Cattolicesimo Democratico

Un Manifesto, perché?

Nel percorso di responsabilità comune: un manifesto del cattolicesimo democratico

Vittorio Sammarco

Cristiano Sociali

Roma, 22 Maggio 2011

 

Lanciare un Manifesto significa sostanzialmente chiamare a raccolta.

Quando si chiama a raccolta, singoli o associati che siano, è perché si avverte l’urgenza e la gravità di un impegno. La necessità che ci si riunisca perché da soli non si ha più la forza di sostenere efficacemente le proprie tesi. E’ un momento impegnativo e cruciale.

Poi si può riflettere sull’efficacia politico-sociale e persino mediatica di un appello, manifesto, documento. Ce ne sono tanti, se ne fanno a centinaia, pagine, parole, tesi, poi finiti spesso negli archivi di qualche istituto o gruppo. Quando va bene.

Ma in tanto si scrive e si lanciano delle idee, dei pensieri.

Io sono tra quelli che oggi, paradossalmente proprio perché la situazione appare devastante, pensa che tutto serva, tutto ha in qualche modo la sua buona dose di incidenza. Certo ci sono azioni e azioni, e nessuna può essere considerata efficace al 100 per cento. Ma oggi fare gli snob e dire che bisogna selezionare e scegliere, gestire le forze e limitarle, come se qualcuno avesse scoperto la formula in grado di cambiare le cose, ecco mi sembra quantomeno figlio dell’ingenuità.

Fare un Manifesto, e vedere quanti sono disposti a metterci nomi, volti, pensieri, ma poi anche mani, braccia, gambe e tempo, è certamente una cosa importante. Richiede la responsabilità di chi valuta le conseguenze elle proprie azioni. Sia in eccesso che in difetto.

Penso ci siano dei criteri che devono entrare in gioco nella chiamata a raccolta intorno ad un Manifesto.

  1. L’obbiettivo o gli obbiettivi che si intendono raggiungere
  2. L’identità di chi chiama e di chi si chiama a “raccolta”
  3. Le strategie che si mettono in campo
  4. I linguaggi e i simboli che ne alimentano la convinzione
  5. Le idee che danno corpo alla chiamata

Ma quando si dice che c’è la necessità di fare un Manifesto e lanciarlo come una grande chiamata a raccolta è bene almeno che su questi punti si tenga alta l’attenzione, la volontà di non trascurarli.

Primo: gli obiettivi

Che generalmente nascono da un’analisi approfondita dalla situazione. Semplice nella sua gravità.

La sintetizzo così. la politica e i soggetti che ne fanno parte, stanno vivendo oggi il minimo storico di consensi da parte dell’intero “corpo elettorale”, dei cittadini. La credibilità è ormai una risorsa talmente scarsa che genera due conseguenze devastanti:

  1. Sono tutti uguali, tutti ne approfittano (mangiano) alla stessa maniera
  2. Non c’è più bisogno di politica e dei soggetti che di questo sistema vivono (caso Belgio, da più di un anno senza governo eletto democraticamente eppure con dei risultati positivi)
  3. Ergo, quasi un assioma: “non posso che curare gli interessi personali miei e della mia famiglia

Di fronte a questa fotografia della realtà, quale può essere un motivo più importante per una chiamata a raccolta se non quello di rigenerare la politica. O, quantomeno, quello di diffondere la consapevolezza che se non attiviamo circuiti virtuosi e coinvolgenti per fare politica, alla fine qualcuno la farà comunque, anche in vece nostra? E con criteri che a noi non piacciano.

Quindi che la sfiducia e il disfattismo (o quello che si diceva una volta il qualunquismo) è in realtà nei fatti una compartecipazione agli attuali meccanismi del potere?

Questo è un obiettivo fondamentale nel senso letterale del termine: che rimette a posto le fondamenta, di una casa che sta lentamente degradando e crollando. Ed è la casa di tutti.

Rigenerare il circuito virtuoso della politica. Dunque dare anima e corpo, e in maniera ripetuta e continua (il ri del prefisso). Quindi non solo vincere il berlusconismo che è causa, ma anche effetto di questo circuito perverso.

