Democrazia e Istituzioni

Quel nostro  Novecento

Costituzione, Concilio e Sessantotto le tre rivoluzioni interrotte

Roma

11 Gennaio 2012 ore 17:30

Facoltà valdese - Aula Magna
via Pietro Cossa 42

 

Paolo Ricca,
Luca Pratesi,
Francesco Zizola e
suor Loretta Cariati

presentano il libro di Raniero La Valle


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Volantino dell'iniziativa.

Provincie

Milano, 4 Gennaio 2012
Indiscutibilmente (e inevitabilmente?) tartassato dai complessivi provvedimenti proposti dal nuovo governo e approvati (giocoforza?) dal Parlamento, il cittadino “comune” non si lamenterà certo delle norme che, di fatto, puntano a svilire il ruolo delle Province. Avendo io frequentato a lungo quegli ambienti, e non essendo del tutto digiuno di leggi riguardanti l’assetto istituzionale del nostro Paese, pur lungi dal voler accampare difese corporative ritengo tali norme un poco stravaganti, diciamo così.
Toccare in qualche modo l’argomento “costi della politica” era ovviamente imprescindibile, per l’esecutivo dei “tecnici”. E partire dall’ente intermedio era forse una scelta obbligata, oltre che facile, se si considera quanto, contro di esso, hanno tuonato negli ultimi anni i noti, pur stimati giornalisti “anti casta” (imitati poi da quasi tutti i colleghi), la Confindustria, e persino un discreto gruppo di parlamentari. Questi ultimi, lo dico con un pizzico di perfidia, probabilmente convinti o perlomeno speranzosi che l’azzeramento delle suddette istituzioni (è questo l’obiettivo finale) possa bastare a evitare di procedere a un più complessivo “restyling” del nostro sistema “pubblico”, che parta, come io credo dovrebbe essere, dal livello “romano”.
Il provvedimento in questione comporterà un risparmio di spesa quantitativamente quasi banale, è noto, se rapportato ai costi complessivi “della politica”. Il problema vero è però un altro: a questi enti “rivisitati” (con una procedura costituzionalmente assai discutibile, dicono gli esperti) spettano ora, esclusivamente, funzioni, uno, d’indirizzo politico, due, di coordinamento dell’attività dei Comuni. Funzioni indubbiamente importanti, che gli stessi avevano in verità già in precedenza, e che in effetti, negli anni, sono state forse, soprattutto la seconda, esercitate poco e male.
La prima obiezione è però: se si mantiene in capo alle Province la funzione di “indirizzo politico”, ha poco senso, in una logica di non compressione - pur tenendo conto del tema “costi” - degli spazi di democrazia, ridurre al lumicino il numero dei consiglieri provinciali. Bastava forse un (nuovo) taglio ragionevole, nonostante le “prebende” di queste figure siano nettissimamente inferiori a quelle dei livelli istituzionali diciamo “superiori”.
E poi: i “vecchi enti” non si occupavano soltanto di “programmazione” e di “coordinamento”, ma gestivano anche una serie di attività riguardanti i “problemi di area vasta”: nel campo della viabilità, dei trasporti, dell’istruzione superiore, della formazione professionale, dell’ambiente, del turismo, eccetera. Attività, è noto, i cui risvolti “politici”, che toccano cioè le diverse sensibilità della popolazione, sono notevoli. Queste funzioni saranno dunque trasferite e ripartite tra i Comuni e le Regioni, e, conseguentemente, le giunte  provinciali verranno soppresse.
La seconda obiezione, pertanto, è: se si tratta di gestire problemi di area vasta, per ciò stesso non risolvibili (pensiamo solo per esempio alle strade “provinciali”) da parte dei singoli Comuni, quale senso ha affidarne la competenza a questi ultimi? Che saranno costretti, c’è da immaginare, a creare molteplici (e a loro volta costosi?) strumenti associativi allo scopo. Immagino la contro-obiezione: ma no! Penserà a tutto la Regione, ente ormai consolidato e “provetto”. Buon Dio! Se è così, aumenterà enormemente la confusione tra funzioni legislative, di programmazione, e di gestione in capo allo stesso ente. Che è giusto il problema di oggi delle Regioni. E crescerà altresì il rischio, in presenza di queste nuove Province “fittizie”, di un neocentralismo di ritorno, incoerente con quella voglia di autonomismo e di “federalismo” esplosa a dritta e a manca soprattutto negli anni recenti. Ciò potrà magari piacere ai “governatori” (uso un termine che detesto, ma che tutti, ormai, pronunciano in luogo di “presidenti”), che assai probabilmente troveranno ulteriori spazi per implementare la politica di elargizione di “bonus” e “voucher”, redditizi elettoralmente. Ma non credo farà funzionare meglio il Paese.
Le Province sono indubbiamente troppe (e non soltanto perché se ne sono create molte di proporzioni inadeguate), ed era indispensabile un intervento di profonda razionalizzazione del relativo sistema. Da inquadrare, però, in un disegno più complessivo, pur da realizzare con gradualità, che ricomprenda l’intera dimensione statale. A partire, con le finalità che sappiamo (riduzione del numero di deputati e senatori, superamento del “bicameralismo perfetto, ecc.), dal Parlamento, e passando dal livello regionale, ove va superata la “confusione” che dicevo. In realtà, per concludere, lo schema istituzionale previsto dalla Costituzione (una Repubblica costituita da Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato) è tuttora valido, se debitamente revisionato. La soluzione “provinciale” adottata al momento a me sembra più che altro un “pasticcio”. Se posso osare affermarlo senza offendere i “professori”. .

