Cattolicesimo Democratico

CATTOLICESIMO SOCIALE E LIBERISMO, UN MATRIMONIO IMPOSSIBILE

Intervista di Luca Kocci a Lino Prenna

Roma, 26 Novembre 2012

da Adista

Il nome ancora non c’è, ma il nuovo partito di centro un po’ laico e molto cattolico è stato battezzato lo scorso 17 novembre a Roma, negli ex studi cinematografici De Paolis dove, di fronte a 7mila persone arrivate da varie parti d’Italia, si sono ritrovati alcuni dei dirigenti delle 7 associazioni del Forum delle persone e delle associazioni di ispirazione cattolica nel mondo del lavoro (Acli, Cisl, Coldiretti, Compagnia delle Opere, Confartigianato, Confcooperative e Movimento Cristiano Lavoratori), che promossero gli incontri di Todi (v. Adista nn. 51, 57, 71, 76, 78, 83 e 97/11; e Adista Notizie nn. 4, 5, 18, 34 e 39/12), e Luca Di Montezemolo, con i suoi di Italia Futura, per dare vita ad un «nuovo soggetto civico» – secondo la definizione di Andrea Riccardi, uno dei “padri” della neonata creatura – che si presenterà alle prossime elezioni politiche con un unico obiettivo: riportare Mario Monti al governo del Paese.

«Il governo Monti non è stato una parentesi – spiega Riccardi ad Avvenire (17/11), grande sponsor dell’iniziativa chiamata “Verso la terza Repubblica” –. È stato, ed è, un momento di svolta verso una fase nuova della storia della Repubblica, verso un’altra politica», quindi «bisogna continuare e allargare il solco tracciato». In tre tappe il percorso delineato dallo stesso ministro: la nascita di «un’area di riferimento per far sì che la speranza non si esaurisca e anzi si proietti sul 2013 e negli anni a venire. Due: l’attuale governo tecnico ha potuto parlare al Paese solo il maniera parziale», ma ora «un movimento civico deve allargare, arricchire ed approfondire il dialogo con il Paese reale»; infine il «passaggio decisivo attraverso il voto», sebbene il nuovo soggetto non sembri appassionare l’elettorato, e l’elettorato cattolico in particolare, come dimostra un sondaggio appena realizzato dai Cristiano sociali. Un percorso e un progetto ribaditi anche da Montezemolo, il vero motore dell’iniziativa: non chiediamo a Monti «di prendere oggi la leadership di questo movimento», spiega dal palco l’ex presidente della Fiat e della Confindustria. «Ci proponiamo noi di dare fondamento democratico ed elettorale al discorso iniziato dal suo governo perché possa proseguire».

Insieme a Montezemolo c’è tutto il mondo dei “cattolici di Todi”, con tre protagonisti in prima fila: oltre a Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni (che non a caso, subito dopo la kermesse romana, ha firmato con il governo un accordo separato sulla produttività – bocciato dalla Cgil – e ha revocato all’ultimo minuto lo sciopero degli insegnanti del 24 novembre: non era possibile, evidentemente, sostenere Monti e contemporaneamente scioperargli contro) e il presidente delle Acli Andrea Olivero, che a breve si dimetterà per candidarsi alle elezioni, anche per stoppare i malumori crescenti fra i militanti delle Acli che criticano l’appiattimento sulle posizioni liberiste del governo e il coinvolgimento dell’associazione nel nuovo progetto politico senza alcuna consultazione con la base. Eppure «a mio avviso non c’è sufficiente meraviglia, nel senso che si considera non abnorme il confluire di una organizzazione di tradizione sociale, anche di avanguardia  (le Acli ma anche la Cisl) su una piattaforma di impronta liberale se non liberista», osserva Domenico Rosati, presidente nazionale delle Acli dal 1976 al 1987, intervistato da Pierluigi Mele per il sito di Rainews (21/11). «Certe sensibilità sociali che producevano pensiero ed anche ambizioni di guida si sono stemperate in un improprio solvente “cattolico” che annebbia l’orizzonte, annulla le differenze e apre la via a preoccupanti stati di subalternità». Ma «la deriva non comincia con l’ultimo presidente delle Acli ed è connessa con la situazione di una gerarchia cattolica che non immagina di poter convivere con il pluralismo  delle scelte politiche dei credenti».

