Democrazia e Istituzioni

Seminario sui sistemi elettorali

Democrazia, buon governo e sistemi elettorali. L’esperienza straniera: Francia, Germania, Spagna

Bologna

9,16,23 - Maggio 2012

 

Villaggio del Fanciullo - Via Scipione dal Ferro 4 - ore 21:00-23:30

 

MERCOLEDI 9 MAGGIO ORE 21

Il sistema uninominale maggioritario a doppio turno francese

Presentazione dei Seminari di Domenico Cella, Presidente dell’Istituto De Gasperi.

Lezione del Prof. Aldo Di Virgilio, docente di Scienza Politica dell’Università di Bologna.

 

MERCOLEDI 16 MAGGIO ORE 21

Il sistema proporzionale personalizzato tedesco

Introduzione di Enrico Tesini, membro del CdA dell’Istituto De Gasperi.

Lezione della dott.ssa Silvia Bolgherini, docente di Politica comparata e analisi delle politiche pubbliche dell’Università di Napoli Federico II.

MERCOLEDI 23 MAGGIO ORE 21

Il sistema proporzionale con effetti maggioritari spagnolo

Introduzione del prof. Justin Frosini, docente di Diritto Pubblico dell’Università Bocconi di Milano.

Lezione del Prof. Salvatore Curreri, docente di Istituzioni di diritto pubblico presso l' Università Kore di Enna.

Riflessioni conclusive ed apertura alla situazione italiana di Marco Valbruzzi, ricercatore dell’Istituto Universitario Europeo (Firenze).

Organizzato da:

 


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Volantino dell'iniziativa.

Scheda di adesione dell'iniziativa.

DIAZ - 10 anni dopo il G8 di Genova

PARTITI, MOVIMENTI, DEMOCRAZIA: quale futuro per il paese?

Modena

21 Aprile 2012

Ne parliamo con :

  • Lorenzo Guadagnucci (Giornalista de “La Nazione” )
  • Massimo Mezzetti (Assessore alla Cultura Regione Emilia Romagna )
  • Giuseppe Boschini (Segratario Comunale PD Modena )

Coordina il dibattito:

  • Stefano Rimini (Giornalista, Consigliere Comunale Modena )

La recente uscita del film “DIAZ” di Daniele Vicari, il cui sottotitolo emblematicamente recita “la più grande sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la II Guerra Mondiale”, suggerisce una riflessione sui cambiamenti in corso nella società e nel Paese.

Partendo dalla testimonianza di Lorenzo Guadagnucci, protagonista del film, che come giornalista de “Il Resto del Carlino” si trovò dentro la caserma Diaz di Genova, “Agire Politicamente”, desidera proporre una riflessione sulle evoluzioni in atto nella società che coinvolgono tra l’altro i partiti ed i movimenti politici di base.

Ci aiuteranno in questa riflessione Massimo Mezzetti, Assessore Regionale alla cultura ed esponente di spicco di SEL (Sinistra Ecologia e Libertà), da sempre attento alle dinamiche ed agli apporti dei Movimenti politici di base, e Giuseppe Boschini, segretario Comunale del PD di Modena, che da tempo sta cercando di rinnovare il complesso rapporto tra i cittadini e la politica.

Coordina il dibattito Stefano Rimini, giornalista, consigliere Comunale PD di Modena, anch’egli attento alle istanze dei Movimenti ed al necessario rinnovamento dei partiti politici.

 

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Agire Politicamente - Modena


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La Lega e il partito personale


Giovanni Bianchi

Milano, editoriale di aprile 2012

 

Nei giorni del commiato di Umberto Bossi dalla guida della Lega Nord e forse anche dalla politica attiva (ma non si può mai sapere con uno così) sarebbe maramaldesco infierire su di una persona malata e ferita negli affetti più personali dalla slealtà delle persone che gli stanno attorno.

