Chiesa e Magistero

Il Concilio: tra spirito del tempo e tempo dello Spirito

Bologna

Giovedi 16 dicembre 2010 - ore 17

"Ghisilardi Incontri"

 

Ernesto Galli della Loggia e Giancarlo Zizola

dialogano con

Luigi Pedrazzi

curatore del volume
Vaticano II in rete
(Il Mulino)

modera
fra Giovanni Bertuzzi o.p.


Incontro organizzata da:

Società editrice Il Mulino e Centro San Domenico

Sede:

Cappela Ghisilardi, piazza San Domenico 12, Bologna

Vedi appuntamento

Libertà religiosa, via per la pace


Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace 2011

Pubblichiamo di seguito il testo del messaggio del Santo Padre per la 44a Giornata Mondiale della Pace, che si celebrerà il 1° gennaio 2011


CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 16 dicembre 2010

1. All’inizio di un Nuovo Anno il mio augurio vuole giungere a tutti e a ciascuno; è un augurio di serenità e di prosperità, ma è soprattutto un augurio di pace. Anche l’anno che chiude le porte è stato segnato, purtroppo, dalla persecuzione, dalla discriminazione, da terribili atti di violenza e di intolleranza religiosa.

Il mio pensiero si rivolge in particolare alla cara terra dell'Iraq, che nel suo cammino verso l’auspicata stabilità e riconciliazione continua ad essere scenario di violenze e attentati. Vengono alla memoria le recenti sofferenze della comunità cristiana, e, in modo speciale, il vile attacco contro la Cattedrale siro-cattolica "Nostra Signora del Perpetuo Soccorso" a Baghdad, dove, il 31 ottobre scorso, sono stati uccisi due sacerdoti e più di cinquanta fedeli, mentre erano riuniti per la celebrazione della Santa Messa. Ad esso hanno fatto seguito, nei giorni successivi, altri attacchi, anche a case private, suscitando paura nella comunità cristiana ed il desiderio, da parte di molti dei suoi membri, di emigrare alla ricerca di migliori condizioni di vita. A loro manifesto la mia vicinanza e quella di tutta la Chiesa, sentimento che ha visto una concreta espressione nella recente Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi. Da tale Assise è giunto un incoraggiamento alle comunità cattoliche in Iraq e in tutto il Medio Oriente a vivere la comunione e a continuare ad offrire una coraggiosa testimonianza di fede in quelle terre.

Ringrazio vivamente i Governi che si adoperano per alleviare le sofferenze di questi fratelli in umanità e invito i Cattolici a pregare per i loro fratelli nella fede che soffrono violenze e intolleranze e ad essere solidali con loro. In tale contesto, ho sentito particolarmente viva l’opportunità di condividere con tutti voi alcune riflessioni sulla libertà religiosa, via per la pace. Infatti, risulta doloroso constatare che in alcune regioni del mondo non è possibile professare ed esprimere liberamente la propria religione, se non a rischio della vita e della libertà personale. In altre regioni vi sono forme più silenziose e sofisticate di pregiudizio e di opposizione verso i credenti e i simboli religiosi. I cristiani sono attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede. Tanti subiscono quotidianamente offese e vivono spesso nella paura a causa della loro ricerca della verità, della loro fede in Gesù Cristo e del loro sincero appello perché sia riconosciuta la libertà religiosa. Tutto ciò non può essere accettato, perché costituisce un’offesa a Dio e alla dignità umana; inoltre, è una minaccia alla sicurezza e alla pace e impedisce la realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale.1

Nella libertà religiosa, infatti, trova espressione la specificità della persona umana, che per essa può ordinare la propria vita personale e sociale a Dio, alla cui luce si comprendono pienamente l’identità, il senso e il fine della persona. Negare o limitare in maniera arbitraria tale libertà significa coltivare una visione riduttiva della persona umana; oscurare il ruolo pubblico della religione significa generare una società ingiusta, poiché non proporzionata alla vera natura della persona umana; ciò significa rendere impossibile l’affermazione di una pace autentica e duratura di tutta la famiglia umana.

Esorto, dunque, gli uomini e le donne di buona volontà a rinnovare l’impegno per la costruzione di un mondo dove tutti siano liberi di professare la propria religione o la propria fede, e di vivere il proprio amore per Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente (cfr Mt 22,37). Questo è il sentimento che ispira e guida il Messaggio per la XLIV Giornata Mondiale della Pace, dedicato al tema: Libertà religiosa, via per la pace.

Sacro diritto alla vita e ad una vita spirituale

2. Il diritto alla libertà religiosa è radicato nella stessa dignità della persona umana,2 la cui natura trascendente non deve essere ignorata o trascurata. Dio ha creato l’uomo e la donna a sua immagine e somiglianza (cfr Gen 1,27). Per questo ogni persona è titolare del sacro diritto ad una vita integra anche dal punto di vista spirituale. Senza il riconoscimento del proprio essere spirituale, senza l’apertura al trascendente, la persona umana si ripiega su se stessa, non riesce a trovare risposte agli interrogativi del suo cuore circa il senso della vita e a conquistare valori e principi etici duraturi, e non riesce nemmeno a sperimentare un’autentica libertà e a sviluppare una società giusta.3

La Sacra Scrittura, in sintonia con la nostra stessa esperienza, rivela il valore profondo della dignità umana: "Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi" (Sal 8, 4-7).

Dinanzi alla sublime realtà della natura umana, possiamo sperimentare lo stesso stupore espresso dal salmista. Essa si manifesta come apertura al Mistero, come capacità di interrogarsi a fondo su se stessi e sull’origine dell’universo, come intima risonanza dell’Amore supremo di Dio, principio e fine di tutte le cose, di ogni persona e dei popoli.4 La dignità trascendente della persona è un valore essenziale della sapienza giudaico-cristiana, ma, grazie alla ragione, può essere riconosciuta da tutti. Questa dignità, intesa come capacità di trascendere la propria materialità e di ricercare la verità, va riconosciuta come un bene universale, indispensabile per la costruzione di una società orientata alla realizzazione e alla pienezza dell’uomo. Il rispetto di elementi essenziali della dignità dell’uomo, quali il diritto alla vita e il diritto alla libertà religiosa, è una condizione della legittimità morale di ogni norma sociale e giuridica.

