Cattolicesimo Democratico

I cattolici dopo Berlusconi

Verso una nuova fase della democrazia Italiana

Gianfranco Brunelli
da il Regno-att. n.16, 2011

Una notte profonda. L’Italia è entrata in una notte profonda: le sue strutture sociali, economiche e istituzionali sono logorate. Una crisi finanziaria  fuori controllo, che fa già sentire i suoi effetti sul piano economico e sociale, la pervade e la sovrasta. Il giudizio internazionale sul nostro sistema è chiaramente di inaffidabilità complessiva. Lo scontro interno a Confindustria, innescato dall’annuncio dell’uscita della FIAT dall’organismo di rappresentanza degli industriali, divide e delegittima uno dei principali soggetti sociali, modifica i rapporti tra i diversi soggetti sindacali e, eliminando tendenzialmente la contrattazione a livello nazionale, ridisegna l’insieme dei rapporti sociali.

Siamo privi di governo e di opposizione. L’estate ci ha mostrato un governo nel caos, oramai privo di autorità e non solo di autorevolezza, che pur sotto dettatura della Banca centrale europea e dei governi più forti che la dirigono, ha prodotto in maniera del tutto contraddittoria, a motivo delle sue divisioni interne, un paio di finanziarie di portata decennale sprecandone gli effetti benefici. Un premier politicamente  logorato e moralmente screditato fatica a varcare le frontiere e a interloquire con gli altri governanti. Ma se  questo governo sta ancora in piedi, se è come condannato a stare in piedi, reggendosi sull’appoggio reciproco tra Berlusconi e Bossi, l’uno consunto e l’altro barcollante, è anche perché l’opposizione non c’è. In particolare non c’è il principale partito d’opposizione: il Partito democratico (PD). Aver ridotto la propria strategia  politica a qualche slogan, aver identificato la propria presenza politica con l’antiberlusconismo non ha costituito alcuna seria e credibile alternativa di governo, consentendo a Berlusconi di restare a  palazzo Chigi oltre le sue possibilità, personali e politiche, e oltre le necessità del paese. L’unica istituzione che conserva un significato politico degno di questo nome è divenuta di fatto e giocoforza, al di là delle proprie prerogative, la presidenza della Repubblica. Il capo dello stato ha deciso l’intervento dell’Italia in  Libia, ha costretto l’opposizione a consentire in Parlamento l’approvazione rapida delle manovre  finanziarie  del governo,  ha dato voce al malessere crescente dei cittadini. L’unica istituzione che ancora tiene è la presidenza della Repubblica. E c’è da chiedersi per quanto ancora, nel vuoto o nella distorsione funzionale delle altre istituzioni, magistratura compresa. La buona notizia della avvenuta raccolta di firme  per abrogare l’attuale legge elettorale, pur nella sua eccezionalità, di per sé non basta a far sì che il pronunciamento inequivocabile dei cittadini sia assunto sul piano politico dai soggetti della politica.

La raccolta avvenuta in un mese di oltre 1.200.000 firme su una richiesta di referendum ha come cambiato il quadro politico. Ma quel successo improvviso e imprevisto dichiara non solo la passione civile e la lucidità politica di chi ha pensato e voluto questo referendum, ma soprattutto l’oggettiva  disperazione nella quale versa il paese. E se le reazioni del ceto politico, di governo e di opposizione, sono state  immediatamente  quelle di smarcarsi dalla difesa dell’attuale sistema elettorale, consentendo con  l’indignazione dei cittadini, di fatto è già partita la gara a cercare di annullare l’effetto firme. ci hanno provato per primi Berlusconi – con le sue dichiarazioni sulla prossima manovra economica dedicata alla crescita – e incredibilmente lo stesso Bersani, che, invece di assumere, seppur a posteriori, la direzione politica del risultato, ha dapprima provato a rivendicarne il merito, poi, con un intervento generico alla direzione del suo partito, ha cercato di minimizzare, sostenendo – sintetizzo – che «c’è grossa crisi».

Ma quello che è avvenuto difficilmente può essere cancellato, soprattutto in assenza di un disegno politico di un qualche segno, sia a centro-destra, sia a centro-sinistra. Se Berlusconi cadrà, sarà o per le pressioni internazionali legate alla crisi finanziaria (l’Italia non se lo può più permettere), o per gli effetti politici delle firme referendarie (le contraddizioni aperte all’interno di ciascuna forza politica in ciascun schieramento determineranno la crisi). D’altra parte, il PD vede giungere al pettine tutti i nodi irrisolti degli ultimi anni, diversi dei quali non sono attribuibili alla sola segreteria Bersani-D’Alema, né alla sola componente diessina.