Un rilievo tuttavia va fatto, e concerne la particolare natura del movimento leghista, che, prima ancora e per certi versi più ancora di Forza Italia è stato un partito eminentemente personale, nel senso che si è costruito e plasmato intorno alla personalità del suo leader. Naturalmente non c'è nulla di più improbabile della biografia di Bossi per definire la personalità di un leader politico, soprattutto del leader di quella porzione d'Italia che ha sempre maturato in sé la larvata convinzione di essere quella che tira la carretta, che lavora sul serio, che è penalizzata dai meridionali, o dai “comunisti”, o dagli immigrati o da tutti questi messi insieme.

Chiacchiere da bar, si dirà, ma per l'appunto ci voleva un tipo uscito dai bar senza alcuna pretesa di solidità di studi (al di là dei diplomi e delle lauree millantati, ma a quanto pare è una sorta di gene di famiglia, visti gli exploit del figlio malauguratamente iniziato alla vita politica) né particolari riverenze nei confronti della cultura accademica per dare voce ad una pancia profonda del Paese che la DC aveva contenuta ed interpretata, ma mai del tutto sopita.

La più volte notata coincidenza dei più cospicui bacini elettorali della Lega con quelli della DC del tempo che fu non dicono affatto di una tendenziale sovrapposizione dei “verdi” sui “bianchi” e quindi di un presunto status di “partito cattolico” per il movimento leghista, peraltro tentato da Bossi e dai suoi con risultati non sa se più malinconici o ridicoli. Al contrario, essi dicono di una secolarizzazione che era giunta già da molto tempo nelle valli lombarde o venete, e che solo il persistere sempre più stanco del voto alla DC (che poi sarebbe evaporato nello spazio di un mattino) permetteva ancora di definire “zone cattoliche”, applicando criteri politici o sociologici alla vita di fede.

Non credo che Bossi avesse esattamente chiare queste cose, ma certo gli era evidente che il suo partito poteva avere un futuro solo facendosi interprete della crescente rabbia di un popolo nei confronti di un sistema percepito sempre più come estraneo. C'è anche riuscito bene, per un certo tempo, ma il limite dell'uomo e del suo partito è stato da sempre quello di un eccesso di pragmatismo accompagnato da un eccesso di retorica truculenta, un comportamento, come hanno notato alcuni, da leader di un'armata straniera chiamata a governare un territorio ostile.

L'evidente differenziazione fra il dire ed il fare, fino alla catastrofica vicenda Belsito, che a sua volta maschera la ben più triste vicenda della corruzione a livello familiare, ha messo in crisi definitivamente il rapporto fra il Capo, i quadri dirigenti (alcuni di discreta voracità) ed il popolo.

Dal punto di vista umano e politico l'uscita di scena di Bossi era l'unica scelta possibile. Resta da vedere se la Lega ha ancora un futuro oltre il passato del suo leader.

Raphael

...di Formigoni e della Regione Lombardia...