Libertà religiosa e rispetto reciproco

3. La libertà religiosa è all’origine della libertà morale. In effetti, l’apertura alla verità e al bene, l’apertura a Dio, radicata nella natura umana, conferisce piena dignità a ciascun uomo ed è garante del pieno rispetto reciproco tra le persone. Pertanto, la libertà religiosa va intesa non solo come immunità dalla coercizione, ma prima ancora come capacità di ordinare le proprie scelte secondo la verità.

Esiste un legame inscindibile tra libertà e rispetto; infatti, "nell’esercitare i propri diritti i singoli esseri umani e i gruppi sociali, in virtù della legge morale, sono tenuti ad avere riguardo tanto ai diritti altrui, quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune".5

Una libertà nemica o indifferente verso Dio finisce col negare se stessa e non garantisce il pieno rispetto dell’altro. Una volontà che si crede radicalmente incapace di ricercare la verità e il bene non ha ragioni oggettive né motivi per agire, se non quelli imposti dai suoi interessi momentanei e contingenti, non ha una "identità" da custodire e costruire attraverso scelte veramente libere e consapevoli. Non può dunque reclamare il rispetto da parte di altre "volontà", anch’esse sganciate dal proprio essere più profondo, che quindi possono far valere altre "ragioni" o addirittura nessuna "ragione". L’illusione di trovare nel relativismo morale la chiave per una pacifica convivenza, è in realtà l’origine della divisione e della negazione della dignità degli esseri umani. Si comprende quindi la necessità di riconoscere una duplice dimensione nell’unità della persona umana: quella religiosa e quella sociale. Al riguardo, è inconcepibile che i credenti "debbano sopprimere una parte di se stessi - la loro fede - per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti".6

La famiglia, scuola di libertà e di pace

4. Se la libertà religiosa è via per la pace, l’educazione religiosa è strada privilegiata per abilitare le nuove generazioni a riconoscere nell’altro il proprio fratello e la propria sorella, con i quali camminare insieme e collaborare perché tutti si sentano membra vive di una stessa famiglia umana, dalla quale nessuno deve essere escluso.

La famiglia fondata sul matrimonio, espressione di unione intima e di complementarietà tra un uomo e una donna, si inserisce in questo contesto come la prima scuola di formazione e di crescita sociale, culturale, morale e spirituale dei figli, che dovrebbero sempre trovare nel padre e nella madre i primi testimoni di una vita orientata alla ricerca della verità e all’amore di Dio. Gli stessi genitori dovrebbero essere sempre liberi di trasmettere senza costrizioni e con responsabilità il proprio patrimonio di fede, di valori e di cultura ai figli. La famiglia, prima cellula della società umana, rimane l’ambito primario di formazione per relazioni armoniose a tutti i livelli di convivenza umana, nazionale e internazionale. Questa è la strada da percorrere sapientemente per la costruzione di un tessuto sociale solido e solidale, per preparare i giovani ad assumere le proprie responsabilità nella vita, in una società libera, in uno spirito di comprensione e di pace.

Un patrimonio comune

5. Si potrebbe dire che, tra i diritti e le libertà fondamentali radicati nella dignità della persona, la libertà religiosa gode di uno statuto speciale. Quando la libertà religiosa è riconosciuta, la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice, e si rafforzano l’ethos e le istituzioni dei popoli. Viceversa, quando la libertà religiosa è negata, quando si tenta di impedire di professare la propria religione o la propria fede e di vivere conformemente ad esse, si offende la dignità umana e, insieme, si minacciano la giustizia e la pace, le quali si fondano su quel retto ordine sociale costruito alla luce del Sommo Vero e Sommo Bene.

La libertà religiosa è, in questo senso, anche un’acquisizione di civiltà politica e giuridica. Essa è un bene essenziale: ogni persona deve poter esercitare liberamente il diritto di professare e di manifestare, individualmente o comunitariamente, la propria religione o la propria fede, sia in pubblico che in privato, nell’insegnamento, nelle pratiche, nelle pubblicazioni, nel culto e nell’osservanza dei riti. Non dovrebbe incontrare ostacoli se volesse, eventualmente, aderire ad un’altra religione o non professarne alcuna. In questo ambito, l’ordinamento internazionale risulta emblematico ed è un riferimento essenziale per gli Stati, in quanto non consente alcuna deroga alla libertà religiosa, salvo la legittima esigenza dell’ordine pubblico informato a giustizia.7 L’ordinamento internazionale riconosce così ai diritti di natura religiosa lo stesso status del diritto alla vita e alla libertà personale, a riprova della loro appartenenza al nucleo essenziale dei diritti dell’uomo, a quei diritti universali e naturali che la legge umana non può mai negare.

La libertà religiosa non è patrimonio esclusivo dei credenti, ma dell’intera famiglia dei popoli della terra. È elemento imprescindibile di uno Stato di diritto; non la si può negare senza intaccare nel contempo tutti i diritti e le libertà fondamentali, essendone sintesi e vertice. Essa è "la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani".8 Mentre favorisce l’esercizio delle facoltà più specificamente umane, crea le premesse necessarie per la realizzazione di uno sviluppo integrale, che riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione.9

La dimensione pubblica della religione

6. La libertà religiosa, come ogni libertà, pur muovendo dalla sfera personale, si realizza nella relazione con gli altri. Una libertà senza relazione non è libertà compiuta. Anche la libertà religiosa non si esaurisce nella sola dimensione individuale, ma si attua nella propria comunità e nella società, coerentemente con l’essere relazionale della persona e con la natura pubblica della religione.

La relazionalità è una componente decisiva della libertà religiosa, che spinge le comunità dei credenti a praticare la solidarietà per il bene comune. In questa dimensione comunitaria ciascuna persona resta unica e irripetibile e, al tempo stesso, si completa e si realizza pienamente.