Un discorso analogo si può fare anche per la Comunità di Sant’Egidio, inevitabilmente iscritta fra i sostenitori di “Verso la terza Repubblica” vista l’adesione di Riccardi e del portavoce del movimento, Mario Marazziti. Sembrano piuttosto defilate Comunione e Liberazione – sebbene la Compagnia delle Opere faccia parte del Forum delle associazioni di Todi – e la Coldiretti. Mentre Carlo Costalli (Mcl) critica il progetto da destra, rimproverando la poca rilevanza data ai «valori non negoziabili». La Conferenza episcopale italiana, che del movimento di Todi era stata la principale ispiratrice e animatrice, appare meno in evidenza, ma segue l’operazione con grande attenzione, anche perché negli ultimi mesi il card. Bagnasco ha più volte esternato a sostegno di Monti e del suo governo.

Per approfondire la questione, Adista ha intervistato Lino Prenna, coordinatore dell’associazione di cattolici democratici Agire Politicamente. 

Che valutazione dai del nuovo soggetto di Montezemolo e delle associazioni cattoliche?

Mi pare che Montezemolo si configuri come un replicante di Berlusconi: si tratta di un imprenditore che a tavolino inventa un contenitore politico, saltando tutti i passaggi e percorrendo una scorciatoia rispetto a quelli che sono i processi ordinari della democrazia. E come molti ex democristiani che 20 anni fa si accodarono al Cavaliere, adesso Riccardi, Olivero e Bonanni si mettono sotto l’ombrello di Montezemolo, che è assolutamente estraneo alla tradizione del cattolicesimo sociale di cui essi si ritengono rappresentanti.

Quindi non c’è nessuna novità?

Nessuna, è solo una replica. Del resto le novità vere non nascono a tavolino, ma dalle domande delle persone e dalla provocazione dei fatti. Inoltre ritenere Montezemolo, che è stato per anni presidente di Confindustria, un uomo nuovo mi pare del tutto fuori dalla realtà.

I fondatori affermano che si tratta di un progetto moderato, capace quindi di attrarre i cattolici. Cosa ne pensi?

Premesso che cattolico non è affatto sinonimo di moderato, credo necessario distinguere fra moderazione e moderatismo. La moderazione è una virtù – la capacità di trovare un equilibrio fra posizioni diverse – che va riferita soprattutto al metodo. Il moderatismo invece – e in questo consisterebbe il progetto di Montezemolo&co. – è il minimalismo della politica, la riduzione delle attese e dei desideri, l’omologazione sui bisogni proiettati verso il basso. Personalmente poi nutro molte riserve per tutte le operazioni politiche cosiddette centriste: il centro non è una collocazione partitica, semmai è il luogo dove si operano le mediazioni, il luogo mediano dell’esercizio politico.

Alcuni dei promotori, Bonanni in particolare, dicono di voler coniugare la “agenda Monti” con la Dottrina sociale della Chiesa...

Dopo aver ascoltato questa affermazione, le mie perplessità si sono fatte ancora più forti, perché mi sembra che fra i due termini ci sia una profonda e irriducibile incompatibilità: la Dottrina sociale della Chiesa nasce con le intenzioni di voler affermare la giustizia sociale, mentre mi pare che la cosiddetta agenda Monti, ispirata da un assoluto dogmatismo finanziario, non solo non contenga alcun elemento di politica sociale, ma anzi comporti un progressivo impoverimento delle fasce più deboli della popolazione. C’è una enfatizzazione acritica dell’operato di Monti e del suo governo – senza con questo voler misconoscere il credito internazionale riacquistato dall’Italia dopo la lunga stagione berlusconiana – che ignora del tutto il disagio e la disperazione che sta attraversando tutto il Paese, soprattutto nelle sue parti più deboli. E poi cosa è questa fantomatica agenda Monti? A me pare che si possa ridurre a poche parole: rigore, tagli lineari su scuola, università e spesa sociale, senza toccare i grandi patrimoni e le banche.

Qual è il loro programma?

Non c’è. Il loro programma è Monti, e basta. Ma, al di là del merito – ovvero la sudditanza alla finanza –, c’è un ulteriore problema: nel momento in cui si mettono sotto l’ombrello di Monti, c’è un implicito riconoscimento della debolezza della proposta politica visto che devono affidarsi ad un non politico. Monti è la copertura di un progetto debole e incerto. Invece bisogna sottrarsi al dogmatismo finanziario e restituire il primato alla politica.

Al progetto hanno aderito con entusiasmo Riccardi, Olivero e Bonanni, trascinando inevitabilmente con sé, perlomeno sui media, la Comunità di Sant’Egidio, le Acli e la Cisl...