Questione  morale, questione istituzionale

Per questo è utile riprendere il filo dell’ispirazione e del ragionamento che hanno mosso la richiesta di referendum. Il paese ha bisogno di regole certe e condivise che ridiano alla nostra democrazia trasparenza di comportamenti e istituzioni forti, pienamente legittimate, in grado di decidere. Il che significa, accanto a una riconquistata dignità del Parlamento e dei parlamentari, riprendere la strada di una democrazia di tipo competitivo e governante. Il paese ha bisogno di un governo che decida su un piano  interno  e internazionale  e di un’opposizione che rappresenti (cioè istituzionalizzi) le richieste dei cittadini.

Solo la ripresa del pieno esercizio della sovranità dei cittadini può fortificare le istituzioni, non certo vecchie o nuove oligarchie impegnate a conservare sé stesse separandosi dalla volontà popolare.

Solo un sistema di regole certe che sviluppi tutte le occasioni di partecipazione dei cittadini, previste dalla nostra Costituzione, potrà contrastare la sfiducia verso le istituzioni che va diffondendosi nella società:  una  deriva  di demoralizzazione, di separazione, di allontanamento dalla politica che si sta facendo – come abbiamo più volte sottolineato  su questa  rivista  – indifferenza, egoismo, cinismo.

Per questo motivo è discriminante ridare al cittadino il potere di scegliere un Parlamento più rappresentativo e, conseguentemente, un governo in grado di governare. La critica al ritorno al sistema elettorale precedente, regolato dalla legge Mattarella, è in larga parte pretestuosa. Anzitutto perché quel sistema aveva comunque dato risultati positivi, pur nelle insufficienze allora osservate. In secondo luogo perché esso si muoveva con maggiore coerenza verso un modello di sistema politico dell’alternabilità tra i principali schieramenti e della maggiore governabilità.

Un paese democratico non può affidare il proprio destino, per la terza legislatura consecutiva, a un Parlamento di nominati dalle segreterie dei partiti e non di eletti dai cittadini. Soprattutto non  può farlo  in un momento così grave, privandosi di un potere legislativo che sia pienamente rappresentativo, rispettabile e rispettato. Molti dei guasti a cui oggi assistiamo, nelle istituzioni e nei soggetti politici, sono anche il frutto del modello di competizione elettorale che è andato sotto il nome simbolicamente evocativo di Porcellum. Un modello di competizione che ha comportato la  frammentazione  dei soggetti politici,  l’accentuata  disomogeneità e fragilità  delle alleanze, la nomina dei parlamentari da parte di un’oligarchia ristretta di professionisti della politica.

È sul tema delle regole e della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica che consiste una parte importante della questione morale del nostro paese, poiché le regole definiscono i comportamenti e la partecipazione critica legittima le decisioni.

Il rapporto intrinseco tra questione morale e questione istituzionale o delle forme della democrazia trova ancora difficoltà a essere assunto sistematicamente, anche dalle componenti cattoliche.

La  DC: un sogno di mezz’estate

Si apre qui il tema del contributo dei cattolici alla situazione critica del paese. Non perché si debba continuare a ritenere i cattolici italiani (nel 150° dell’unità d’Italia sarebbe persino sconsolante) come separati  dal  resto del paese, ma perché il tema è stato posto, di  fatto e autorevolmente, in termini specifici.

Nei fatti  si può constatare  come nelle ultime vicende referendarie i cattolici complessivamente presi siano stati in gran parte assenti. A differenza della stagione dei primi anni Novanta, quando fu una minoranza cattolica illuminata (ACLI, FUCI, ACI, esponenti vicino a Comunione e liberazione [CL]) a guidare il cambiamento istituzionale attraverso  i referendum elettorali, in questo frangente quelle stesse componenti si sono ritrovate piuttosto ai margini del processo di cambiamento,  se non altrove. Non che queste componenti, assieme ad altre (i nuovi movimenti, la CISL, le associazioni di categoria), non abbiano cominciato a porsi il problema della grave situazione del paese e anche del dopo-Berlusconi (come nel caso di CL al Meeting agostano di Rimini), ma lo hanno fatto seguendo una premessa culturale e una logica politica da prima Repubblica.

Ciascun  caso è naturalmente  diverso dagli altri. CL e la Compagnia delle opere, ad esempio, hanno il problema della presenza dei loro referenti diretti dentro il Popolo della libertà (PDL); di qui l’avvio di un processo di pluralizzazione delle interlocuzioni anzitutto  con segmenti  del PDL, dell’Unione di centro (UDC) e del mondo economico-finanziario. Altri – forse per un residuo antiruiniano, l’analogo in area cattolica dell’antiberlusconismo in politica –, attratti dal tema della rappresentanza laicale in politica di contro all’interventismo ecclesiastico dell’ultimo ventennio, hanno inizialmente immaginato  come possibile e persino auspicabile un ritorno alla figura del «partito cattolico».