E’ innegabile il contributo che le comunità religiose apportano alla società. Sono numerose le istituzioni caritative e culturali che attestano il ruolo costruttivo dei credenti per la vita sociale. Più importante ancora è il contributo etico della religione nell’ambito politico. Esso non dovrebbe essere marginalizzato o vietato, ma compreso come valido apporto alla promozione del bene comune. In questa prospettiva bisogna menzionare la dimensione religiosa della cultura, tessuta attraverso i secoli grazie ai contributi sociali e soprattutto etici della religione. Tale dimensione non costituisce in nessun modo una discriminazione di coloro che non ne condividono la credenza, ma rafforza, piuttosto, la coesione sociale, l’integrazione e la solidarietà.


Libertà religiosa, forza di libertà e di civiltà: i pericoli della sua strumentalizzazione

7. La strumentalizzazione della libertà religiosa per mascherare interessi occulti, come ad esempio il sovvertimento dell’ordine costituito, l’accaparramento di risorse o il mantenimento del potere da parte di un gruppo, può provocare danni ingentissimi alle società. Il fanatismo, il fondamentalismo, le pratiche contrarie alla dignità umana, non possono essere mai giustificati e lo possono essere ancora di meno se compiuti in nome della religione. La professione di una religione non può essere strumentalizzata, né imposta con la forza. Bisogna, allora, che gli Stati e le varie comunità umane non dimentichino mai che la libertà religiosa è condizione per la ricerca della verità e la verità non si impone con la violenza ma con "la forza della verità stessa".10 In questo senso, la religione è una forza positiva e propulsiva per la costruzione della società civile e politica.

Come negare il contributo delle grandi religioni del mondo allo sviluppo della civiltà? La sincera ricerca di Dio ha portato ad un maggiore rispetto della dignità dell’uomo. Le comunità cristiane, con il loro patrimonio di valori e principi, hanno fortemente contribuito alla presa di coscienza delle persone e dei popoli circa la propria identità e dignità, nonché alla conquista di istituzioni democratiche e all’affermazione dei diritti dell’uomo e dei suoi corrispettivi doveri.

Anche oggi i cristiani, in una società sempre più globalizzata, sono chiamati, non solo con un responsabile impegno civile, economico e politico, ma anche con la testimonianza della propria carità e fede, ad offrire un contributo prezioso al faticoso ed esaltante impegno per la giustizia, per lo sviluppo umano integrale e per il retto ordinamento delle realtà umane. L’esclusione della religione dalla vita pubblica sottrae a questa uno spazio vitale che apre alla trascendenza. Senza quest’esperienza primaria risulta arduo orientare le società verso principi etici universali e diventa difficile stabilire ordinamenti nazionali e internazionali in cui i diritti e le libertà fondamentali possano essere pienamente riconosciuti e realizzati, come si propongono gli obiettivi - purtroppo ancora disattesi o contraddetti - della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948.

Una questione di giustizia e di civiltà:
il fondamentalismo e l’ostilità contro i credenti
pregiudicano la laicità positiva degli Stati

8. La stessa determinazione con la quale sono condannate tutte le forme di fanatismo e di fondamentalismo religioso, deve animare anche l’opposizione a tutte le forme di ostilità contro la religione, che limitano il ruolo pubblico dei credenti nella vita civile e politica.

Non si può dimenticare che il fondamentalismo religioso e il laicismo sono forme speculari ed estreme di rifiuto del legittimo pluralismo e del principio di laicità. Entrambe, infatti, assolutizzano una visione riduttiva e parziale della persona umana, favorendo, nel primo caso, forme di integralismo religioso e, nel secondo, di razionalismo. La società che vuole imporre o, al contrario, negare la religione con la violenza, è ingiusta nei confronti della persona e di Dio, ma anche di se stessa. Dio chiama a sé l’umanità con un disegno di amore che, mentre coinvolge tutta la persona nella sua dimensione naturale e spirituale, richiede di corrispondervi in termini di libertà e di responsabilità, con tutto il cuore e con tutto il proprio essere, individuale e comunitario. Anche la società, dunque, in quanto espressione della persona e dell’insieme delle sue dimensioni costitutive, deve vivere ed organizzarsi in modo da favorirne l’apertura alla trascendenza. Proprio per questo, le leggi e le istituzioni di una società non possono essere configurate ignorando la dimensione religiosa dei cittadini o in modo da prescinderne del tutto. Esse devono commisurarsi - attraverso l’opera democratica di cittadini coscienti della propria alta vocazione - all’essere della persona, per poterlo assecondare nella sua dimensione religiosa. Non essendo questa una creazione dello Stato, non può esserne manipolata, dovendo piuttosto riceverne riconoscimento e rispetto.

L’ordinamento giuridico a tutti i livelli, nazionale e internazionale, quando consente o tollera il fanatismo religioso o antireligioso, viene meno alla sua stessa missione, che consiste nel tutelare e nel promuovere la giustizia e il diritto di ciascuno. Tali realtà non possono essere poste in balia dell’arbitrio del legislatore o della maggioranza, perché, come insegnava già Cicerone, la giustizia consiste in qualcosa di più di un mero atto produttivo della legge e della sua applicazione. Essa implica il riconoscere a ciascuno la sua dignità,11 la quale, senza libertà religiosa, garantita e vissuta nella sua essenza, risulta mutilata e offesa, esposta al rischio di cadere nel predominio degli idoli, di beni relativi trasformati in assoluti. Tutto ciò espone la società al rischio di totalitarismi politici e ideologici, che enfatizzano il potere pubblico, mentre sono mortificate o coartate, quasi fossero concorrenziali, le libertà di coscienza, di pensiero e di religione.