Secondo: si chiama a raccolta qualcuno sulla base della sua identità?

Qui c’è un punto interrogativo. Si può anche chiamare a raccolta qualcuno soltanto perché si è d’accordo con ciò che scriviamo, senza domandarci chi è, da dove viene, dove va, cosa porta con se e con quali amici si accompagna. In sostanza l’identità, la sua storia, i suoi connotati.

E’ indubbio che il grado di coinvolgimento, l’intensità della partecipazione dipende se io sento che la mia identità è in qualche modo invocata da quelle parole e da quel messaggio. Non firmo con la mano sinistra e poi dimentico quel foglio nel cassetto. Me ne faccio carico, lo assumo come un nuovo e importante punto di partenza per le mie prossime azioni.

Bene. Un manifesto del cattolicesimo democratico, e qui il punto.

Tra di noi c’è in atto da tempo un dibattito se e fino a che punto l’identità cattolica democratica dica ancora qualcosa. Per molti cari e stimatissimi amici non solo non dice più nulla a tanti, soprattutto giovani che di quella storia sono lontani parenti o solo discendenti, ma bisogna proprio farne a meno, lasciarla da parte, relegarla alla sfera privata o comunitaria ecclesiale. Perché, in sostanza, l’appartenenza alla comunità dei cattolici finisce per creare un distacco e un discrimine che produce più danni che vantaggi.

Ma ci sono anche tanti che non sono d’accordo con questa tesi, che sostengono invece che l’identità cattolico democratica abbia ancora qualcosa da dire. E soprattutto, consentitemi, da dare al Paese.

Solo che bisogna chiarirne il senso e la portata.

Tutti oggi (a differenza delle contrapposizioni storiche che hanno poi dato origine a questa definizione) possono definirsi cattolici democratici. Chi non lo è? Ma è così nei fatti?

Penso che oggi più che mai andrebbe fatto un percorso condiviso (chiamiamolo discernimento?) per capire bene la portata di questa definizione, non più pensata rivolta al passato, ma come frutto di un nuovo riconoscimento, una sorta di inventario per cercare di capire di quali strumenti, principi, valori, metodi e caratteristiche dispone questo grande magazzino, questa grande officina in costruzione.

Sapendo bene che non di appartenenza stiamo parlando, non dell’essere parte di una Chiesa (il che confonderebbe i piani e renderebbe difficile l’esplicitazione politica delle scelte), ma di traduzione dinamica dell’impegnativo ma a mio avviso decisivo principio della coerenza tra fede e vita. Tutto qua? Beh, mi sembra già tanto

Ciò sul piano politico significa alcune cose. Accenno a quelle che considero basilari per il nuovo identikit del cattolicesimo democratico, che da quello storico parte ma con caratteristiche rinverdite:

a) La maturata convinzione che la democrazia non è una conquista definitiva ma che ha bisogno, sempre, da un canto di essere difesa e tutelata, e dall’altro di essere costantemente migliorata;

b) l’impegno affinché questa cura non spetti solo ad un’elite di sedicenti e presunti illuminati, ma a tutti i cittadini, nel più ampio concetto di partecipazione;

c) che nell’eventuale conflitto d’interessi tra comunità particolare (di cui si fa parte) e comunità generale della quale fa parte un più vasto gruppo di persone a prevalere debba essere l’interesse di quest’ultima;

d) che la politica non è tutto e non può gestire tutto

e) che la Costituzione oggi, è la più forte garanzia contro lo sfilacciamento e la dispersione di una società che, nella frammentarietà individualista rischia di premiare solo i più forti condannando i deboli all’emarginazione.

Ecco ritengo che questo possa essere un piccolo cassetto degli attrezzi per il cattolicesimo democratico oggi. Non esaustivo, certo, ma dal quale non si può prescindere

Terzo: le strategie in campo

E’ a tutti evidente però che non basta firmare un documento per poi lanciarlo nel mare aperto (proprio come un classico messaggio nella bottiglia) per vederne poi il successo.

Ingenuo, come minimo.