Il dibattito agostano su questo punto, guardato con preoccupazione dalla stessa Conferenza episcopale italiana (CEI), segnava un arretramento culturale e politico rispetto alla linea Ruini correttamente intesa. Le parole di Giovanni Paolo II al III Convegno ecclesiale della Chiesa italiana (Palermo, 1995), riprese da Benedetto XVI al IV (Verona, 2006), erano e sono inequivocabili circa l’accettazione della fine del modello politico imperniato sul partito d’ispirazione cristiana. Il card. Ruini aveva allora elaborato una tesi di equidistanza tra gli schieramenti e di accettazione del bipolarismo. Un risultato non da poco, dopo la fine della Democrazia cristiana (DC). Con la DC era terminata non solo una formidabile e longeva esperienza politica, ma anche l’ipotesi irripetibile dell’esistenza di una mediazione storicamente privilegiata tra fede e politica, garantita  da un imprimatur ecclesiastico sostanziale, anche se volta a volta riespresso con accenti diversi.

Certo il card. Ruini aveva poi interpretato quel riposizionamento della gerarchia, soprattutto dopo il 1998 e fino al 2008, come un sostanziale appoggio ai  governi di centro-destra attraverso una presenza pubblica diretta e centralizzata  della gerarchia,  mutuata  dalle nuove questioni etiche sulle quali la sinistra scontava un ritardo di analisi e la destra, accettando l’egemonia culturale ecclesiastica, si disponeva a incassarne l’appoggio politico. Rimaneva  escluso di fatto da questa derubricazione della politica  a  tecnica  amministrativa  il ruolo un tempo significativo del laicato cattolico, al quale non poteva bastare il modello organizzativo del Progetto culturale. Un limite non da poco. Ma in un quadro più avanzato.

Ora il sogno di mezza estate di un semplice ritorno alla DC ha fatto vedere quanto sia arretrata, culturalmente e  politicamente, la posizione di molti cattolici, compresa una parte della gerarchia ecclesiastica. Quel ritorno non è possibile e neppure auspicabile. Per la Chiesa e per il paese.

Non è possibile perché sia nella forma di un appoggio al partito più prossimo al modello della vecchia DC, l’UDC, tanto più nella forma di un’autonoma iniziativa, quel progetto rischierebbe di rivelarsi, alla prova elettorale, velleitario. Esso dovrebbe scommettere  su un cambio in senso proporzionale della legge elettorale e sul crollo elettorale dell’attuale PDL e della Lega per raggiungere percentuali comparabili. Se così non fosse emergerebbe fino in fondo la tragedia di una Chiesa ridotta a parte politica e di un mondo cattolico marginale e marginalizzato.

Settembre ha portato consiglio. Una parola chiara è stata espressa, all’ultimo Consiglio permanente della CEI, dal suo presidente, il card. Bagnasco, ripresa dal segretario generale, mons. Crociata,  in conferenza stampa. Bagnasco è intervenuto con un testo molto ampio su tutto lo scenario della crisi nazionale, compreso lo scandalo emerso dalle intercettazioni al premier.

Conviene riprendere integralmente alcune espressioni: «Conosciamo le preoccupazioni che pulsano nel corpo vivo del paese, e non ci sfugge certo quel che, a più riprese, si è tentato di fare e ancora si sta facendo per fronteggiarle. L’impressione tuttavia è che, stando a quel che s’è visto, non sia purtroppo ancora sufficiente. Colpisce la riluttanza a riconoscere l’esatta serietà della situazione al di là di strumentalizzazioni  e partigianerie; amareggia il metodo scombinato con cui a tratti si procede, dando l’impressione che il regolamento dei conti personali sia prevalente rispetto ai compiti istituzionali e al portamento richiesto dalla scena pubblica, specialmente in tempi di austerità. Rattrista il deterioramento del costume e del linguaggio pubblico, nonché la reciproca, sistematica denigrazione, poiché così è il senso civico a corrompersi, complicando ogni ipotesi di rinascimento anche politico. Mortifica soprattutto dover prendere atto di comportamenti non solo contrari al pubblico decoro ma intrinsecamente tristi e vacui. Non è la prima volta che ci occorre di annotarlo: chiunque sceglie la militanza politica, deve essere consapevole “della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che comporta”, come anche la nostra Costituzione ricorda».

Bipolarismo, laicità, democrazia

Colpisce, amareggia, rattrista, mortifica: definizioni che non lasciano margine all’equivoco sul pensiero della Chiesa nei confronti della situazione italiana. Ma Bagnasco è intervenuto anche sulla questione della presenza dei cattolici nella società civile e nella vita politica. Ed è in questo contesto che ha accennato alla questione della costituzione di un soggetto cattolico e della sua natura.