Dialogo tra istituzioni civili e religiose

9. Il patrimonio di principi e di valori espressi da una religiosità autentica è una ricchezza per i popoli e i loro ethos. Esso parla direttamente alla coscienza e alla ragione degli uomini e delle donne, rammenta l’imperativo della conversione morale, motiva a coltivare la pratica delle virtù e ad avvicinarsi l’un l’altro con amore, nel segno della fraternità, come membri della grande famiglia umana.12

Nel rispetto della laicità positiva delle istituzioni statali, la dimensione pubblica della religione deve essere sempre riconosciuta. A tal fine è fondamentale un sano dialogo tra le istituzioni civili e quelle religiose per lo sviluppo integrale della persona umana e dell'armonia della società.

Vivere nell’amore e nella verità

10. Nel mondo globalizzato, caratterizzato da società sempre più multi-etniche e multi-confessionali, le grandi religioni possono costituire un importante fattore di unità e di pace per la famiglia umana. Sulla base delle proprie convinzioni religiose e della ricerca razionale del bene comune, i loro seguaci sono chiamati a vivere con responsabilità il proprio impegno in un contesto di libertà religiosa. Nelle svariate culture religiose, mentre dev’essere rigettato tutto quello che è contro la dignità dell’uomo e della donna, occorre invece fare tesoro di ciò che risulta positivo per la convivenza civile.

Lo spazio pubblico, che la comunità internazionale rende disponibile per le religioni e per la loro proposta di "vita buona", favorisce l’emergere di una misura condivisibile di verità e di bene, come anche un consenso morale, fondamentali per una convivenza giusta e pacifica. I leader delle grandi religioni, per il loro ruolo, la loro influenza e la loro autorità nelle proprie comunità, sono i primi ad essere chiamati al rispetto reciproco e al dialogo.

I cristiani, da parte loro, sono sollecitati dalla stessa fede in Dio, Padre del Signore Gesù Cristo, a vivere come fratelli che si incontrano nella Chiesa e collaborano all’edificazione di un mondo dove le persone e i popoli "non agiranno più iniquamente né saccheggeranno […], perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare" (Is 11, 9).

Dialogo come ricerca in comune

11. Per la Chiesa il dialogo tra i seguaci di diverse religioni costituisce uno strumento importante per collaborare con tutte le comunità religiose al bene comune. La Chiesa stessa nulla rigetta di quanto è vero e santo nelle varie religioni. "Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini".13

Quella indicata non è la strada del relativismo, o del sincretismo religioso. La Chiesa, infatti, "annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è «via, verità e vita» (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose".14 Ciò non esclude tuttavia il dialogo e la ricerca comune della verità in diversi ambiti vitali, poiché, come recita un’espressione usata spesso da san Tommaso d’Aquino, "ogni verità, da chiunque sia detta, proviene dallo Spirito Santo".15

Nel 2011 ricorre il 25° anniversario della Giornata mondiale di preghiera per la pace, convocata ad Assisi nel 1986 dal Venerabile Giovanni Paolo II. In quell’occasione i leader delle grandi religioni del mondo hanno testimoniato come la religione sia un fattore di unione e di pace, e non di divisione e di conflitto. Il ricordo di quell’esperienza è un motivo di speranza per un futuro in cui tutti i credenti si sentano e si rendano autenticamente operatori di giustizia e di pace.

Verità morale nella politica e nella diplomazia

12. La politica e la diplomazia dovrebbero guardare al patrimonio morale e spirituale offerto dalle grandi religioni del mondo per riconoscere e affermare verità, principi e valori universali che non possono essere negati senza negare con essi la dignità della persona umana. Ma che cosa significa, in termini pratici, promuovere la verità morale nel mondo della politica e della diplomazia? Vuol dire agire in maniera responsabile sulla base della conoscenza oggettiva e integrale dei fatti; vuol dire destrutturare ideologie politiche che finiscono per soppiantare la verità e la dignità umana e intendono promuovere pseudo-valori con il pretesto della pace, dello sviluppo e dei diritti umani; vuol dire favorire un impegno costante per fondare la legge positiva sui principi della legge naturale.16 Tutto ciò è necessario e coerente con il rispetto della dignità e del valore della persona umana, sancito dai Popoli della terra nella Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite del 1945, che presenta valori e principi morali universali di riferimento per le norme, le istituzioni, i sistemi di convivenza a livello nazionale e internazionale.

Oltre l’odio e il pregiudizio

13. Nonostante gli insegnamenti della storia e l’impegno degli Stati, delle Organizzazioni internazionali a livello mondiale e locale, delle Organizzazioni non governative e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà che ogni giorno si spendono per la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, nel mondo ancora oggi si registrano persecuzioni, discriminazioni, atti di violenza e di intolleranza basati sulla religione. In particolare, in Asia e in Africa le principali vittime sono i membri delle minoranze religiose, ai quali viene impedito di professare liberamente la propria religione o di cambiarla, attraverso l’intimidazione e la violazione dei diritti, delle libertà fondamentali e dei beni essenziali, giungendo fino alla privazione della libertà personale o della stessa vita.

Vi sono poi - come ho già affermato - forme più sofisticate di ostilità contro la religione, che nei Paesi occidentali si esprimono talvolta col rinnegamento della storia e dei simboli religiosi nei quali si rispecchiano l’identità e la cultura della maggioranza dei cittadini. Esse fomentano spesso l’odio e il pregiudizio e non sono coerenti con una visione serena ed equilibrata del pluralismo e della laicità delle istituzioni, senza contare che le nuove generazioni rischiano di non entrare in contatto con il prezioso patrimonio spirituale dei loro Paesi.

La difesa della religione passa attraverso la difesa dei diritti e delle libertà delle comunità religiose. I leader delle grandi religioni del mondo e i responsabili delle Nazioni rinnovino, allora, l’impegno per la promozione e la tutela della libertà religiosa, in particolare per la difesa delle minoranze religiose, le quali non costituiscono una minaccia contro l’identità della maggioranza, ma sono al contrario un’opportunità per il dialogo e per il reciproco arricchimento culturale. La loro difesa rappresenta la maniera ideale per consolidare lo spirito di benevolenza, di apertura e di reciprocità con cui tutelare i diritti e le libertà fondamentali in tutte le aree e le regioni del mondo.