La strategia richiede:

  1. La chiarezza sulle persone che si intendono raggiungere (gli esperti dicono target ma è una parola che non mi piace, perché ha un che di militaresco perché la traduzione letterale inglese è esattamente “bersaglio”, obiettivo da colpire)
  2. Una struttura di sostegno che ne supporti le fasi di lancio
  3. Una serie di momenti di incontro sparsi sul territorio per diffonderne pensiero e finalità
  4. Un rilancio periodico sugli organi di informazione con alcune sottolineature di novità (il raggiungimento di un certo numero di firme, la qualità di alcuni firmatari, un’iniziativa originale ecc
  5. Propri organi di informazione che alimentino il dibattito, a partire da quelli favoriti dai nuovi media (social network)
  6. La nascita anche di alcune piccole organizzazioni che appositamente (magari anche in maniera un po’ astuta) vengono stimolate a nascere dal basso proprio sulla base del Manifesto-appello
  7. Un processo collettivo che ne alimenti tensioni e produzioni
  8. Fondi

Quarto: i linguaggi e simboli che si utilizzano

Credo molto, seppure in maniera laica, che le parole siano sì, conseguenza delle cose, ma anche un poderoso biglietto da vista di quei – appunto – “rerum” che vogliamo comunicare.

Facciamo uno sforzo di trovare slogan efficaci, che colpiscano, che già diano il senso di chi c’è dietro questo manifesto: Oltre l’indignazione, un bisogno di futuro? Funziona?

“Prerequisito”; “la dialettica istituzionale”; “stravolgere spirito e architettura del sistema costituzionale”; “non commendevoli presupposti ideologici”; “garantire il necessario salto di qualità”; “attività di “coscientizzazione” politico-culturale”. Sono citazioni parziali, di un testo che pur fatto bene segnala ancora la presenza di un certo modo di parlare.

Facciamo lo sforzo di cercare il massimo di coincidenza possibile tra l’efficacia delle parole che possa suscitare emozioni per il loro spessore con la necessaria chiarezza e sobrietà che indica anche un certo modo di pensare e di agire.

Quinto: Le idee, i contenuti

Spostiamo l’accento, il peso “dai forti motivi di preoccupazione”, come è scritto nel Manifesto, a quel “invigorire con intelligenza l’impegno” per…. Diamo un segnale positivo di impegno, piste su cui lavorare, progetti in attacco e non solo in difesa (per usare metafore abusate, a dire il vero.

Provo ad aggiungerne qualcuna oltre a ciò che è stato scritto nel manifesto

  1. il perseguimento coraggioso dell’uguaglianza, non solo delle condizioni di partenza ma anche sostanziale, perché le ingiustizie clamorose e la profonda differenza di condizioni di vita gridano il loro dolore verso Dio; ancor più in questi tempi di crisi dove la forbice se allargata e i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri più poveri;
  2. la necessaria e premura per la manutenzione costante e amorevole del creato, della terra (con tutto ciò che comporta nel mutamento degli stili di vita, nella qualità dello sviluppo e dell’impatto sull’ambiente), noi cattolici – pare scontato ma forse non lo è, o almeno non lo è politicamente -dovremmo a mio avviso sentire forte questa premura;
  3. la passione indomabile per la giustizia, globale e locale, tra i popoli e tra gli individui all’interno dei popoli, che nei fatti significa fare quelle scelte che puntano a far sì che tutti possano soddisfare l’esigenza di accedere in modo concreto e egualitario ai diritti.

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Intervento effettuato all'"Assemblea Nazionale di Agire Politicamente - 2011": “CATTOLICI DEMOCRATICI NELL’ITALIA DI OGGI”

L'indagine sull'impegno dei cattolici in politica

L'Istituto di studi politici "Renato Branzi" ha espresso alcune riflessioni sulla ricerca relativa all'impegno dei cattolici in politica

Francesco Butini
(Istituto di studi politici “Renato Branzi”)
7 Aprile 2011

Fonte: Istituto di studi politici "Renato Branzi"
da quaeris.it

Nel quadro delle attività della Fondazione “Ispirazione” di Treviso, è stato definito il programma dei Cenacoli culturali 2011 sul tema "Politica, ripartire dai cristiani". In apertura del ciclo dei seminari, è stata presentata il 31 marzo scorso una indagine condotta dall'istituto di ricerche sociali Quaeris, con sede a Breda di Piave, in provincia di Treviso. Il sondaggio, realizzato nel febbraio 2011, è intitolato "L'impegno cattolico in politica - Analisi dell'opinione dei cittadini trevigiani".