Due i passaggi significativi: uno sul recente passato e uno finale sul futuro. Circa il passato prossimo ha detto: «Gli anni da cui proveniamo potrebbero aver indotto talora a tentazioni e smarrimenti, ma hanno indubbiamente spinto i cattolici, alla scuola dei papi, a maturare una più avvertita coscienza di sé  e del proprio compito nel mondo. Un nucleo più ristretto ma sempre significativo di credenti, sollecitati dagli eventi e sensibilizzati nelle comunità cristiane, ha colto la rinnovata perentorietà  di rendere politicamente più operante la propria fede. Sono così nati percorsi diversi, a livelli molteplici, per quanti intendono concorrere alla vitalità e alla modernità della polis, percorsi che hanno dato talora un senso anche di dispersione e scarsa incidenza. Tuttavia, non si può non riconoscere che si è trattato di una sorta di incubazione che,  se non ha mancato di produrre qua e là dei primi risultati, sta determinando una situazione nuova».

Infine sul futuro. «Sembra rapidamente stagliarsi all’orizzonte la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica, che – coniugando strettamente l’etica sociale con l’etica della vita – sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni». Dunque il presidente della CEI esclude positivamente un soggetto politico vero e proprio; non determina che cosa l’aggregazione auspicata debba essere, né dal punto di vista organizzativo, né dal punto di vista del legame con la gerarchia, ma ne definisce l’ambito sociale e culturale.

Si tratta  a questo punto di capire quale possa essere il modello. Se il modello fosse quello dell’antica «riaggregazione del mondo cattolico»,  operazione che sul finire degli anni Settanta raccolse il cattolicesimo italiano  nel limbo del pre-politico, per un breve periodo, per poi ridistribuirlo (con candidati e operazioni collaterali di appoggio organizzativo) nella DC, allora si tratterebbe di fatto o di promuovere alcune candidature amiche a seconda delle offerte politiche dei diversi soggetti, non solo nell’UDC, perché la presenza di cattolici nel PDL (addirittura organizzata attraverso  CL) e nel PD è effettiva. Oppure la linea diverrebbe nei fatti quella di suggerire (non di patrocinare) la creazione nel dopo-Berlusconi di un raggruppamento di centro-destra  moderato, alla tedesca con anche l’UDC. In questo caso l’investimento del laicato cattolico si dispiegherebbe interamente nel centro-destra (dall’UDC al PDL). Un correlativo oggettivo del PPE in Italia.

Un secondo modello potrebbe essere quello, già in uso, delle Settimane sociali o dei Forum delle aggregazioni laicali. In entrambi i casi esso manterrebbe il nuovo soggetto a distanza di sicurezza dalla politica ma col rischio di apparire troppo generico. Questa formula ha evitato sin qui la spaccatura tra le associazioni e i movimenti cattolici. Il rischio di un conflitto per l’egemonia interna è sempre possibile a meno che la leadership di questo soggetto plurale non rimanga  direttamente  in capo ai vescovi. Ma a quel punto il vantaggio di un ritorno del laicato cattolico sarebbe francamente contenuto.

È infine possibile che si giunga a una formula anch’essa d’ispirazione tedesca, quella del Comitato centrale dei cattolici. Questa rappresenterebbe una soluzione avanzata, aperta e plurale, tale da dare voce a molte istanze, senza una diretta discendenza o ascendenza politica e tuttavia laicamente autorevole.

Il punto dal quale non si può arretrare, ci sembra di poter dire, è l’equidistanza della Chiesa dalle forze politiche; così come, secondo un’autentica autonomia e piena assunzione di responsabilità, il contributo dei cattolici, a qualunque schieramento appartengano, all’urgente ripresa della democrazia nel nostro paese.

 

Costituzione Concilio Cittadinanza

Per una rete tra cattolici e democratici


28 Ottobre 2011

Forse non è più tempo di “Appelli” solenni, come quello di don Sturzo del 18 gennaio 1919 “a tutti gli uomini liberi e forti”, ma certamente la situazione attuale, caratterizzata dalla grave crisi economica che rivela una ancor più grave crisi sociale e politica, richiede a tutti un’assunzione di responsabilità. E noi riteniamo che la richieda, in particolare, ai cattolici che si richiamano alla tradizione cattolico-democratica.

Alcune associazioni che si ispirano a tale tradizione (“Argomenti 2000”, “Città dell’uomo”, “Rosa bianca”, “Agire politicamente”), si sono dati informale appuntamento, nello scorso autunno, non solo per condividere la comune preoccupazione e indignazione dinanzi al miserevole spettacolo di quella congiuntura politica (spettacolo, poi, sistematicamente protrattosi nel tempo), ma anche per interrogarsi sull’eventuale opportunità di unire le singole energie, al fine di rendere più incisiva la condivisa sensibilità culturale-politica e dare visibilità ad una presenza significativa del cattolicesimo democratico nel nostro contesto sociale e politico.