 

Centro e ceto medio: equazione non scontata

Nino Labate

da Europa - 29 dicembre 2011

La sociologia politica suggerisce che il centro nello spazio politico e nelle dinamiche del voto periodico è importante. Bipolarismo o meno, in tutte le elezioni i partiti “decentrati” cercano in ogni modo di stringere sulla gobba del centro per intercettarne i voti. Tutto allora sta ad intendersi sul centro dei nostri giorni. Un termine spesso assimilato a classe media, ceto medio, moderato, conservatore, popolare, piccolo borghese, se non addirittura ceto borghese. Grande confusione dunque. Che aumenta quando si passa al mondo cattolico.

È noto che la secolarizzazione connessa al passaggio della società contadina a quella industriale e a quella postindustriale, trascina il ceto medio italiano al disincanto dai valori cristiani. Senza riandare a Weber, basti leggere i recenti saggi di Garelli e Cartocci. Un ceto fai-da-te, cattolico all’anagrafe, e che anche nella sua versione moderata disattende i precetti della Chiesa a cui dichiara nei sondaggi di appartenere. Spesso chiuso nell’egoismo del proprio orticello dentro cui la tradizionale sobrietà diventa un optional, e la solidarietà si trasforma in paura del diverso. Oggi composto da famiglie impoverite e sfiduciate, con il 40% degli “under 30” disoccupati e precari.

Influenzato dai contenuti emotivi più che ragionativi della tele politica. Che delega. Dunque nelle mani dei “populismi della promessa” e dei loro leader carismatici. Un ceto medio insomma che, come sostengono De Rita e Galdo, ha fatto scomparire la borghesia virtuosa del fare, senza mai sostituirla. E una middle class, come ebbe a dire C. W. Mills «al suo interno divisa, atomizzata, e all’esterno i suoi membri costretti a dipendere da forze più grandi di loro». Domandarsi allora perché costumi, abitudini, strutture sociali e categorie sociopolitiche del Novecento sono diventati ai giorni nostri obsoleti, significa interrogarsi sull’ovvio. Il declino del ceto medio sul versante del reddito, è un dato di realtà acquisito. Ben esemplificato dai sacrifici, dai risparmi inesistenti, dall’assalto ai discount. Ma anche dalla crescente presenza nelle mense Caritas su cui si tace per evitare di parlare di nuove diseguaglianze.

Possono tutti questi motivi provocare la scomparsa del proverbiale moderatismo che continuiamo ad associare a questa classe di mezzo? È lecito supporre che avendo da fare con la precarietà, con la disoccupazione dei figli, con famiglie di “terza settimana”, una larga parte di questa fetta di società possa essere attratta dall’antipolitica, dal disinteresse, dall’indignazione estremista, dalla rabbia, anziché dal moderatismo? È in questo orizzonte che si è collocato l’incontro dei cattolici che si è svolto a novembre a Todi. Un incontro utile ma avventurosamente frainteso una volta costretto a saltare dal prepolitico al politico e dunque a guardare al ceto medio-moderato come serbatoio di voti cattolici.