Il campione dell'indagine è stato costituito da 592 persone residenti nella provincia di Treviso, delle quali il 51,2% donne e il 48,8% uomini, in tutte le fasce di età (ad esclusione dei minorenni). Sostanzialmente si è trattato di cinque domande. La prima riguarda la rappresentatività del mondo cattolico in politica: in che misura l'identità ed i valori cattolici sono rappresentati nel panorama dei partiti italiani ? La risposta dei cittadini di Treviso intervistati è inequivocabile: per il 73,3% i valori cattolici non sono adeguatamente rappresentati negli attuali partiti politici. Tale giudizio è leggermente prevalente tra le donne, e per quanto riguarda le fasce d'età il giudizio negativo tocca il suo apice nella fascia 25-34 anni: ben l'80% degli intervistati.

La seconda domanda riguarda gli attuali partiti politici: sono essi adatti all'impegno in politica dei cattolici ? Il giudizio prevalente dei trevigiani è no (60,9%). Nell'ambito di coloro che hanno espresso un giudizio positivo, prevale la posizione di coloro i quali ritengono che possa essere fatto di più per far emergere i cattolici negli attuali partiti (32,1% del totale) piuttosto di coloro che si dichiarano sostanzialmente soddisfatti (5,6%). Tra le diverse fasce d'età, l'apice del giudizio negativo è tra i 45-54 anni (68,7%).

La terza domanda concerne la capacità dei cattolici, oggi impegnati in politica sia a livello locale che nazionale, di portare i valori cattolici all'interno delle proprie proposte politiche. Anche in questo caso, la risposta dei trevigiani intervistati è inequivocabile: l'80,6% giudica non adeguata questa trasposizione dei valori. Con un quasi imbarazzante 93,7% di giudizio negativo tra i più giovani (fascia d'età 18-24 anni).

La quarta domanda implica un giudizio morale sui cattolici oggi impegnati in politica: il loro stile di vita è coerente con i valori cattolici ? La risposta è sempre più pesante: per l'88,1% degli intervistati di Treviso, la risposta è no. E se la risposta sullo stile di vita dei cattolici è stata "poco coerente" per il 44,7%, la risposta "per niente coerente" vale il 43,3% del campione.

L'ultima domanda impatta il futuro: sarebbe più efficace l'azione dei cattolici in politica se fosse espressa unitariamente in un unico partito ? E', per noi, la domanda-chiave, la domanda controcorrente rispetto al pensiero dominante. Quella che contiene un po' di "scandalo". Ebbene, il 53,9% degli intervistati trevigiani ha risposto di no, il 40,7% ha risposto di sì.

Quali valutazioni possiamo trarre da questo significativo sondaggio di Quaeris a Treviso ? Innanzitutto, c'è da evidenziare un elemento di soddisfazione: si discute, problematicamente, anche su opzioni non rituali, al fine di favorire il cambiamento dell'attuale quadro politico, quali quella di una nuova riaggregazione politica di una larga rappresentanza dei cattolici italiani. Il solo fatto che nel sondaggio sia stata inserita una domanda sul tema è motivo di soddisfazione: si comincia a rompere un tabù.

Un secondo elemento di valutazione risiede nelle risposte fornite dai trevigiani intervistati sul tema del partito unitario: è prevalsa una risposta negativa, come per tutte le altre domande del sondaggio. Ma non possiamo trascurare il fatto che il margine è stato molto più contenuto, rispetto al dato emerso nelle altre risposte, per le quali il sondaggio ha rivelato orientamenti sostenuti da maggioranze molto larghe degli intervistati, in alcuni casi addirittura schiaccianti. In questo caso, oltre il 40% degli intervistati ha ritenuto che l'azione politica dei cattolici sarebbe più efficace se i cattolici stessero in un unico partito. Non è la maggioranza degli intervistati, ma la percentuale del consenso comincia ad essere significativa.