Milano, 20 Marzo 2012

Le sedute del consiglio regionale lombardo stanno diventando, giorno dopo giorno, degli happening non particolarmente gradevoli. Credo sia, principalmente, a causa del forte proponimento di Roberto Formigoni di “resistere, resistere, resistere” alle pressanti sollecitazioni, non delle sole opposizioni, a dimettersi, dopo quello che potrebbe definirsi come una sorta di “Lombardiagate”, peraltro in costante “divenire”, a quanto sembra. Ovvio che non si devono emettere sentenze prima dei giudizi penali, ma fa certo specie la notizia di dieci consiglieri su ottanta, non pochi di questi assessori della giunta, o ex, “attenzionati” dalla magistratura. In proposito, verrebbe tra l’altro da ricordare agli interessati dicitori (in particolare i “media” della famiglia Berlusconi e associati) della giaculatoria “son tutti uguali” quale è la proporzione tra esponenti di centrodestra e di centrosinistra implicati: nove contro uno, se non vado errato. Lo “sciogliete le righe”, in questa situazione, sarebbe dunque la soluzione più logica, razionale, coerente: troppo rischiosa, però, per i soggetti coinvolti, ivi compresa la “costola leghista”, che si sta comportando come un partito qualsiasi della prima repubblica, direbbero gli stessi bossiani, in un altro contesto. Del resto, l’orizzonte, con la vicenda giudiziaria “San Raffaele” in pieno svolgimento (eloquente, in argomento, il recente “pamphlet” del Corriere) suggerisce in particolare, ai sempiterni gestori della sanità lombarda, di “stare in campana”, di non mollare, di affrontare gli eventi da una posizione, comunque sia, di potere, di forza. E’ dunque comprensibile, in tale contesto, che il presidente della Regione si senta un po’ stressato (la diagnosi è mia), e si lasci andare, perda un po’ le staffe. Dia in aula, nell’ultima seduta consiliare, del “pirla” a un consigliere di minoranza. Che potrebbe non essere, per carità, una “vittima” tout-court, perché, di solito, quando si litiga, difficilmente la responsabilità è di uno solo. All’interno di un’istituzione tocca però al suo capo in particolare sforzarsi di mantenere un certo “aplomb”, cercare di resistere (in questo caso, sì), stare calmo. Nel prosieguo della seduta de quo, il “nostro” ha poi messo, a me pare, una toppa peggiore del buco, quando ha cercato, diciamo così, di giustificarsi. La citazione di quella sentenza che ha sancito, sostanzialmente, che quel “termine” non va considerato necessariamente offensivo, se la doveva, cioè, risparmiare, a mio parere. La questione che riguarda Formigoni & company, in ogni caso, è un’altra, ed è più complessiva. Stanno crescendo vertiginosamente, voglio dire, i segnali di una certa arroganza da potere da parte del leader “ciellino”. Troppo potere, esercitato per troppo lungo tempo. Per via “democratica”, per carità (ma col poderoso supporto della masse del “movimento”, che lo votano “a prescindere”), anche se sono rimasti dubbi costituzionali, se ho ben compreso, sulla legittimità dei suoi mandati successivi al secondo, e resta sullo sfondo la questione del pasticcio del “listino” relativo all’ultima elezione. Intendo segnalare: se i Sindaci devono smettere dopo due mandati consecutivi, perché mai ai “governatori” è consentito invece di “resistere” anche per venti anni e oltre?  Si diceva (prescindo qui, non essendo competente, da valutazioni di ordine giuridico) che la norma per i primi cittadini era saggia in quanto, gestendo questi un’attività squisitamente amministrativa, erano portati a scelte “clientelari”, che potevano tradursi poi, sic et simpliciter, in voti elettorali a loro favore. Ma nel frattempo le Regioni non si sono forse quasi trasformate in puri enti erogatori di bonus e “voucher” a centinaia di migliaia (in Lombardia) di utenti/clienti, come potremmo chiamare i beneficati? E dunque? Mi pare, allora, giunto il momento, a proposito di riforme costituzionali o che comunque attengano alle questioni istituzionali (in proposito, sinora si è visto soltanto il “pasticcio” sulle Province, e temo non si vedrà molto di più, a breve) di sancire o ribadire con forza il limite dei due mandati agli stessi presidenti di Regione. E magari a qualsiasi figura istituzionale. Quattro lustri o più di potere (ma anche meno) sfiancano gli interessati. E i cittadini, spesso.

 

Eutanasia di un potere

Storia politica d’Italia da Tangentopoli alla Seconda Repubblica

Roma

14 Marzo 2012

 Sala Conferenze - Piazza Montecitorio, 123/A

 

discutono del libro di Marco Damilano:

 Rosy Bindi, Giuseppe Pisanu, Andrea Riccardi, Luciano Violante 

modera

Bruno Manfellotto

sarà presente l’autore

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