua libertà e per assecondare la realizzazione delle condizioni favorevoli all’esercizio del ministero spirituale nel mondo da parte del successore di Pietro, che è Vescovo di Roma e Primate d’Italia. Passate le turbolenze causate dalla "questione romana", giunti all’auspicata Conciliazione, anche lo Stato Italiano ha offerto e continua ad offrire una collaborazione preziosa, di cui la Santa Sede fruisce e di cui è consapevolmente grata.

Nel presentare a Lei, Signor Presidente, queste riflessioni, invoco di cuore sul popolo italiano l’abbondanza dei doni celesti, affinché sia sempre guidato dalla luce della fede, sorgente di speranza e di perseverante impegno per la libertà, la giustizia e la pace.

Dal Vaticano, 17 marzo 2011

BENEDICTUS PP. XVI

 

[© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana]

DON LORENZO MILANI

PAROLE PER LA PACE, PER LA CHIESA, PER L’EDUCAZIONE

 
Bologna

20 Maggio - 17 Giugno 2011

 

 

VENERDÌ 20 MAGGIO 2011 - ORE 21
Biblioteca “Il Mulino”, Vicolo Posterla 1, Bologna
INTRODUZIONE:
ACCOSTARSI OGGI AL PENSIERO DI DON LORENZO MILANI
Mons. Giovanni Catti, sacerdote e pedagogista bolognese

 

VENERDÌ 27 MAGGIO 2011 - ORE 21
Biblioteca “Il Mulino”, Vicolo Posterla 1, Bologna
PER LA CHIESA - Da “Esperienze Pastorali”
Liana Fiorani, Ricercatrice del "Centro di formazione e ricerca Don Lorenzo Milani e scuola di Barbiana", curatrice del volume “Il destino di carta”, Il Mulino, 2011

 

VENERDÌ 10 GIUGNO 2011 - ORE 21
Centro Poggeschi, Via Guerrazzi 14/E, Bologna
PER LA PACE - Da “L’obbedienza non è più una virtù”
Matteo Marabini, insegnante, presidente dell’associazione “La Strada”, Medicina

 

VENERDÌ 17 GIUGNO 2011 - ORE 21
Centro Poggeschi, Via Guerrazzi 14/E, Bologna
PER LA SCUOLA E L’EDUCAZIONE - Da “Lettera a una professoressa”
Miriam Traversi, già Responsabile del CD/LEI (Centro di Documentazione/Laboratorio per un'Educazione Interculturale) di Bologna

 

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Organizzata da

Centro Poggeschi

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Lettera di un Vescovo ad un confratello