Libertà religiosa nel mondo

14. Mi rivolgo, infine, alle comunità cristiane che soffrono persecuzioni, discriminazioni, atti di violenza e intolleranza, in particolare in Asia, in Africa, nel Medio Oriente e specialmente nella Terra Santa, luogo prescelto e benedetto da Dio. Mentre rinnovo ad esse il mio affetto paterno e assicuro la mia preghiera, chiedo a tutti i responsabili di agire prontamente per porre fine ad ogni sopruso contro i cristiani, che abitano in quelle regioni. Possano i discepoli di Cristo, dinanzi alle presenti avversità, non perdersi d’animo, perché la testimonianza del Vangelo è e sarà sempre segno di contraddizione.

Meditiamo nel nostro cuore le parole del Signore Gesù: "Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati […]. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati [...]. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt 5,4-12). Rinnoviamo allora "l’impegno da noi assunto all’indulgenza e al perdono, che invochiamo nel Pater noster da Dio, per aver noi stessi posta la condizione e la misura della desiderata misericordia. Infatti, preghiamo così: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12)".17 La violenza non si supera con la violenza. Il nostro grido di dolore sia sempre accompagnato dalla fede, dalla speranza e dalla testimonianza dell’amore di Dio. Esprimo anche il mio auspicio affinché in Occidente, specie in Europa, cessino l’ostilità e i pregiudizi contro i cristiani per il fatto che essi intendono orientare la propria vita in modo coerente ai valori e ai principi espressi nel Vangelo. L’Europa, piuttosto, sappia riconciliarsi con le proprie radici cristiane, che sono fondamentali per comprendere il ruolo che ha avuto, che ha e che intende avere nella storia; saprà, così, sperimentare giustizia, concordia e pace, coltivando un sincero dialogo con tutti i popoli.

Libertà religiosa, via per la pace

15. Il mondo ha bisogno di Dio. Ha bisogno di valori etici e spirituali, universali e condivisi, e la religione può offrire un contributo prezioso nella loro ricerca, per la costruzione di un ordine sociale giusto e pacifico, a livello nazionale e internazionale.

La pace è un dono di Dio e al tempo stesso un progetto da realizzare, mai totalmente compiuto. Una società riconciliata con Dio è più vicina alla pace, che non è semplice assenza di guerra, non è mero frutto del predominio militare o economico, né tantomeno di astuzie ingannatrici o di abili manipolazioni. La pace invece è risultato di un processo di purificazione ed elevazione culturale, morale e spirituale di ogni persona e popolo, nel quale la dignità umana è pienamente rispettata. Invito tutti coloro che desiderano farsi operatori di pace, e soprattutto i giovani, a mettersi in ascolto della propria voce interiore, per trovare in Dio il riferimento stabile per la conquista di un’autentica libertà, la forza inesauribile per orientare il mondo con uno spirito nuovo, capace di non ripetere gli errori del passato. Come insegna il Servo di Dio Paolo VI, alla cui saggezza e lungimiranza si deve l’istituzione della Giornata Mondiale della Pace: "Occorre innanzi tutto dare alla Pace altre armi, che non quelle destinate ad uccidere e a sterminare l'umanità. Occorrono sopra tutto le armi morali, che danno forza e prestigio al diritto internazionale; quelle, per prime, dell’osservanza dei patti".18 La libertà religiosa è un’autentica arma della pace, con una missione storica e profetica. Essa infatti valorizza e mette a frutto le più profonde qualità e potenzialità della persona umana, capaci di cambiare e rendere migliore il mondo. Essa consente di nutrire la speranza verso un futuro di giustizia e di pace, anche dinanzi alle gravi ingiustizie e alle miserie materiali e morali. Che tutti gli uomini e le società ad ogni livello ed in ogni angolo della Terra possano presto sperimentare la libertà religiosa, via per la pace!

Dal Vaticano, 8 dicembre 2010

BENEDICTUS PP XVI

_____________________________

1 Cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 29.55-57.

2 Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 2.

3 Cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 78.

4 Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, 1.

5 Id., Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 7.

6 Benedetto XVI, Discorso all’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (18 aprile 2008): AAS 100 (2008), 337.

7 Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 2

8 Giovanni Paolo II, Discorso ai Partecipanti all’Assemblea Parlamentare dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) (10 ottobre 2003), 1: AAS 96 (2004), 111.

9 Cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 11.

10 Cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 11.

11 Cfr Cicerone, De inventione, II, 160.

12 Cfr Benedetto xvi, Discorso ai Rappresentanti di altre Religioni del Regno Unito (17 settembre 2010): L’Osservatore Romano (18 settembre 2010), p. 12.

13 Conc. Ecum. Vat. II, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, 2.

14 Ibidem.

15 Super evangelium Joannis, I, 3.

16 Cfr Benedetto xvi, Discorso alle Autorità civili e al Corpo diplomatico a Cipro (5 giugno 2010): L’Osservatore Romano (6 giugno 2010), p. 8; COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Alla ricerca di un’etica universale: uno sguardo sulla legge naturale, Città del Vaticano 2009.

17 Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1976: AAS 67 (1975), 671.

18 Ibid., p. 668.

 

 




NO ALLA GUERRA :  PRINCIPIO “NON NEGOZIABILE”

 di Luigi Bettazzi

Vescovo emerito di Ivrea, già presidente nazionale di Pax Christi

30 Ottobre 2010

Ogni volta che un soldato italiano si trova a morire all’estero si alimenta l’interrogativo sulla validità di queste che vengono chiamate “missioni di pace”. L’interrogativo è giustificato dal fatto che queste operazioni tendono sempre più a rivelarsi azioni di guerra, tanto più se – come si sta sollecitando – i nostri aerei, finora destinati a ricognizioni, venissero invece corredati di bombe da sganciare sul territorio occupato dai “nemici”, che si dichiarano invece difensori della loro patria occupata da stranieri o da alleati di stranieri. In realtà questa “missione di pace” è così definita dagli organismi internazionali, anche se venne iniziata come reazione istintiva all’attacco delle Torri gemelle nel 2001.