Il tema dell'unità politica dei cattolici risulta essere evidentemente complesso. Anche perché non se ne è parlato più in termini seri, programmatici, con il senso della prospettiva e non con l'affanno dell'accomodamento. La stessa percentuale di coloro i quali all'ultima domanda (quella sul partito unico) non hanno risposto o non hanno saputo rispondere, riflette questa complessità: il 5,4% non ha risposto, una percentuale molto superiore al "non sa / non risponde" relativamente alle quattro domande precedenti. Inoltre, la fascia di età più scettica verso il partito unitario è quella dei più giovani (18-25 anni), pari ad un 68,8% dei giovani intervistati. Persone che nella loro vita hanno visto solo la polemica frammentazione della rappresentanza politica dei cattolici.

I risultati del sondaggio vanno anche analizzati nel contesto di Treviso e della sua storia politica, più o meno recente. Nel Veneto “bianco”, la provincia di Treviso sapeva essere ancora più “bianca”. Per esempio nelle elezioni politiche del 1987, la percentuale della Democrazia Cristiana per la Camera dei Deputati nella regione Veneto fu del 43,93%, e nella provincia di Treviso fu del 45,60%. Ma Treviso è stata anche una delle terre d'origine del fenomeno leghista, con un forte radicamento sociale e un consistente consenso elettorale. Prendendo spesso la strada del contrasto alla “democristianità”.

Le risposte al sondaggio mostrano un nuovo bisogno che la politica e i partiti esistenti stentano a rappresentare. A volte persino a riconoscere. Il tema del partito unitario per i cattolici non è più un argomento “sconveniente” o respinto a priori. E' più facile che lo respingono a priori le attuali classi dirigenti che i singoli cittadini. E' un tema di cui si può discutere, purché seriamente. Senza nostalgie del passato, ma con nuove speranze per il futuro.

Vedi commento di Roberto Grigoletto

Impegno dei cattolici in politica

l'opinione di Roberto Grigoletto

Roberto Grigoletto

Vice segretario provinciale Pd

15 Maggio 2011

da quaeris.it


Non sorprende il sondaggio realizzato dal prestigioso istituto "Quaeris" sull’impegno dei cattolici in politica [1] . Un risultato abbastanza prevedibile ma non per questo da sottovalutare. Sarebbe anzi opportuno un approfondimento e un confronto tra coloro che da cristiani sono presenti in politica nei diversi schieramenti. Una considerazione, però, va premessa: il dato rilevato dal sondaggio a proposito dell’inadeguatezza da parte dei politici cattolici a rappresentare l’identità e i valori cristiani non può andare disgiunto, a mio parere, da quello relativo alla diminuita pratica religiosa nel nostro Veneto bianco, dove i credenti che vanno a Messa e che prendono parte alla vita della comunità parrocchiale sono ormai una minoranza, e pure esigua.

E' anche per questa ragione che non intravvedo né i margini né l’utilità per la ricostituzione di un partito di ispirazione cattolica. Ho però la sensazione che non sia tanto questa stessa minoranza a lamentare l’incapacità di “trasporre i valori cattolici nelle proposte politiche” perché certe rivendicazioni di principi, da un po’ di tempo a questa parte, nelle nostre terre, sono il frutto di un “utilizzo” molto politico del fatto religioso e della vita di fede. Che si traduce, ad opera della Lega nord, in una esaltazione folcloristica mista a tradizionalismo dei riti, dei simboli e delle pratiche devozionali, funzionale alla costruzione identitaria padana. Ma è oltremodo fuorviante misurare su queste basi la rilevanza e la specificità dell’apporto dei cattolici in politica. Così come lo è, da parte di settori cattolico-militanti che fanno riferimento al Pdl, identificare nella difesa a oltranza dei valori non negoziabili l’obiettivo unico e assoluto dei credenti impegnati in politica. Un approccio integralistico di questa sorta è anti-politico per definizione, perché politica è mediazione e impegno sul terreno delle cose penultime.