Mons. Bettazzi scrive a Mons. Negri

Luigi Bettazzi

1 Marzo 2011

Venerato Confratello,
mi è stato segnalato l’articolo che Lei ha inviato al settimanale “Tempi”, confermato da un’intervista a La Stampa. Questo ha stimolato la mia antica abitudine di scrivere “lettere aperte”; avevo già respinto la tentazione di farlo con i nostri Superiori, non ritenendolo corretto, mi permetto di farlo ora con Lei, Vescovo autorevole, ma sempre a livello di responsabili – anche se io sono emerito - di diocesi comuni. Perché, per quanto giro in Italia, sento spesso la lamentela dei cristiani di fronte alla mancanza di “indignazione” – che Lei dice non essere “atteggiamento cattolico” - di noi vescovi di fronte al malcostume della politica, e non solo per gli scandali “privati”, ma anche per la moda invalsa di leggi ad personam, proposte – si dice - per difendersi da una Magistratura che esorbita dalla sue funzioni (Lei lo dice “muoversi con prepotenza”), ma che in realtà non fa che assicurare che la legge sia uguale per tutti. Anche se non poche di queste accuse vengono dimostrate serie e verosimili, dal fatto che si pensa non di difendersi da esse, ma di scavalcarle con leggi specifiche e con ben calcolate prescrizioni. Quanto all’indignazione, anche Gesù più di una volta si è indignato, e proprio contro chi utilizza la posizione pubblica a difesa dei propri interessi personali o di casta.
Ella rivendica, nella espressa difesa del Governo e del suo Presidente, l’appoggio che essi danno ai “principi non negoziabili”, quali la difesa della vita al suo inizio e al suo termine o della famiglia naturale: e questo giustificherebbe il sostegno, senza indignazione, ad un Governo che si mostra invece insensibile di fronte a quello che è il fondamentale “principio non negoziabile”, che è la solidarietà; perché se questa si esprime davanti alle vite più deboli, come sono appunto quella iniziale e quella terminale, ma, per essere convincente, deve impegnarsi anche contro tutte le vite minacciate, come sono quelle di quanti sfuggono la miseria insopportabile o la persecuzione politica, che sono invece fortemente condizionate dal nostro Governo (quante vite umane sono sparite nel nostro mare o per le imposture della Libia!). Anche per le consonanze cristiane non si è fatto nulla per favorire la vita nascente con leggi che incoraggino il matrimonio e la procreazione, come ha fatto la “laica” Francia.
Ella ribadisce che, dei politici, andrebbe valutato solo il comportamento pubblico (appunto, così contrastante dunque con il primo principio “non negoziabile”, quello della solidarietà) e non quello privato, pur così poco favorevole sia alla famiglia che alla vita nascente; ma già gli antichi ammonivano che “noblesse oblige”, cioè che chi sta in alto deve dare il buon esempio, perché esso – tanto più in quest’era mediatica – influisce sull’opinione pubblica. Ed è questo che dovrebbe preoccupare noi vescovi, cioè il diffondersi, soprattutto nei giovani, dell’opinione che quello che conta è “fare i furbi”, è riuscire in ogni modo a conquistare e difendere il proprio interesse, il bene particolare, anche a costo di compromessi, come abbiamo visto nei genitori e nei fratelli che suggerivano alle ragazze di casa di vendersi ad alto prezzo. Non solo così si diffonde l’idolatria del “fare soldi” e del “fare quello che si vuole”, che Gesù indica come la vera alternativa a Dio (“o Dio, o mammona”), ma la stessa CEI da anni, soprattutto nelle Settimane Sociali, insiste sul primato del “bene comune” come impegno specifico dei cristiani! E invece i giovani hanno poche speranze di un lavoro stabile, gli operai – soprattutto se donne - non sono difesi dai ricatti dei “padroni”, mentre gli stessi immigrati sono respinti, sfruttati, troppo spesso ricattati perché, se “in nero”, non possono protestare: giustamente Lei si richiama alla speranza che viene da Cristo, ma questa va “incarnata” nella vita concreta.
All’indignazione Ella contrappone la sofferenza, e la richiede in primo luogo per la persecuzione dei cristiani; credo che se silenzi ed esitazioni ci sono stati lo siano stati in primo luogo dal Governo, preoccupato per eventuali ricadute economiche o politiche. Ed anche la libertà dei cristiani e delle loro opere va rivendicata come uguaglianza ma senza privilegi, proprio per il compito che la Chiesa ha assunto nel Concilio di farsi promotrice di libertà e di sviluppo per tutta l’umanità.
So, caro Vescovo, che la Sua difesa del Governo interpreta il sentimento di una certa parte del mondo cattolico; credo però che essa debba tener conto delle tante contraddizioni che questo ignora – anche per la manipolazione dei media – e che rendono così sconcertata e sofferente tanta parte dello stesso mondo cattolico, proprio anche per certe presunte coperture di noi Vescovi.
Con fraterno augurio per la Sua diocesi – di cui ho avuto compagni di scuola nel Seminario Regionale di Bologna – in particolare per la imminente Visita del S. Padre.
+ Luigi Bettazzi
Vescovo emerito di Ivrea