Quello che emerge, in questo insieme di vicende, è la scarsa reazione del mondo cattolico, così giustamente sensibile per la difesa della vita nascente, osteggiata dall’aborto, e così silenzioso di fronte alla vita adulta minacciata dalla guerra. In passato proclamammo perfino “guerre sante” a difesa delle nostre vite (ovviamente più valide delle vite dei nemici, che pure Gesù ci aveva imposto di amare, quantomeno nel senso di non odiarle), poi avevamo precisato che erano ammissibili le guerre solo se erano “giuste” (e si enumeravano le condizioni che rendevano “giuste” le guerre), riducendole poi alle sole guerre “di difesa”, magari dei nostri interessi, escludendo quindi quelle di occupazione.

È stato papa Giovanni XXIII, nell’enciclica Pacem in Terris, ad affermare che, dati i mezzi di distruzione oggi disponibili e le possibilità di dialogo e di arbitrati, ritenere che la guerra possa realizzare la giustizia e la pace è inammissibile (“alienum a ratione”: assolutamente irragionevole). Dopo due anni la Costituzione conciliare Gaudium et spes, anche se non è giunta a condannare la guerra in sé – per la resistenza dei vescovi americani, allora condizionati dalla guerra in Vietnam –, ha però condannato (ed è stata l’unica condanna del Concilio che papa Giovanni aveva voluto come “Concilio pastorale”) la guerra totale, quella che coinvolge anche le popolazioni civili (allora si indicavano come Abc, atomica-biologica-chimica): “è delitto contro Dio e la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione dev’essere condannato” (Gs, 80).

Mi chiedo se questa chiara condanna sia stata accolta nella Chiesa, se la si consideri come “principio non negoziabile”, come la condanna dell’aborto e l’eutanasia. Se noi cristiani – tutti i cristiani – per fedeltà al Vangelo riconoscessimo l’immoralità della guerra, che ci fa scendere sotto il livello degli animali (che non si uccidono fra simili!), dando vigore a tutte le istituzioni internazionali in grado di promuovere validi embarghi finanziari o commerciali, o al massimo di costituire un’efficace “polizia internazionale” (già funzionò nel 1956 contro la minacciata guerra per il Canale di Suez), non solo avremmo finalmente attualizzato il Vangelo, ma avremmo così dato un apporto efficace al cammino della civiltà.

L’attuale vicenda dell’Afghanistan – dove il nostro orgoglio occidentale sta facendo tante vittime tra i civili, mentre lo stesso governo locale, da noi promosso e sostenuto, sta avviando colloqui di pacificazione con quelli che forse considera, se non come partigiani, certo come connazionali comunque da non sterminare – credo che dovrebbe costituire come un sussulto, perché le nostre Chiese, popolo di Dio e pastori, si facciano profeti e pionieri del rifiuto della guerra, di ogni guerra. Altre sono le strade da battere, certo più difficili, ma doverose ed anche – lo stiamo constatando – più sicure e più aperte alla speranza, e quindi umanamente più efficaci.

 

E dov’è andato a finire quel “ripudio” della guerra, così solennemente proclamato dall’art. 11 della Costituzione? A quali distorsioni di linguaggio è stato sottomesso un dettato sacrosanto, religioso persino nella modulazione lessicale, che fino a ieri i semplici ritenevano ermeticamente chiuso perfino all’alito della violenza armata? Se l’etimologia non m’inganna, ripudio viene dalla parola latina “pudor”, che vuol dire pudore, vergogna. Con l’aggiunta di un prefisso, viene fuori il verbo “ripudiare”, che significa svergognare.

don Tonino Bello

Cattolici nell’Italia di oggi

CENTO (FE), Martedì 23 novembre 2010 ore 20:45

Il tema dell’ultima Settimana Sociale
trattato e raccontato dal
prof. Luca Diotallevi
vicepresidente del Comitato organizzatore


Organizzato da:

VICARIATO di CENTO (FE)

presso la Parrocchia di Penzale

Vedi appuntamento

Scarica il volantino dell'iniziativa.





I principi della Dottrina Sociale e i cattolici in politica

Dottrina Sociale e Bene Comune

di Mons. Giampaolo Crepaldi*

ROMA, giovedì, 28 ottobre 2010


da ZENIT.org

La Dottrina Sociale della Chiesa svolge anche il compito di indicazione dei principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione per i cattolici impegnati in politica. Tra questi: la trascendente dignità della persona, il bene comune, la destinazione universale dei beni, la sussidiarietà e la solidarietà, il primato del lavoro sul capitale, la scelta preferenziale per i poveri. È chiaro che si tratta solo di estrapolazioni di alcuni elementi, certamente importanti ma non unici. Si pensi per esempio al principio della giustizia. Di recente la Caritas in veritate di Benedetto XVI sembra aver indicato i principi della verità e della carità e quello del dono e della gratuità nella vita economica. Inoltre, più che di solidarietà essa ha parlato di fraternità.

Sono principi di ragione ed anche di fede; sono frutto dell’indagine che la ragione umana fa della realtà, dell’essere e contemporaneamente sono stati rivelati nella loro ultima sorgente da Dio. Questo comporta che la ragione sia in grado di conoscere la realtà, ossia sia capace di conoscenza metafisica.