Il punto di partenza, a mio avviso, deve essere posto altrove. E la domanda dovrebbe essere la seguente: cosa significa oggi per un credente stare in politica e come si declina il suo impegno? Io penso che il bene comune di cui spesso e volentieri ci si riempie la bocca altro non voglia dire che un lavoro concreto, nella quotidianità, per garantire a tutti di vivere bene nei nostri paesi e nelle nostre città, occupandosi dei problemi, che spesso sono emergenze di tipo sociale. Ma non solo. Anche nella pianificazione urbanistica il cristiano è chiamato a dire la sua, perché molti scempi e scelte scellerate vengono compiute in nome di interessi forti. E poi ci sono i bilanci di previsione delle nostre amministrazioni comunali: può un cattolico tacere di fronte a certi investimenti di spesa o ad alcune modalità di impiego del denaro pubblico? Meglio un tratto in più di porfido in centro o il contributo ad un anziano ma anche a famiglie che non arrivano alla fine del mese? Sono convinto che su questo si misuri la coerenza di chi in politica vuole impegnarsi da cristiano. Non che i comportamenti personali coerenti e lo stile di vita, pubblico e privato, siano poco importanti. Lo sono invece e molto, perché la forma è sostanza; dal sondaggio di Quaeris questo emerge chiaramente, mentre si stanno ancora narrando al Paese le vicende private poco edificanti e per nulla onorevoli del Presidente del Consiglio italiano. Ma cattolici che finora l'hanno votato ne terranno conto?

La rilevazione di “Quaeris” sollecita noi che ci impegniamo da credenti nella polis a definire insieme, e indipendentemente dalla collocazione, le coordinate del nostro servizio: c'é bisogno dei cattolici in politica, sicuramente anche di una nuova generazione, ma soprattutto di un modo diverso di essere presenti nella cosa pubblica. L'apprezzabile sondaggio di “Quaeris”mi conferma nell'opinione che tutto questo sarà possibile se riusciremo smettere il ruolo e a rinunciare a divulgare di noi lo stereotipo del crociato nelle battaglie della bioetica. L'impegno politico è molto più ampio, anche per i cattolici.

Vedi articolo di Francesco Butini

“ Perdono... per dono ”

Quale risorsa per la società e la famiglia

di Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese

Editrice Effatà

 10 Aprile 2011

Recensione a cura di

Michele Giovannetti - Presidente Circolo Società Libraria ACLI Rimini

Carlo Pantaleo - Responsabile provinciale Funzione Formazione e Progetto Famiglia - ACLI Rimini

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Giulia Paola Di Nicola è docente presso l’Università di Chieti. Dirige con Attilio Danese la rivista di cultura «Prospettiva Persona». Ha pubblicato numerosi testi sulla donna, sull’antropologia e sulla politica.

Attilio Danese, docente all’Università di Chieti, è direttore del Centro Ricerche Personaliste (Teramo) e della rivista «Prospettiva Persona». Ha pubblicato numerosi testi sulla filosofia personalista e sui temi della politica.

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Volevamo parlare di relazioni in famiglia e nella società, e ci siamo trovati la proposta di questo interessante libro su un tema quale il perdono. Ebbene quale migliore convergenza visto che nel perdono non solo la relazione compromessa può rinascere, ma presuppone anche la giustizia e la completa. Sentiamo questa come una sfida e ci accorgiamo di ritrovarci pienamente in ciò che è detto nella presentazione da Mons. Sergio Nicolli: per noi perdono suona desueto e lontano perché distante da una cultura come l'attuale della rivendicazione e dell'individualismo.

Vi si legge che perdono è “più e meno del dono: è meno solo apparentemente” dato che non si dona un oggetto, ma in realtà è più perché sacrifica l'essere di chi è stato offeso e, grazie a questo sacrificio, si scioglie il gelo dei rapporti.