Anche se in una intervista al Corriere Bagnasco ha precisato che «l’unità politica dei cattolici non si costruisce necessariamente tramite un partito». Una ulteriore sottolineatura che non frena tuttavia il desiderio strisciante di una nuova “unità politica” di centro. Come stanno al momento le cose? L’Ipsos ha rilevato che nelle politiche del 2008,circa il 27 % dei fedeli assidui alla messa domenicale, (da 4 a 6 milioni circa di elettori) ha votato con convinzione Pd, e in un più recente sondaggio per la Fondazione Grandi, ha evidenziato che l’80% dei cattolici praticanti pensa che una forza politica cattolica è sbagliata, non serve. Definirli cattocomunismi, cattolici democratici, dossettiani, lapiriani, lazzatiani, oppure popolari statalisti e antimercato, peggio centralisti antiliberali, significa ignorare il filo rosso che lega i 100 anni di storia del movimento cattolico alla dialettica democratica e alla non sempre arrendevole Dottrina sociale della Chiesa.

Questi dati ci fanno però capire che il cattolicesimo italiano non è omogeneo. Che c’è un praticante non conservatore, riformista, che guarda al bene comune declinandolo laicamente senza pregiudizi identitari. Da autentico laico cristiano consapevole del pluralismo possibile solennemente enunciato dal Concilio.

Se in onore di De Gasperi si esclude che un nuovo centro “guardi” alla destra deberlusconizzata per occuparla, è probabile che aiutata dalle contraddizioni del bipolarismo italiano e da qualche legge elettorale proporzionale si strutturi una nuova offerta politica centrale a cifra cattolica. Tuttavia quando si osserva questo centro sotto forma di Terzo polo, bisognerebbe subito chiedersi di che centro e cifra cattolica si tratti. E verso dove esso vuole “guardare”. Si pensa a un centro clerico-moderato conservatore? A un centro confessionale e intransigente solo sui principi irrinunciabili? Un centro laico-cattolico per attrarre voti, stili di vita, attese, personale politico ed elettori transitati dalla “rivoluzione” etica berlusconiana? Più che alla quantità del consenso, questo “centro” dovrebbe allora preoccuparsi di non rappresentare un “centro senza qualità”.

Se non si cerca l’approdo al partito di interessi o al partito piglia tutto, di opinioni immanenti e transitorie, tipici del marketing politico a prevalente uso del sondaggio, è allora a un paziente lavoro culturale “prepolitico” che bisognerebbe rivolgersi, come ha ben intuito la Chiesa di Bagnasco: «Occorre un soggetto culturale che interloquisce con la politica». Tutto il resto è gioco politico.

Anche perché è ancora vivo e vegeto nel tessuto culturale del cattolicesimo italiano il pluralismo della storica distinzione sturziana tra cattolici democratici e cattolici clerico-moderati, tra cattolici riformisti e conservatori, tra cattolici laici e curiali. Distinzione ribadita in un incontro romano dal titolo “Costituzione, Concilio, cittadinanza”, da 20 associazioni di tradizione cattolico-democratica e popolare non presenti a Todi. E nella galassia laica è presente un anticlericalismo ideologico pronto a sparare sulla Chiesa ad ogni occasione.

Tutto si potrà fare. Ma basta essere consapevoli dei rischi di rappresentanza che si corrono con il paese sfidato, a partire dal lavoro, da una nuova “questione sociale”. E di quelli sconosciuti che si possono fare correre alla Chiesa del dialogo e degli ultimi, una volta collaterale a questo progetto. Il futuro sul dopo Berlusconi è cominciato: pure se rimarremo in presenza per molto tempo del berlusconismo. Ma trasformare una più che giusta esigenza di formazione etica e culturale, di competenze, di spiritualità civica – di cui l’Italia ha molto bisogno – in un partito politico preoccupato della cattura del consenso e dei rapporti di forza, più che dei rapporti di saperi, significa preoccuparsi dell’oggi.

Havel, il ricordo

Quell’incontro con uno statista dal volto umano

Pietro Lacorte

da Nuovo Quotidiano di Puglia

22 Dicembre 2011

Nel giugno dei 1990 il Presidente Vàclav Havel ricevette in udienza nel Castello di Praga il presidente di Sos Kindierdorf International Helmut Kutin per restituire all’organizzazione i due villaggi Sos della Cecoslovacchia che, dopo la caduta di Dubceck nel l969 erano stati requisiti dal regime comunista.