Esattamente. Proprio per questo mi chiedo: Olivero e Bonanni rappresentano davvero la base delle Acli e della Cisl? E Riccardi traduce sul serio l’ispirazione sociale della Comunità di sant’Egidio? Forse Olivero, Bonanni e Riccardi hanno partecipato all’iniziativa di Montezemolo a titolo personale, ma francamente mi pare difficile pensarlo. Dal momento che le loro associazioni sono state idealmente coinvolte nel progetto di Montezemolo, i tre leader avrebbero dovuto far precedere la loro partecipazione ad una consultazione fra gli iscritti e gli associati. Ma poiché questo non è avvenuto, allora non rappresentano nessuno. E men che meno sono rappresentativi rispetto alle ragioni statutarie di queste associazioni e movimenti. Questo discorso valeva già quando parteciparono, senza alcuna delega degli iscritti o dei simpatizzanti, agli incontri di Todi; e oggi vale ancora di più.

Il progetto Todi fu esplicitamente sostenuto dalla Cei, che addirittura partecipò al primo incontro con il suo presidente, il card. Bagnasco. In questo caso invece sembra più fredda: è proprio così?

A me pare ci che sia una regia dietro le quinte da parte della presidenza e della segreteria della Cei che seguono con attenzione il progetto. E forse la partecipazione delle associazioni, soprattutto di Acli e Sant’Egidio, è incoraggiata proprio dalla Cei. Aggiungo una cosa: gli incontri di Todi suscitarono grande clamore ed attenzione; che poi siano finiti nelle braccia di Montezemolo, mi pare proprio un pessimo esito. E pensare che volevano costruire un partito identitario... Mi pare che si possa parlare a buon diritto di eterogenesi dei fini.

Non c’è proprio nulla di positivo del progetti di Montezemolo?

L’unico tipo di attenzione, che peraltro nutre anche una parte del Pd, è di carattere funzionale: questa operazione potrebbe togliere spazio a Casini che, in un’ottica di una possibile alleanza di centro sinistra, continua ad essere molto ondivago; inoltre potrebbe svuotare ulteriormente il Pdl, provocando la fuoriuscita dei settori più moderati. Quindi potrebbe rivelarsi utile nello scenario delle eventuali future alleanze – ipotizzando appunto un accordo fra centro e sinistra –, ma è ovvio che rimane la divergenza totale e assoluta su Monti: Montezemolo lavora espressamente per un Monti bis, il Pd di Bersani dice di essere contrario. Senza sanare questa distanza, credo sia impensabile ipotizzare un’alleanza.

Per un comune impegno a carattere politico-culturale

Cattolici Democratici Milanesi

Milano

Venerdì 30 Novembre 2012 - 17:30
Salone ACLI - via della Signora, 3


Incontro dei Cattolici Democratici MilanesiGIOVANNI BIANCHI
Il significato di un’attività politico-culturale dei cattolici milanesi

FABIO PIZZUL
Nuove idee e nuovi programmi per una nuova regione

Un gruppo rappresentativo di cattolici democratici milanesi ha deciso di unire le proprie forze per un comune impegno a carattere politico-culturale. Il gruppo ha espresso un documento base contenente alcune idee e linee orientative, documento che ha anche lo scopo di manifestare pubblicamente l’inizio di un lavoro di cultura politica. Saranno presentati il documento e alcune prime riflessioni sulle principali questioni che dovranno essere affrontate da un nuovo governo regionale, il dibattito che seguirà sarà occasione per un confronto aperto e per raccogliere suggerimenti e proposte.



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De Gasperi, il desiderio e il dovere nella vita pubblica

Seminari di studio 2012-2013

Bologna

da: Giovedì 6 dicembre 2012 a Mercoledì 13 febbraio 2013 - ore 17:30

(sedi varie)

 

  Organizzata da:

Istituto Regionale di Studi Sociali e Politici “Alcide De Gasperi”


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Volantino dell'iniziativa.

Per informazioni e iscrizioni: tel. 340.3346926 - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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Biografia / De Gasperi, il servizio e il potere

Seminari di studio 2012-2013 - De Gasperi, il desiderio e il dovere nella vita pubblica

Bologna

Giovedì 6 dicembre 2012 - ore 17:30

Oratorio dei Fiorentini, Banca di Bologna, Corte Galluzzi n.6

 

  Organizzata da:

Istituto Regionale di Studi Sociali e Politici “Alcide De Gasperi”


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L’attualità di quell’11 Ottobre

Emozioni, speranze, cambiamenti, a 50 anni dall’apertura del Concilio



Intervista a Giorgio Campanini, a cura di Maria Cecilia Scaffardi

da Vita Nuova (PR) – 12 Ottobre 2012

Professor Campanini, siamo a 50 anni dal Concilio, che tra le altre novità ha “aperto le porte ai laici” Come è cambiato, da allora, il suo impegno di laico credente?