Dopo i primi contatti si è deciso di passare parola ad altri amici e amiche che sapevamo sulla medesima lunghezza d’onda. Così è stato.

Nel mese di aprile 2011 il documento “Oltre l’indignazione, bisogno di futuro” è stato sottoscritto da numerose associazioni e così,  passo dopo passo, il numero delle adesioni si è allargato.

Alle sigle associative di partenza, si sono, infatti, affiancate quelle che sottoscrivono la presente proposta, ma sono solo una piccola parte di tutte quelle che operano sul territorio, dando luogo a quel vitale arcipelago associativo che può diventare un serbatoio di speranze di futuro per il nostro Paese.

Dagli incontri sin qui avuti è emersa, con sempre maggiore chiarezza, la centralità della “questione democratica” e il convincimento secondo cui valori/sensibilità/stili/metodi della cultura socio-politica rifacentesi alla tradizione cattolico-democratica risultano straordinariamente attuali e, pertanto, meritevoli di essere riproposti senza incertezze, evitando, per altro, di ridurli a pure enunciazioni di principi astratti, incapaci di misurarsi con le sempre nuove sollecitazioni del divenire storico. Più che preoccuparci di stilare una “lista” di tali orientamenti valoriali, fatalmente soggetta al rischio di lacune, negli incontri in questione ci è parso di dovere sottolineare che, in fondo, oggi dirsi cattolico-democratici significa riconoscersi dentro l’orizzonte culturale e valoriale delineato da due grandi punti di riferimento: la Costituzione repubblicana del 1948 e il Concilio Ecumenico Vaticano II. Giuseppe Lazzati, indimenticato Maestro di molti di noi, li indicava come le due “stelle polari” per il cammino del laicato.

Certo, non basta affermare, genericamente, di rifarsi alla Costituzione e al Concilio. Bisogna sapere “leggere” e, in qualche modo, “reinterpretare” quel testo e quell’evento. Si tratta, infatti, di portare a evidenza il plesso di principi/valori/esigenze/sollecitazioni che, opportunamente “mediati” in rapporto al nostro tempo, ci consenta di definire le coordinate essenziali per concorrere a delineare (e edificare) un modello di “città” e di convivenza “a misura d’uomo”, direbbe sempre Lazzati ed oggi, accogliendo il linguaggio di genere, preciseremmo “a misura dell’umano”.

Negli incontri di cui s’è detto sono così emerse alcune “parole-chiave” che, oltre ad ottenere pieno consenso dei presenti, costituiscono assi portanti di una cultura socio-politica coerente con la tradizione cattolico-democratica. Proviamo a nominarle: democrazia, uguaglianza, cittadinanza, laicità, partecipazione, pluralismo, giustizia, etica pubblica, dialogo, solidarietà, accoglienza… La lista potrebbe continuare. Basta però l’esemplificazione fornita, con l’avvertenza, ribadiamo, che non è più tempo d’inconcludenti declamazioni retoriche e generiche: occorre, invece, riuscire a declinare in modo credibile ciascuna “parola-chiave”, commisurandola ai problemi reali sul tappeto. Nei loro contesti di presenza, le nostre associazioni già operano in quella direzione. Gli incontri svolti ci hanno però confermati circa la necessità di dare più forza alle singole voci, predisponendo strumenti idonei a tale scopo.

Abbiamo pertanto pensato che, per incominciare, potesse essere utile l’avvio di un portale, come mezzo e “luogo” di raccolta, condivisione, amplificazione delle nostre riflessioni, prese di posizione, proposte. Ci siamo intesi sul nome da assegnargli: Costituzione Concilio Cittadinanza. Per una rete tra cattolici e democratici. Si sta procedendo alla definizione del progetto, incominciando dagli aspetti di carattere tecnico-informatico.

Il portale costituisce anche strumento per agili forme di conoscenza e di collegamento tra le medesime associazioni, per eventuali interventi “unitari” su questioni dell’attualità socio-politica, tramite “pronunciamenti”, focus, discussioni.

Dare visibilità ad una presenza significativa e caratterizzata dei cattolici democratici e, nel contempo, favorire la reciproca conoscenza fra le persone e fra le diverse realtà associative, passo iniziale di un collegamento fra di esse agile, “leggero” e auspicabilmente duraturo, abbiamo poi pensato di convocarci a Roma, nei giorni sabato, 19 (pomeriggio-sera) e 20, domenica (mattina) novembre p.v. in una prima assemblea pubblica.

Il programma che uniamo prevede una prima parte dedicata alle ragioni della presenza dei cattolici democratici nell’attuale situazione sociale e politica del paese ed alla centralità della “questione democratica” ed una parte dedicata alla evidenziazione di alcuni dei più significativi nodi che caratterizzano l’attuale congiuntura socio-culturale e politica. Un momento importante dell’assemblea sarà dedicato, nella serata di sabato 19, alla costituzione della struttura di collegamento fra realtà associative ed alle modalità di gestione del portale: dovrà trattarsi di una vera assemblea costituente aperta alla più ampia possibilità di adesione.