In quell’occasione il presidente Kutin mi aveva voluto al suo fianco perché amico da lunga data dell’allora presidente dell’Associazione  Sos cecoslovacca, Jiri Dunovsky. L’occasione mi fu propizia per conoscere da vicino il presidente Hàvel - scomparso domenica scorsa a Praga - e la sua segretaria per gli affari sociali Vera Ciaslavska, la famosa ginnasta che aveva vinto cinque medaglie d’oro nelle olimpiadi di Tokyo.

Tutta la nostra delegazione fu impressionata dalla modestia di un presidente che, da uomo di cultura, .aveva dignitosamente avversato il regime comunista subendo la carcerazione. Era stato perciò chiamato plebiscitariamente a costruire materialmente e moralmente una delle più civili nazioni della Mitteleuropa.

Con la restituzione dei due villaggi al controllo di Sos Kinderdorf International il Presidente aveva voluto dare testimonianza della fiducia che riponeva sulle associazioni della società civile nell’erogazione dei servizi alla persona, secondo il principio di sussidiarietà vigente nelle più avanzate democrazie.

Personalmente rimasi molto turbato da quanto mi disse l’amico Dunovsky nel momento in cui ci eravamo abbracciati dopo venti anni (ci eravamo salutati l’ultima volta a Vienna nell’ottobre del 1969, prima che egli facesse rientro in patria dopo l’arresto di Dubceck). Ci tenne a farmi prendere atto che il regime comunista gli aveva usurpato la vita a partire del 1948, epoca in cui era un giovane dalle tante speranze. Al momento del nostro incontro egli si sentiva ormai un vecchio inutile, anche se felice per la libertà acquisita.

Avevo conosciuto il professor Dunovsky nell’estate del 1963 in Caldonazzo, nel corso del campeggio dei bambini dei villaggi Sos europei, nel quale egli svolgeva le mansioni di direttore sanitario su chiamata diretta del Fondatore dei Villaggi, dottor H. Gneimer. il quale in tal modo gli offriva l’occasione di vivere in occidente per qualche breve periodo. Era un medico molto preparato nel campo dell’assistenza all’infanzia; ricopriva la cattedra di Pediatria Sociale presso la prestigiosa Università di Praga. Aveva sposato il progetto di Gneimer, convinto del ruolo insostituibile della figura materna nei primi anni di vita del bambino. Aveva girato un film con l’occhio magico per dimostrare quanta sicurezza era dato rilevare in un bambino che giocava accanto alla madre e quanta insicurezza e tristezza era invece dato rilevare in alcuni bambini di un orfanotrofio tradizionale, deprivati di un affetto stabile verso una singola figura di sostegno, pur se oggetto di mille cure dal punto di vista igienico - sanitario.

Rividi nel dicembre successivo Dunovsky in occasione di un congresso medico in Praga, una città che aveva cambiato volto nel corso di soli sei mesi. Fui suo ospite a cena nella modesta casa (52 metri quadri) che il regime comunista gli aveva a suo tempo assegnato. L’amico era sereno, ma spento; si riteneva ormai incapace di rifarsi una vita.

Ritengo che esperienze del genere debbano indurre a riflettere ogni cittadino responsabile sul valore e sull’importanza della libertà nella costruzione di una “vita buona” per ognuno, e convincerlo ad essere sempre attento a difendere e custodire le istituzioni del sistema democratico, a garanzia di pari opportunità di crescita per tutti.

Rividi nel dicembre successivo Dunovsky in occasione di un congresso medico in Praga, una città che aveva cambiato volto nel corso di soli sei mesi. Fui suo ospite a cena nella modesta casa (52 metri quadri) che il regime comunista gli aveva a suo tempo assegnato. L’amico era sereno, ma spento; si riteneva ormai incapace di rifarsi una vita.

Incontro con Vera Ciaslavskada, segretaria per gli affari sociali del presidente Hàvel

Ritengo che esperienze del genere debbano indurre a riflettere ogni cittadino responsabile sul valore e sull’importanza della libertà nella costruzione di una “vita buona” per ognuno, e convincerlo ad essere sempre attento a difendere e custodire le istituzioni del sistema democratico, a garanzia di pari opportunità di crescita per tutti.

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Volantino dell'iniziativa.