Per me, come (credo) per tutta la mia generazione, il Concilio ha rappresentato uno “spartiacque”: non come radicale mutamento di prospettiva ma nel senso di un trasferimento a tutto il complesso della Chiesa (o forse soltanto, almeno allora, ad alcune sue componenti) di posizioni, e di intuizioni, che prima appartenevano soltanto ad un’élite. Come molti altri giovani di allora, avevo fortemente patito le “chiusure” degli ultimi anni del pontificato di Pio XII: non tanto a Parma, ove pure non si respirava un’aria particolarmente salubre (ricordo spesso che a vent’anni, volendo accostarmi al testo greco dei Vangeli, come giovane universitario, dovetti chiedere un particolare permesso al cancelliere, Mons. Argo Cavazzini, che sorridendo mi incoraggiò...) quanto a Roma, allora Gioventù di Azione cattolica (la “mitica” GIAC) come Dirigente nazionale Seniores, all’indomani del “caso Rossi”, constatando con mano le chiusure e le incertezze di una Chiesa che cercava di chiudere porte e finestre per ripararsi dal “vento nuovo” che proveniva soprattutto dalla teologia francese, alla quale ero stato introdotto lavorando alla mia seconda su Emmanuel Mounier... Per me il Concilio non fu dunque una novità, ma piuttosto una conferma.

Lei ha dedicato molti studi al tema del laicato, chiamato a vivere - secondo l’indicazione del Concilio - non nelle sagrestie ma nel mondo... Come vede oggi il ruolo dei laici rispetto alle aspettative, ma anche richieste, della Chiesa?

Il mio rapporto con la teologia, e specificamente con la teologia del laicato, è singolare e forse pressoché unico in Italia. All’indomani della seconda laurea (in filosofia, dopo quella in lettere), nel 1955, avrei voluto dedicarmi agli studi teologici: ma dovetti ben presto arrendermi perché sarei dovuto andare a Roma e, nientemeno, studiare qualcosa come nove anni, in quanto le due lauree civili non venivano allora considerate in alcun modo per chi non fosse presbitero e dunque sarei dovuto entrare in quelle facoltà come “matricola’... Continuai a studiare per conto mio teologia e, molti anni dopo, venni chiamato ad insegnare “Teologia del laicato” alla Pontificia Università Lateranense ed Etica sociale e Dottrina sociale della Chiesa nella neonata facoltà di teologia di Lugano: alla fine ho nel mio curriculum numerosi volumi di teologia ed una ventina di voci di dizionari teologici, da “Giustizia” a “Pudore’; da “matrimonio” a “Famiglia” ... Finalmente il laicato si sta aprendo alla teologia e questa certamente ne guadagnerà.

Muoverà anche di qui una rinnovata consapevolezza del ruolo dei laici nella Chiesa, come coloro che portano nella Chiesa i problemi del mondo e li illuminano alla luce di un messaggio cristiano riproposto nella sua integralità, a partire dal riconoscimento conciliare della profonda unità del “popolo di Dio”; e cioè di un corpo in cui esistono vocazioni e carismi diversi ma in cui sugli elementi di diversità fanno premio quelli di unità, a partire dal comune: riferimento al Battesimo.

Quell’11 Ottobre in cui si aprì il Concilio, se non ricordiamo male, Lei era a Roma. Che cosa ricorda di quel giorno e dell’atmosfera che si respirava nella capitale della cristianità?

Non dimenticherò mai quel giorno perché, per una singolare coincidenza, quello era anche il giorno del mio compleanno (il 32º).

Le parole di Giovanni XXIII, lo spettacolo del lungo corteo dei Cardinali, l’immensa folla attenta e plaudente resteranno per sempre nella mia memoria. Vedevo finalmente una Chiesa che si apriva al mondo e che si avviava a quell’incontro con la modernità - senza cedimenti allo spirito del mondo, ma guardando con simpatia al cammino dell’umanità che sarebbe stato il filo conduttore di tutto il lavoro e poi dei vari documenti del Concilio.

Potei seguire i lavori del Concilio, ovviamente, soltanto come osservatore esterno, grazie soprattutto alle cronache dell’Avvenire d’Italia di Raniero La Valle, ma anche dal particolare osservatorio rappresentato dall’Azione Cattolica, allora in via di profondo rinnovamento. Nei margini di libertà lasciatimi dal mio lavoro di allora, quello di funzionario della Camera dei Deputati, potei partecipare a numerosi incontri nelle sale di via della Conciliazione nei quali attivamente operava per il rinnovamento Vittorio Bachelet, che nel 1959 era stato nominato Vicepresidente generale. L’Azione cattolica di quegli anni, con la quale a lungo collaborai, rappresentò in Italia la punta di diamante per la recezione del Concilio Vaticano II.