Grande spazio, lungo tutto il corso dell’incontro, dovrà essere dedicato all’intervento ed al confronto fra i partecipanti.

A scanso di equivoci, ci teniamo a precisare che siamo solo all’inizio del cammino e i passi compiuti assumono ancora carattere di “provvisorietà”: l’assemblea di Roma intende essere momento “costituente”, per definire e costruire insieme ipotesi progettuali, che potranno poi avere nel supporto del portale uno strumento di grande rilievo.

Le sigle proponenti si pongono, pertanto, non come “madri fondatrici”, ma, più umilmente, come “compagne di strada”, che hanno dato il “LA” a un cammino comune da edificare insieme.

E sarebbe molto bello e significativo che aderiste anche Voi, con la vostra associazione. In una congiuntura della storia italiana così bassa e deludente, c’è un grande bisogno di unire le forze per far circolare aria fresca. Siamo convinti che le idee elaborate con tanto impegno e intelligenza dalla tradizione cattolico-democratica e “rivisitate” secondo le suddette avvertenze costituiscano un patrimonio a cui attingere per innervare nel dibattito civile e socio-politico nazionale un genuino “supplemento d’anima”.

Per questo, sentiamoci, tutti e tutte, impegnati a fare dell’assemblea di novembre un evento largamente partecipato.

Ci auguriamo, pertanto, che la Vostra risposta possa essere positiva e, comunque, vi aspettiamo vivamente all’incontro romano! Intanto vi ringraziamo per la cortese attenzione e vi porgiamo i più cordiali saluti.

Agire Politicamente, Argomenti 2000, Città dell’uomo (Milano, Roma), Rosa Bianca, Cristiano Sociali, Fondazione “Persona, comunità e democrazia”, Il Borgo (Parma), Istituto De Gasperi (Bologna), Persone e città (Torino), Antropolis (Milano), Centro Francesco Luigi Ferrari (Modena), Polis (Legnano), Il Progetto ( Ferrara), Appunti Alessandrini (Alessandria), Centro studi “Sen. Antonio Rizzatti" (Gorizia), Porta Stiera (Bologna), Ass. Centro Studi “Nuove Generazioni" (Rimini), Agorà Marche.


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Comunicato stampa

Programma dell'evento

Cattolici e politica

in merito al seminario su “La Buona politica per il Bene comune” in Todi


Enzo Bianchi

22 ottobre 2011

 

In questi ultimi anni abbiamo più volte indicato non solo l'afonia dei cattolici in politica - la debolezza di rilevanza nella progettazione e nella costruzione della polis - ma anche le cause che l' hanno prodotta, tra cui l'intervento diretto in politica di alcuni ecclesiastici e la scelta di agire come un gruppo di pressione. La diaspora dei cattolici in politica all' inizio degli anni Novanta appariva non solo come una necessità motivata ma anche come una preziosa opportunità, una "benedizione": rendeva infatti evidente che la comunità cristiana vive di fede e di coerente comportamento etico, ma non di soluzioni tecniche nella politica e nell' economia.

Di fatto però questa diaspora si è ridotta a irrilevanza e, fatto ancor più grave, ha lasciato segni di contrapposizione e forti divisioni tra i cattolici stessi. In tale ambiguità, proprio per l'esposizione diretta avuta da alcune figure rappresentative della Chiesa, questa ha subìto una perdita di credibilità e nella comunità cristiana è apparso, dopo una stagione di grandi convinzioni, un sentimento di scetticismo, di frustrazione, anche di cinismo... Potremmo dire che comunità cristiane depresse sul versante politico, per incarnare comunque il Vangelo hanno scelto di privilegiare una presenza sociale fatta di volontariato, di carità attiva, finendo però anche per aumentare la sfiducia verso la politica. Alcuni hanno tentato di essere "cattolici in politica" senza integralismi e cercando di restare ispirati dalla propria fede. Ma sono stati irrisi come "pretenziosi cattolici adulti", considerati inadeguati alla strategia in atto se non addirittura presenze nocive nel necessario confronto con la polis.

Ora il vento è cambiato e ha fatto sentire quanto una certa "aria ammorbata" vada purificata: si ritiene allora opportuno abbandonare la strategia adottata in questi ultimi vent'anni, senza tuttavia confessare gli errori compiuti, senza assumersi alcuna responsabilità per questo impoverimento del tessuto ecclesiale e, di conseguenza, della presenza dei credenti in politica. Ecco allora, ancora una volta, il ricorso alle associazioni cattoliche, minoranze ispirate dalla fede cristiana ancora attive e presenti nel paese, ecco l'appuntamento di Todi. Evento certamente importante, che viene dopo anni di non ascolto reciproco, nonostante da parte dell' autorità ecclesiastica si sia tentato di far cessare guerre e inimicizie tra le varie associazioni già alla fine degli anni Novanta.