Con questa parola intendiamo un sapere di tipo filosofico capace di andare oltre gli aspetti quantitativi e misurabili della realtà e di cogliere le strutture fondamentali dell’essere che sono immateriali: l’uomo è più dei suoi connotati fisici e materiali. Se non si assegna alla ragione

questa capacità non potrà mai avvenire l’incontro della ragione e della fede nei principi della dottrina sociale. Pensiamo per esempio al concetto della dignità della persona umana. Se io penso che non sia possibile per la mia ragione conoscere la natura dell’uomo, il suo ‘che cos’è’ o, come dicevano una volta, la sua ‘essenza’, ma sia solo possibile conoscere i suoi fenomeni, vale a dire la circolazione del sangue, i nessi biochimici del suo corpo, le interrelazioni tra gli organi, il funzionamento di suoi neuroni e così via … se così fosse che significato avrebbe fare appello alla dignità della persona umana? Infatti, tutti si appellano a questa dignità, sia chi combatte l’aborto sia chi lo ammette; sia chi è contro l’eutanasia sia chi la promuove. Ora: alla domanda “cos’è la persona?” rispondono sia la ragione metafisica sia la rivelazione cristiana e le due fonti convergono perché la fede cristiana presuppone una metafisica e la ragione, in armonia con la fede, la sviluppa. Ma se questa ragione metafisica viene negata, come potranno conciliarsi tra loro la visione razionale della persona umana e quella biblico-religiosa?

Il cristianesimo esprime una visione della persona umana di tipo metafisico e quindi non potrà mai incontrarsi fino in fondo con filosofie che negano questo sapere, come per esempio le filosofie materialiste.

Lo stesso vale per il concetto del bene comune. Anch’esso è un concetto metafisico, in quanto presuppone che la realtà dell’uomo sia originariamente socievole e che la comunità sia per la persona un luogo di umanizzazione in un rapporto tale che la persona e la comunità si relazionano come un tutto rispetto ad un altro tutto. di questo bene comune fa parte anche la dimensione spirituale della persona? La dottrina sociale della Chiesa non ha nessun dubbio a riguardo, ma altre dottrine lo escludono. Ecco allora che si deve fare riferimento ad una metafisica della persona e della comunità umana affinché questa non sia ridotta solo ad una giustapposizione di individui che rivendicano ognuno i propri interessi particolari. I principi della dottrina sociale, in altre parole, vanno qualificati, altrimenti si prestano ad interpretazioni generiche e scivolano verso un inconcludente e vago umanesimo adatto per tutte le stagioni. Questo pericolo è sempre in agguato ed è una delle principali tentazioni del cattolico impegnato in politica. Seguire il mondo anche nelle sue semplificazioni interessate dà la sensazione di essere al passo con i tempi e che il cristianesimo sia di moda, mentre proprio così facendo esso perde la capacità di incidere sulla realtà e viene reso inservibile ed innocuo.

C’è un criterio per non cadere in queste trappole?

Proviamo a fare l’esempio dell’ambiente e dell’ambientalismo. Nella dottrina sociale, soprattutto nell’ultima enciclica Caritas in veritate, viene esaminato il tema della tutela dell’ambiente in ottica cristiana. La difesa del creato è considerato un dovere importante che va assunto con responsabilità, però esso va inteso senza riduzionismi: del creato fa parte anche la persona umana, che anzi ne è il vertice. Spesso sembra che da un lato ci sia la natura da salvaguardare e dall’altro ci sia l’uomo che deve salvaguardarla invece che sfruttarla. Si dimentica che anche l’uomo fa parte del creato e che c’è una ecologia umana e non solo una ecologia naturale.

Salvaguardare la natura vuol dire allora prima di tutto salvaguardare l’uomo. Salvaguardare i koala è degno di rispetto, ma ancor più salvaguardare la vita umana del concepito. Ecco un evidente caso di riduzionismo ideologico: si fa appello sì alla persona umana, ma di fatto le si assegna un ruolo addirittura inferiore a quello degli animali. L’ecologismo (assolutizzazione della natura fisica) e il biocentrismo (indifferente dignità di ogni forma di vita) non rispettano l’incondizionatezza della persona umana. Questo è il criterio per qualificare la nozione di persona e, di conseguenza, di comunità politica. Incondizionatezza significa che il valore e la dignità della persona non sono soggetti a condizioni e quindi sono indisponibili, non se ne può disporre, nessuno è in posizione tale da decidere sulle persone e stabilire condizioni a cui esse dovrebbero sottostare in quanto persone. È come dire che la persona non può mai essere considerata uno strumento ma sempre e solo un fine. L’incondizionatezza della persona però ha bisogno di essere adeguatamente fondata. Sul piano razionale il suo fondamento non può essere che ontologico, legato cioè al suo essere, ad un valore e ad una dignità che le appartengono in quanto tale. La persona è sul piano dell’essere qualcosa di unico ed assolutamente eminente. Sul piano della rivelazione essa si fonda sulla elezione divina: Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, Cristo ha assunto carne umana, il risorto ha unito a sé tutti gli uomini aprendo loro una vita eterna conforme alla dignità della loro anima spirituale. La comunità umana è unita quindi da un comune destino sia sul piano naturale che in quello soprannaturale. Il cattolico in politica dovrà tenere presente questa concezione di persona e di comunità, altrimenti diventa facilmente preda delle ideologie politiche che riducono queste dimensioni ad elementi superficiali. Possiamo ora riprendere in estrema sintesi i principi della dottrina sociale della Chiesa cercando di mostrare il substrato culturale con cui vanno intesi. Qualcuno dirà che in questo modo si assegna una importanza fondamentale alla cultura più che alla politica. Non voglio stabilire gerarchie, ma certamente i cattolici in politica non possono stare senza una loro cultura della politica e credo che la dottrina sociale della Chiesa possa svolgere un ruolo fondamentale in questo campo. Il primo principio è, come si diceva, quello della trascendente dignità della persona umana.

Ho già detto come questo comporti una filosofia realistica della persona, una metafisica dell’essere personale.