Certo tutto ciò è da considerarsi nei rapporti tra persone, ma anche “ad intra e ad extra degli Stati” perché “non basta alla convivenza seguire le regole della giustizia e dello scambio”. Una società si regge se c'è un di più di generosità che ne alimenta lo spirito e il senso di appartenenza, una specie di “corrente calda”. Si legge nel libro che certo vi è dialettica tra giustizia e perdono, perché non si può esigere per legge. Tuttavia senza la giustizia si tramuta in strumento di oppressione e ingiustizia. Illuminante in tal senso la citazione riportata del prof. Roberto Mancini in esistenza e gratuità: “Il perdono crea futuro perché è anticipazione reale e propulsiva di un tempo liberato dalla spirale della violenza”. Di certo il dono è più dello scambio come invece pensava Mauss sia perché non riguarda delle cose ma delle persone, sia perché quando diviene perdono non si può dare un compensativo che sostituisca il male ricevuto. A questi fondamenti tutto il libro è teso, perché è a fondamento e attraversa la convivenza umana e la stessa formazione educativa della persona. “Di questa corrente fa parte il perdono che, nel suo senso pieno, eccede la giustizia e appartiene ad un tipo di economia spirituale che oltrepassa le leggi dell'irreversibilità del tempo e dell'equilibrio dello scambio”. Di certo le relazioni in famiglia diventano modello per quelle sociali, e quindi, inevitabilmente, impattano in quelle con se stessi. Non solo. Anzi queste considerazioni trovano la sorgente nella relazione con Dio stesso e al senso religioso umano. Ciò avviene attraverso una risultante fondamentale che è nell'esplicazione biblica della fenomenologia del perdono legata all'insegnamento di Cristo. E' un invito a provare a considerare veramente il perdono in un'ottica essenziale alla Vera Giustizia, poiché non può esservi Giustizia sulla Terra, senza Misericordia, la medesima che il Padre ci ha concesso con la Croce. Bellissimo il passaggio, nel capitolo "Il Perdono Socialmente Virtuoso" dove si parla di una società che senza il perdono giudiziale (non identificabile come una soluzione unitaria applicata dalle istituzioni, ma spontanea, quasi come un premio reciproco per l'offeso e l'offensore) rimarrebbe arteriosclerotica e concentrata sui torti, sull'immutabile e stantio. Una società che non perdona, è una società immobile e senza Speranza, votata all'autodistruzione. Forse è questo il Mistero più grande, al quale difficilmente troviamo una risposta, ma di fatto rispondiamo con un atto di Fede. Questa fiducia, che è necessaria anche in chi perdona e chi chiede di esser perdonato, nasce dall'evidenza dei fatti che ne indicano la necessità per ritrovare il coraggio di ritessere legami e non può non avvenire attraverso l'avvenimento di un incontro significativo. In Dio Figlio ciò avviene nella carne e nella quotidianità, fino alla sua passione, morte e resurrezione.

E' evidente in tutto il libro l'approccio personalista ma di certo siamo ben oltre una teoria chiusa che nasce nel vuoto delle idee. Si è giustamente rimarcato l'aspetto generativo di relazioni, e quindi di vita civile, che comporta il perdono. Il 70 % del libro è un elenco di azioni-reazioni fra i soggetti che perdonano e sono perdonati. Ci troviamo nel pieno mare dell'esistenza attraverso l'esperienza diretta degli stessi autori, perché di ciò se ne deve tacere se non si vive ciò di cui si parla. Come insegna Beccaria, l'opinione non può e non deve essere il solo cemento della società. Ed è qui che il libro apre non solo ad una visione della persona ma dell'intera società che diviene relazionale. Quest'ultima si caratterizza per avere come propria modalità di essere la continua generazione di processi di differenziazione e di reintegrazione delle relazioni sociali, sia inter-soggettive (come le reti primarie), sia generalizzate (come le secondarie, impersonali e organizzative). Anzi queste ultime diventano espressione del metodo che riconosce le primarie. Ci troviamo dunque oltre alla società aperta di Popper, perché quella a misura di persona è aperta su di essa e per essa. In questo modo si supera la semplice mutua tolleranza che procede tentativi ed errori in istituzioni autoriformabili. Si procede invece per processi che riconoscono la persona come dono, anche con i suoi limiti, anche con la sofferenza provocata ad altri, ma anche “confidando nel progetto d'amore intrapreso, interrotto ma che si può riprendere”.

“Il perdono è il giogo sotto il quale tutti devono passare, prima o poi, se vogliono costruire rapporti di pace. Ciò vale a maggior ragione per il matrimonio, quando è inevitabile che ciascuno dei due, anche involontariamente, ferisca l'altro”.