E il ritrovarsi questa volta è finalizzatoa risponderea una domanda: quale presenza significativa i cattolici possono avere in politica in questo momento giudicato di grave crisi a tutti i livelli per il nostro paese? Ma proprio questo evento suscita anche una domanda di fondo negli appartenenti alle comunità cristiane: perché un incontro su tematiche che riguardano tutti i cittadini cattolici viene riservato invece alle associazioni che, salvo l'Azione Cattolica, peraltro soffrono attualmente di un forte depotenziamento a livello di convinzioni? Più volte in questi vent' anni abbiamo auspicato un "forum" che nelle varie chiese locali raggruppi tutti i cattolici per favorire la conoscenza e il confronto su temi che richiedono una traduzione politica. Abbiamo specificato che questo forum, aperto a rappresentanti di tutte le componenti della Chiesa, dovrebbe, in un dialogo libero e fraterno, cercare ispirazione dal Vangelo e confrontarsi con la dottrina sociale della Chiesa, restando tuttavia su un terreno prepolitico, preeconomico, pregiuridico, nella consapevolezza che la traduzione di queste ispirazioni cristiane messe a fuoco insieme appartiene ai singoli cattolici che devono confrontarsi negli spazi politici in cui sono presenti e con tutti gli altri cittadini. Nessun integralismo, nessuna pressione lobbistica, nessuna imposizione, ma la riaffermazione che essere cattolici in politica significa da un lato restare ispirati e coerenti con la propria fede e, d' altro lato, nel dialogo rispettoso con gli altri cittadini, cercare faticosamente soluzioni politiche, economiche, giuridiche adeguate alle esigenze che si presentano e al bene comune che intende salvaguardare e costruire. Così facendo, se anche i cristiani apparissero una minoranza, non ci sarebbe nulla da temere perché sarebbero una presenza significativa capace di contribuire alla formazione di politici con a cuore il bene comune, alla progettazione di un nuovo patto educativo, all' ideazione di un futuro per le giovani generazioni, una presenza in grado di fornire esigenze etiche di umanizzazione e contributi decisivi in quel confronto di idee e di visioni che oggi purtroppo tanto difetta. Quello di Todi non è stato un forum di questo tipo, anzi: ha rischiato di cedere alle sollecitazioni perché fornisse soluzioni solo politiche e contingenti. Eppure c' erano state alcune indicazioni che avrebbero potuto mettere in guardia i partecipanti, a partire da quelle del segretario della Cei, monsignor Crociata che, ai politici che si dicono cattolici, ha recentemente ricordato che esiste un primato della fede, luce per ogni scelta, una comunione tra cattolici che li precede e che deve manifestarsi nel discernimento di ciò che il Vangelo chiede; ma al contempo ha sottolineato che c'è un diverso ordine che riguarda il carattere contingente della scelta politica di schieramento e la forma politica in cui i cristiani sono chiamati a operare. Nessun partito cattolico, quindi, e neanche "di cattolici" hanno ripetuto diversi vescovi, né tantomeno un "partito della Chiesa".

La laicità della politica va assolutamente salvaguardata e i cattolici dovranno inevitabilmente operare con responsabilità una scelta di campo che li renda una "parte" di schieramenti o di spazi politici in cui si collocano. Ma non è questo, per ora, ad apparire decisivo, quanto piuttosto il recuperare le ragioni profonde dell' azione nella polis, il tessere un dialogo nella comunità cristiana per essere muniti di ispirazione, il sapersi collocare nella compagnia degli uomini senza esenzioni ma assumendosi responsabilità, il saper parlare di progetti e ragioni in termini non dogmatici ma semplicemente umani, antropologici, affinché gli altri comprendano e possano confrontarsi liberamente con i cristiani, lasciando poi alle regole della democrazia e ai suoi criteri di determinare le scelte necessarie ai diversi livelli e le esigenze del legiferare per il bene della convivenza. E in questo spazio prepolitico di confronto, i cattolici potrebbero anche imparare un'esigenza fondamentale per la loro fede: l'importanza di non fare letture parziali del Vangelo, privilegiando alcuni principi e valori e dimenticandone altri... Secondo Paul Valadier, lo statuto del cristianesimo è quello di essere una "religione anormale": perché per ogni cristiano il rispetto assoluto della vita umana, il rifiuto della guerra, la salvaguardia della pace, la giustizia e l'eguaglianza sociale, il perdono del nemico, la riconciliazione nei conflitti sono tutti valori irrinunciabili. Impresa non facile certo, soprattutto in una stagione in cui riemerge l'atavica tentazione della religione: andare a braccetto con il potere politico finché il vento non cambia direzione.