Oltre la ragione economica

La parola torni alla politica*

Lino Prenna

4 Dicembre 2011

A voler parafrasare uno slogan che, alcuni anni fa, pubblicizzava un prodotto in scatola, potremmo dire, con buona approssimazione, che la manovra economica proposta dal governo Monti ed ora all’esame del Parlamento, “contiene” molto rigore, poca equità, niente sviluppo. Questa valutazione, che può apparire eccessivamente severa, non coincide con la vulgata governativa che, oltre a sostenere l’urgenza e l’entità della manovra, ritiene impossibile spostare il prelievo fiscale su voci diverse da quelle considerate. In realtà, l’intera operazione risulta iniqua e ferisce il principio di solidarietà, criterio di giustizia distributiva e vincolo di responsabilità sociale, sancito dalla nostra Carta costituzionale.

A questo principio, ampiamente predicato dal magistero sociale, avremmo voluto che la Chiesa cattolica italiana avesse fatto riferimento, dichiarandosi disponibile a dare il suo contributo alla soluzione della crisi che attanaglia il Paese, ancor prima che fosse costretta dalla polemica, sollevata da più parti, sulle esenzioni fiscali di cui gode.

Ma non è sugli aspetti economici che intendo fermarmi. Sono più che sufficienti i rilievi critici mossi dalle organizzazioni sindacali, rispetto alle quali, merito involontario del governo Monti è averle ricompattate, dopo che il governo Berlusconi era riuscito a dividerle. Risultano, di fatto, altrettanto inquietanti le domande più strettamente politiche, a partire dal passaggio al governo tecnico, ritenuto necessario dal presidente della Repubblica e, più o meno, subito dai maggiori partiti. Un governo di centrosinistra, probabile se non sicuro vincitore di regolari elezioni, avrebbe fatto peggio di Monti?

Purtroppo, c’è una continuità tra l’attuale e il precedente governo. Del resto, come spiegare l’assenza nella manovra della patrimoniale, che Monti stesso, qualche settimana prima del suo incarico, aveva proposto come doverosa misura di equità, se non per il veto di Berlusconi?

Inoltre, la nascita del governo tecnico, caricato di attese salvifiche, mentre rappresenta il commissariamento della politica, ne esautora, di fatto, le risorse, omologando tutti i partiti e accreditando presso l’elettorato l’idea che tutta la politica, di sinistra come di destra, sia inadeguata e incapace di rispondere ai bisogni reali del Paese.

In queste considerazioni, più preoccupate che provocatorie, è doveroso dare atto al Partito democratico di aver anteposto l’interesse generale al proprio tornaconto particolare. Ma il governo Monti, in una incontrollabile eterogenesi dei fini, potrebbe rivelarsi una trappola per il partito di Bersani, mentre contribuirebbe a riaccreditare Berlusconi e il Pdl, anche oltre la fascia dei fedelissimi.

Come ha auspicato il consiglio nazionale dell’associazione Agire politicamente, riunito a Perugia in occasione dell’incontro di amicizia con Alberto Monticone, nella ricorrenza del suo 80° compleanno, è un bene per tutti che la parola ritorni alla politica, in tempi brevi, anche perché è l’emergenza democratica che il Paese deve affrontare all’interno di una crisi che è culturale prima che economica. Per questo, rimane il compito arduo di riabilitare la politica sottraendola alla sudditanza della ragione economica, consapevoli dei limiti ma anche fiduciosi nelle sue inesplorate potenzialità di riscatto sociale.

 



* Articolo pubblicato sul n. 96 di ADISTA con il titolo “Il filo che unisce Monti a Berlusconi”.

Gotica (’ndrangheta, mafia e camorra oltrepassano la linea)

presentazione del libro di Giovanni Tizian

Modena

sabato 17 dicembre 2011 - 16:30


 Piazza Grande presso la Galleria Europa (info point Europa)
Programma

- Saluti
Elena Gazzotti, consigliera provinciale
- Tavola rotonda
Enza Rando, ufficio di presidenza di "Libera"
Giuseppe Schena, sindaco di soliera, referente provinciale di Avviso Pubblico
Pietro Balugani, presidente dell'ordine degli ingegneri di Modena
- Moderatore
Davide Miserendino, giornalista de "Il Resto del Carlino"

Organizzata da

Agire Politicamente Modena


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