Valga l'insegnamento e la testimonianza di Chiara Lubich: “Qualcuno pensa che il perdono sia una debolezza. No, è l'espressione di un coraggio estremo, è amore vero, il più autentico perché il più disinteressato."Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? - dice Gesù – questo lo fanno tutti. Voi amate i vostri nemici" ”.

Appuntamenti connessi

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Tra classicità e cristianesimo

Presentazione del volume
Plura Sacra Et Mundi Alia

di Luigi F. Pizzolato

 

Milano

Martedì 5 aprile 2011 - ore 15:30

Cripta dell’Aula Magna
Università Cattolica del Sacro Cuore
Largo A. Gemelli, 1 - 20123 Milano

 

Introducono

Angelo Bianchi - Preside Facoltà di Lettere e Filosofia - Università Cattolica del Sacro Cuore
Giuseppe Visonà - Dipartimento di Scienze Religiose - Università Cattolica del Sacro Cuore

Intervengono

S.E. Mons. Enrico dal Covolo - Rettore Pontificia Università Lateranense
Marcello Marin - Direttore del Dipartimento di Tradizione e Fortuna dell’Antico - Università degli Studi di Foggia
Giovanni Polara - Direttore del Dipartimento di Filologia Classica “Francesco Arnaldi” - Università di Napoli “Federico II”


Organizzata da:

FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE RELIGIOSE

Per informazioni:

Dipartimento di Scienze Religiose - Sig.ra Michela Iannone

 Università Cattolica del S. Cuore di Milano - Largo A. Gemelli 1 – 20123 Milano
Tel. 02-7234.2287 - Fax 02-7234.3712 - E-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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Una nuova generazione di cattolici in politica

Incontro con Padre Bartolomeo Sorge SJ

Lugo (RA)

2 Aprile 2011 - ore 18:00

Sala convegni del Ristorante “Ala d’oro”

via Matteotti, 56 48022

 

Organizzato da

Circolo A.C.L.I. - Lugo -  (Tel. e fax: 0545 24270)

e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

in collaborazione con A.C.L.I. Provinciali – Ravenna

Padre Bartolomeo Sorge, gesuita, teologo e politologo di grande fama, autore di molti libri che hanno rappresentato un punto di riferimento per alcune generazioni di cattolici impegnati all’interno della Chiesa e, da questa, nel mondo sociale e politico.

Padre Sorge già attivo nella redazione del periodico della Compagnia di Gesù, La Civiltà Cattolica, ne divenne Direttore dal 1973 al 1985, per poi assumere la Direzione dell’Istituto di Formazione Politica Pedro Arrupe di Palermo fino al 1996, dandogli la caratterizzazione di Laboratorio Politico per promuovere nei cattolici una nuova identità culturale e un nuovo ruolo politico, con l'obiettivo prima di una "rifondazione" della Democrazia Cristiana, poi di un superamento della sua fase di declino verso nuove prospettive di impegno dei cattolici democratici in politica.

Nel 1971 Papa Paolo VI lo chiama a collaborare per l’estensione delle lettera pastorale Octogesima Adveniens, documento celebrativo dell’80° anniversario della pubblicazione della Rerum Novarum. Ha ricoperto, inoltre, la carica di Vice Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

Dal 1997 vive a Milano, presso il Centro San Fedele e ricopre la carica di Direttore Emerito della rivista Aggiornamenti Sociali, da egli stesso diretta fino al 2009.

Molti sono i libri che padre Sorge ha dato alle stampe; in particolare:

“L' Italia che verrà”, “ I Cattolici e l' Italia che verrà”, “ Per una civiltà dell'amore. La proposta sociale della Chiesa”, “La traversata. La Chiesa dal Concilio Vaticano II a oggi”, “ Tempo di osare. L'area popolare democratica un progetto e un movimento”, “Introduzione alla dottrina sociale della Chiesa”.

Nell’ambito della manifestazione sarà consegnato il “PREMIO FIOR DI LOTO, ALLA LUGHESE ECCELLENTE”, istituito quest’anno dalla Presidenza del Circolo ACLI Lugo e che avrà poi cadenza annuale; contestualmente alla consegna del “Premio 2011”, saranno illustrati le finalità ed i criteri di assegnazione per gli anni successivi.

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