A 50 anni dl distanza da quell’avvenimento, quale ritiene sia il lascito maggiore dei Concilio? E quanto, invece, deve essere ancora pienamente realizzato?

Il Concilio ha liberato la Chiesa dalla tentazione di porre li mondo al proprio servizio (sia pure con le migliori intenzioni) e le ha insegnato che è essa a doversi porre a servizio del mondo se vuole essere fedele al piano di Dio sull’uomo e sulla storia; e ciò non per banale conformismo ma a partire dalla consapevolezza che è il mondo ciò per cui Cristo si è sacrificato e per il quale ha dato una vita posta tutta nell’ottica del servizio. Si tratta di una verità antica, che nel corso della storia, tuttavia, si era un poco smarrita. Attorno a questa fondamentale verità si colloca il grande tema del “dialogo” con il mondo, volto a mettere in evidenza il positivo che è nella storia prima ed ancor più di del negativo, che pure è presente, e dal quale occorre sapere criticamente prendere le distanze. In questa prospettiva si collocano il dialogo con i credenti in altre religioni, l’apertura a tutti gli uomini di buona volontà, l’impegno a superare le persistenti divisioni fra i cristiani, e così via. È un programma di lungo periodo che solo in parte si è realizzato (cinquant’anni sono poca cosa nel bimillenario cammino della Chiesa...): basti pensare, per segnalare soltanto alcuni problemi, all’insufficiente valorizzazione del laicato, alla marginalità della presenza femminile alle difficoltà che si incontrano nel realizzare una comunità autenticamente povera e, conseguentemente, pienamente fedele al messaggio evangelico. La strada è iniziata, ma il cammino è ancora lungo...

Il Concilio, in particolare con la “Gaudium et Spes”; ha messo a tema il rapporto Chiesa-mondo. Che cosa è cambiato rispetto a cinquant’anni fa? Come vede questo rapporto, oggi?

Nonostante le resistenze frapposte da una cultura laica e talora acidamente anticlericale, e sebbene il Cristianesimo continui ad essere numericamente minoritario nel mondo, la nuova ed insieme antica immagine di Chiesa che il Vaticano II ha proposto - liberandola da talune rughe del passato - si sta, sia pure faticosamente, affermando. Occorrerà tuttavia abbandonare definitivamente tanto l’idea di una “cristianità” egemonizzata dalla Chiesa quanto quella di un’umanità irrimediabilmente alla deriva: Dio continua ad operare nella storia per vie che sfuggono alle lenti della sociologia e, ancor più, delle statistiche religiose. Il male ancora, e sarà sempre, presente nella storia, ma essa cammina, talora senza saperlo, verso la sua pienezza: Dio è là, e l’attende... È questo l’“ottimismo tragico” (quasi un ossimoro!) del mio ideale maestro, Mounier.

Siamo entrati nell’Anno fede. Quali sono, a suo parere, le “urgenze” che interpellano la Chiesa oggi?

Il documento con il quale il Papa ha indetto 1’“anno della fede” è intitolato Porta fidei, la porta della fede. Ebbene, porta ha una duplice funzione, quella dell’“uscita” e quella dell’“entrata”.

Occorre che la fede si apra al mondo ed il mondo alla fede ed i cristiani sono coloro che varcando quella a soglia portano sulle loro spalle questo zaino, e lo portano indietro più ricco e più pesante... Perché questo arricchimento avvenga occorrerà lavorare molto. Fra i campi che con maggiore cura dovranno essere arati vi è quello, fondamentale, della famiglia, quale del resto, non a caso, ho dedicato non poche energie.

Forse il mio ultimo libro saranno gli Scritti coniugali (redatti “a due mani” con la mia indimenticabile consorte, Gianna Agostinucci) che stanno per apparire presso l’Editrice AVE di Roma, nei quali si propone con forza l’ideale della piccola ed umile santità della famiglia. Passeranno in larga misura proprio da qui le “nuove” (perché il Cristianesimo è sempre novità di vita) vie della fede. Ho riletto con profonda emozione quelle pagine, tutt’altro che ingiallite, e vorrei consegnarle alle nuove generazioni come piccola testimonianza dell’irripetibile stagione conciliare.


Vedi Dossier: Concilio Vaticano II

Questione morale e Regione Lazio

Il contributo dei cattolici democratici

Colleferro

1 Febbraio 2013

 

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