Alla fine di un ciclo politico? - Segni di uscita

Corso di formazione alla politica 2011 - 2012

Milano

12 Novembre 2011 - 9 Giugno 2012

Sala Verde della Corsia dei Servi

Corso Matteotti 14 -  ore 9:30-13

 

Nove incontri il sabato mattina con:

Rosy Bindi, Miguel Gotor, Luigi Ferrajoli, Giovanni Bazoli, Luciano Gallino,
Giulio Sapelli, Maria Cristina Bartolomei, Guido Viale, Luigi Ciotti

Conduce: Giovanni Bianchi
La partecipazione è aperta a tutti.

 

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Organizzata da

Circoli Dossetti - tel. 335 6064942 - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.


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Le registrazioni audio delle lezioni del presente corso e di corsi precedenti sono reperibili nel sito Circoli Dossetti - Corso

«E io dico che va ricordata una grande lezione di Sturzo»

Giorgio Campanini

16 Ottobre 2011

da Avvenire

Nell’attuale vivace dibattito sulla presenza dei cattolici in politica si è fatto reiteratamente riferimento, come era inevitabile che avvenisse, all’esperienza della Democrazia cristiana, ora per tentare di rinnovarla, ora per decretare l’impossibilità di un ritorno al passato; ma a mio avviso si è un po’ dimenticata la lezione antecedente - e per certi aspetti oggi assai più attuale - di Luigi Sturzo. Già nel Discorso di Caltagirone del 1905 (fondativo di quello che sarebbe stato poi, sia pure per una brevissima stagione, il Partito popolare italiano) Sturzo dava due fondamentali, e a mio parere ancora oggi attualissime, indicazioni: la prima era che avrebbe dovuto trattarsi di un partito 'di' cattolici, con carattere schiettamente laico, posto nella vita pubblica nazionale al pari di tutti gli altri e senza investiture (o protezioni) ecclesiastiche; la seconda era che, definendo la sua fisionomia sulla base di un preciso programma politico (e non in forza delle indicazioni della gerarchia ecclesiastica) sarebbe stato inevitabile che questo partito di cattolici dovesse operare una scelta: «O sinceramente conservatori o sinceramente democratici: una condizione ibrida toglie consistenza di partito e confonde la personalità nostra con quella dei conservatori liberali» (ma anche con quella di altre forze politiche).

L’alternativa posta da Sturzo appare ancora oggi attuale: o si è 'partito della Chiesa' (e in tal caso si realizzerebbe, certo, una qualche unità, ma si smarrirebbe la legittima laicità della politica); o si è 'partito nazionale'. E dunque si è «conservatori» o «democratici» (si noti, nel brano precedentemente citato, l’aggettivo «sinceramente» riferito ai conservatori, che dunque Sturzo non demonizza ma che nello stesso tempo intende chiaramente distinguere dai «democratici»). L’ipotesi di un 'partito della Chiesa' - ammesso che vi sia chi intenda seriamente sostenerla - urta contro il principio della laicità della politica e opera una scelta di campo che inevitabilmente rende i credenti una 'parte', con rischi non sottovalutabili in ordine alla missione evangelizzatrice. È possibile che sia una ipotesi da prendere in considerazione in circostanze particolari - come talora è avvenuto ma solo come extrema ratio (e non sembra che sia questo l’attuale caso italiano). Non resta dunque che l’altra ipotesi, che i «sinceramente conservatori» stiano da una parte (né ci si dovrebbe vergognare di questo) e i «sinceramente democratici» stiano da un’altra parte: gli uni e gli altri, inevitabilmente, insieme ad altri che sono «sinceramente conservatori» o «sinceramente democratici», ma non necessariamente, anche, cattolici.

Vi è da scandalizzarsi per questa impossibile unità? Credo di no: a condizione, tuttavia, che i «sinceramente conservatori» e i «sinceramente democratici» facciano sino in fondo la loro parte là dove legittimamente decideranno di collocarsi. Agli uni e agli altri la Chiesa potrà guardare, sia pure tenendo le distanze, con simpatia, senza che nessuno possa pensare di annettersela. Né ciò significa un atteggiamento, da parte della Chiesa di spettatore muto e distaccato, perché al contrario essa potrà e dovrà continuare la sua missione super partes di riaffermazione e di richiamo ai grandi valori evangelici e ai cardini dell’umanesimo cristiano, vitali per la stessa vita pubblica. Non mancheranno, tanto ai «sinceri conservatori» quanto ai «sinceri democratici» i problemi di coscienza, le difficili scelte, forse i drammi: ma tutto questo è il pane quotidiano di una politica sempre consapevole di navigare nel mare agitato e talora tumultuoso delle «cose penultime».