Sottolineo qui l’aggettivo trascendente. Il cattolico impegnato in politica non dimentichi mai questo aggettivo, senza il quale la dignità della persona diventa a disposizione delle varie forme del potere. C’è poi il concetto del bene comune, che pure è un concetto metafisico, non riducibile alla convergenza degli interessi. Il principio di solidarietà viene privato dei suoi fondamenti se non ha alle spalle la fraternità. Ma come si può essere fratelli senza essere figli di uno stesso Padre? La solidarietà viene deviata dal suo giusto corso se non illuminata con la trascendente dignità della persona umana. Una solidarietà appaltata solo allo Stato e non anche alla responsabilità personale e dei gruppi della società civile produce nichilismo. Si crea un corto circuito tra solidarietà e responsabilità se si affida la solidarietà a delle strutture con un impoverimento motivazionale dell’intera società. Lo stesso dicasi della sussidiarietà, su cui si accumulano varie deformazioni. Senza la concezione della persona di cui abbiamo parlato sopra, la sussidiarietà si riduce ad essere una rivendicazione di spazi individuali dall’ingerenza del pubblico. Solidarietà e sussidiarietà vanno sempre tenute insieme. La scelta preferenziale per i poveri non va intesa in senso sociologico. Bisogna intendere la povertà in senso globale, come una dimensione di tutta la persona, senza amputazioni. La lotta alla povertà non va intesa in modo solo assistenzialistico. Posto che “c’è qualcosa di dovuto all’uomo in quanto uomo”, la lotta alla povertà fa attuare mobilitando la libertà e la responsabilità e valorizzando le multiformi espressioni della società civile.

Si potrebbe dire: ma il cattolico impegnato in politica deve collaborare con gli altri anche se essi non condividono fino in fondo questa visione densa e pregnante di persona e di bene comune? Molti pensano che egli possa fare con gli altri almeno un tratto di strada, e poi semmai proseguire da solo. Per esempio: se ci sono associazioni ambientaliste che promuovono la ripulitura volontaria del bosco inquinato, il politico cattolico le appoggi anche se poi quelle stesse associazioni propongono in altri campi riforme contrarie alla vita o alla famiglia.

Bisogna però tenere conto che il politico cattolico non può agire parcellizzando le cose, perché in questo modo diventa preda dell’ideologia. Egli, anzi, deve dare il proprio contributo a far uscire dalle ideologie. A quelle associazioni il cattolico in politica proporrà una riflessione sulla ecologia umana e sul principio di coerenza: come si può rispettare la natura quando si parla di uccelli o di biodiversità e non rispettare la natura umana quando si parla del diritto del concepito a vivere? La Caritas in veritate invita a non separare mai i programmi di sviluppo dal diritto alla vita e il principio di coerenza vuole che come si denuncia la mortalità infantile a causa della malaria si denuncino anche la selezione eugenetica femminile e la pianificazione forzata delle nascite con l’utilizzo anche dell’aborto. Quando Amnesty International si è dichiarata favorevole all’aborto, alcuni uomini di Chiesa avevano chiesto che i cattolici sospendessero i contributi economici e di altro genere a questa organizzazione. I singoli obiettivi possono sembrare buoni se estrapolati dal contesto programmatico e culturale generale, ma di fatto vengono perseguiti dentro quel contesto. Chi crede che l’ecologia naturale richieda anche il rispetto della ecologia umana ripulirà in modo diverso anche il fiume inquinato e, soprattutto, ripulirà poi molte altre cose.

Il cattolico in politica quindi collaborerà dentro questa chiarezza. Non è necessario che ogni progetto da attuare con gli altri contempli sempre tutti i presupposti, è però necessario che il cattolico in politica li abbia presenti e li renda noti.

Nasce qui un tema di grande interesse: è meglio che i cattolici abbiano le loro organizzazioni ed istituzioni di presenza, oppure è meglio che agiscano all’interno di quelle pubbliche e indistinte? Il tema riguarda anche i partiti, ma di questo ci occuperemo in seguito. Qui atteniamoci per il momento ad associazioni, scuole, università, cooperative, strutture di assistenza eccetera. Ci devono essere scuole cattoliche oppure i cattolici devono essere presenti nelle scuole pubbliche? È bene che i cattolici abbiamo i loro ospedali dichiaratamente cattolici oppure che operino negli ospedali pubblici o privati che siano ma comunque non dichiaratamente cattolici?

L’argomento è di grande interesse non solo sociale ma anche politico, dato che il cattolico in politica deve avere delle idee su che tipo di società costruire ed eventualmente anche se ci sono motivi politici per sostenere forme di presenza sociale dichiaratamente cattoliche. A mio parere i cattolici devono essere presenti ovunque, sia personalmente che collegati tra loro e sempre in collaborazione aperta a chiunque abbia desiderio di collaborare al bene comune. Ciò non toglie però che siano anche necessarie istituzioni dichiaratamente cattoliche, come scuole, università, ospedali o altro. Questo per il motivo detto sopra. C’è bisogno che l’incondizionatezza della persona sia tenuta ferma e proposta come modalità di agire globale, senza riduzionismi. In questo senso c’è bisogno di istituzioni animate da questa apertura totale verso la trascendente dignità della persona umana. Non per motivi di esclusiva, ma per garantire luoghi e situazioni in cui sia permessa una testimonianza integrale a chi la vuole vivere ed attuare. Credo che del resto questo sia un bene anche per la società stessa e una cosa che la politica dovrebbe promuovere e sostenere non per motivi confessionali ma per il bene comune. Certo è una grossa responsabilità per chi opera in queste istituzioni. Un ospedale, una cooperativa sociale, una comunità di recupero, una università che si dicano cattoliche si assumono una forte responsabilità di coerenza e di testimonianza.

La cosa è importante anche per la concretizzazione dei principi della dottrina sociale della Chiesa. Affinché questi siano applicati nella loro totalità e senza amputazioni e, soprattutto, perché i motivi di ragione si saldino con quelli di fede, perché il rispetto dei diritti e della giustizia si alimenti di fraternità cristiana, perché le direttive di azioni di carattere economico e politico siano animate dalla preghiera, dalla liturgia e dalla partecipazione alla vita di fede è molto utile che si attuino esperienze che esplicitamente si rifacciano alla religione.

Ciò nulla toglie all’importanza della testimonianza personale ed aggregata in tutti gli ambiti e non intende minimamente stabilire gerarchie, ma solo evidenziare una grande utilità.

*Mons. Giampaolo Crepaldi è Arcivescovo di Trieste, Presidente della Commissione “Caritas in veritate” del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE) e Presidente dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa.