Associazioni locali

Bologna: dal fallimento una speranza di rinascita …

La situazione che si è creata nella città con le dimissioni del Sindaco Flavio Delbono è assai deprimente, anche perché noi riteniamo che sia dovuta non solamente ad una contingenza negativa, ad un infortunio di percorso, ma piuttosto che rappresenti l’ultimo segno di un progressivo degrado del rapporto fra politica e società, che ha gravemente appannato la capacità della città di individuare e costruire un proprio futuro credibile.

 

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Per costruire la città

… una proposta di cattolici democratici …

Bologna, Aprile 2010

Premessa

Salutando la città di Milano, con un discorso in consiglio comunale il Card. Martini ebbe a dire: ” la città è il luogo di una identità che si ricostruisce continuamente a partire dal nuovo…….. La paura urbana si può vincere con un soprassalto di partecipazione cordiale, non di chiusure paurose; con un ritorno ad occupare attivamente il proprio territorio e ad occuparsi di esso; con un controllo sociale più serrato sugli spazi territoriali e ideali, non con la fuga e la recriminazione.”

Se questa considerazione può valere per qualunque città, sembra che in modo del tutto particolare possa valere per la nostra città di Bologna, e possa porsi come base per un rinnovato impegno volto a tradurre la situazione di crisi che la città sta vivendo in una opportunità.

Opportunità di partecipazione attiva ed efficace dei cittadini a costruire una idea di città dove essi siano soggetti attivi della pubblica amministrazione e non semplici amministrati.

Opportunità per le forze che hanno il compito costituzionale di organizzare la partecipazione alla politica di rigenerarsi, uscendo dalla autoreferenzialità che da qualche tempo li caratterizza fino ad asfissiarli in una sorta di pulsione suicida.

L’ispirazione a cui si riferiscono le nostre associazioni si fonda sul personalismo e ed il solidarismo cristiano, intesi come volontà di uscire dal proprio privato per incontrare gli altri; come volontà propriamente politica di dilatare il proprio “io” nel “noi”, per inverare una politica capace del gesto gratuito del servizio non solo e tanto alla propria parte, quanto al bene comune.

Questa ispirazione ci ha non da oggi portato ad affondare le radici culturali della nostra azione nella esperienza sociale e politica del cattolicesimo democratico.

Stiamo parlando di “cultura” cattolico-democratica e di conseguente assunzione di responsabilità in quanto laici cattolici “nelle cose del mondo” secondo l’insegnamento del Concilio, prescindendo, qui, dagli strumenti con i quali ciascuno rende conto delle proprie coerenze.

La cultura cattolica nella quale  affondano le nostre radici, sembra oggi volersi tenere lontana da una laica elaborazione dei cambiamenti in atto, così da apparire quasi schiacciata dal “peso” quotidianamente attribuito esclusivamente ai cosiddetti “valori etici”, quasi che questi fossero isolabili da una etica complessiva che sia a supporto della ricerca del bene comune.

Sia chiaro, non vogliamo qui sostenere che problemi quali quelli della tutela della vita in ogni suo momento, della famiglia fondata sull’unione stabile fra uomo e donna, della disponibilità della propria vita e della propria morte, non siano problemi di primaria, fondamentale, importanza; semplicemente pensiamo che possano essere più efficacemente affrontati in un quadro di “etica della convivenza” che realizzi una organizzazione sociale, economica e politica fondata sul primato della persona e dei suoi inalienabili diritti.

La vita, la famiglia, non si tutelano con prediche moraleggianti e tanto meno con strumentali ed elettoralistici inchini alla “sacra pantofola” (magari con spudorata incoerenza rispetto ai comportamenti personali.

L’esperienza sociale e politica da cui deriviamo è quella che, insieme ad altre esperienze, ha concorso in modo determinante fin dalla stesura della Carta Costituzionale ad evitare che le categorie di ordine morale fossero ridotte immediatamente a categorie politiche; riduzione che impedisce alla morale di svolgere il compito che le è proprio di formazione delle coscienze.

Perché non possiamo tacere

Ci siamo formati secondo l’esortazione di Paolo VI° ad “amare la politica che è misura minima della giustizia che è misura minima della carità”. E’ quindi per noi assolutamente impensabile il sottrarci al dovere civico, prima ancora che politico, di opporci al dilagare della volgarità nei comportamenti pubblici e privati, all’affermazione di un sempre più aggressivo darvinismo sociale, ad una azione che dal governo stesso, una destra eversiva e clerico-reazionaria attua mirando alla demolizione ed allo sfascio della nostra Costituzione.

E’ ogni giorno più a rischio la nostra libertà di vivere in una Italia serena, non sottoposta a continue emergenze (magari da sfruttare cinicamente a favore degli amici da un punto di vista biecamente affaristico, o, altrettanto cinicamente, a fini di propaganda elettorale con la complicità di mezzi di comunicazione asserviti).

E’ ogni giorno sempre più a rischio la nostra libertà di vivere in un paese dove l’interazione fra persona e collettività funzioni, dove la produttività conosca un gesto gratuito, dove il capitale che si produce sia “capitale sociale”, fatto di fiducia, senso civico, lealtà fra cittadini e istituzioni.

Crediamo sia doveroso uscire da una cultura di governo fondata sull’individualismo e su un decisionismo che rifiuta un sistema di garanzie istituzionali, sempre più concentrato in poche mani e che mistifica una profonda attitudine antidemocratica dietro un presunto efficientismo.

Non è che da questa ubriacatura collettiva della presunta modernità del fare siano rimasti indenni i partiti del centro sinistra.

Ben altra politica avrebbe a nostro parere richiesto l’opporsi alla balcanizzazione del mercato del lavoro, alla privatizzazione ancora incalzante della sanità, della scuola, dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni, di servizi quali l’acqua, attività che per loro natura non debbono diventare risorse per produrre un profitto privato.

Perché non possiamo non scegliere

Da motivazioni culturali, prima ancora che politiche nasce il nostro impegno:

  • cultura dei diritti inalienabili di ogni persona;
  • cultura della pace senza se e senza ma;
    • cultura della solidarietà e dell’uguaglianza;
    • cultura della difesa delle ragioni della storia attraverso la difesa intransigente della Costituzione della Repubblica nata dalla Resistenza;
    • cultura del lavoro come mezzo di autorealizzazione degli uomini e delle donne del lavoro;
    • cultura della vita e della famiglia da concretizzare attraverso scelte economiche, politiche e sociali fondate sulla coerenza fra comportamenti sociali e convincimenti interiori;
    • cultura dell’accoglienza che non considera i lavoratori extra comunitari solo come merce da importare al bisogno.

La politica, come noi la intendiamo, è la trasposizione in esperienza civica, senza integralismi e dogmatismi, dei valori che hanno ispirato l’azione dei padri costituenti, cattolici e laici, quando hanno formulato la Legge Fondamentale improntata all’etica della solidarietà, della partecipazione democratica, della promozione dei corpi sociali intermedi, della valorizzazione delle rappresentanze della volontà popolare, della ricerca dello sviluppo integrale della persona, di ogni persona.

Per tutto questo, e per ciò che ne deriva, non da oggi abbiamo fatto la nostra “scelta di campo” anche se la nostra concezione della politica ci ha portato più volte ad esprimere critiche all’azione dei partiti del centrosinistra, alcuni dei quali hanno preferito fare i conti con la cronaca, piuttosto che con la storia, mostrando un frettoloso rincorrere il “mercato”, l’efficientismo, la modernità del decidere in pochi perché così si è più efficienti, rischiando con ciò di non risultare più punto di riferimento per il tradizionale blocco sociale e di non essere convincenti per coagulare le nuove istanze; altri si sono fatti schiacciare dal peso di tatticismi dettati dalla paura della insignificanza politica e dalla incapacità di mitigare la logica della tecnocrazia e del fare.

Bologna tra passato e futuro

La situazione che si è creata nella città di Bologna non è dovuta solo ad un infortunio di percorso o ad una contingenza negativa, quanto piuttosto essa rappresenta l’ultimo segno di un progressivo degrado che ha appannato la capacità della città di progettare e costruire un proprio futuro credibile.

In nome dell’efficientismo e della modernità del fare, anche Bologna ha affievolito il desiderio, la capacità di vivere una effettiva democrazia partecipata e la speranza che questa possa produrre una convivenza migliore. Si sono anche qui tentate “vie brevi” solo apparentemente risolutive dei problemi

  • Le trasformazioni del P.C.I. in P.D.S. e D.S. a partire dalla storica “svolta della Bolognina”, seppur sono state compiute con onestà intellettuale, non hanno prodotto, se non in minima parte e comunque sempre e solo in termini di confronto “numerico”, il superamento del concetto di “egemonia” proprio di un partito che in città raccoglieva il 50% dei consensi.
  • La struttura “leggera” tipica dei partiti intesi come “macchine elettorali” più che come centri di elaborazione politica, che si è voluta praticare con l’accompagnamento di riti di cui i celebranti predeterminavano l’esito, come le “primarie” che abbiamo conosciuto (finendo con l’indebolire l’indubbia carica democratica che lo strumento può contenere se correttamente usato); la conseguente valorizzazione del “partito degli amministratori” assolutamente inidoneo a colmare il vuoto del Partito partecipato.

E’ proprio l’assenza di luoghi di elaborazione politica partecipata attraverso il confronto e la conseguente sintesi, che mette a rischio di emarginazione l’apporto di culture indispensabili come quella dei cattolici democratici e che può indurre a giustificazioni frustranti della propria rappresentatività con conseguenti approdi politici impropri.

  • La mancanza di una adeguata elaborazione del mutare del concetto di “rappresentanza” cambiando il sistema elettorale con l’introduzione della elezione diretta del sindaco.
  • L’inaridirsi della partecipazione democratica dei cittadini, cui ha non poco contribuito la dissennata scelta di modificare i confini territoriali dei quartieri, nonché i criteri di attribuzione delle deleghe.
  • La “guerra per bande” che ha portato alla amministrazione di centro-destra.
  • Il rapporto non proprio fluido, spesso conflittuale che ha caratterizzato l’amministrazione Cofferati.

Sono alcuni dei motivi che hanno finito per ridurre la capacità di interpretare la città, i suoi vissuti, le istanze vecchie (modello di sviluppo, viabilità, grandi infrastrutture, ruolo del centro storico, università) e nuove (immigrazione, nuove povertà, crisi economica, disoccupazione, precariato, condizione giovanile, degrado, sicurezza, politiche famigliari) e di elaborare una proposta politica complessiva che desse una certezza di novità e adeguatezza e non sembrasse solo una rincorsa alla modernità della destra, magari con qualche attenzione in più alla sostenibilità sociale (privatizzazioni: dalle farmacie alle grandi S.p.A di gestione dei servizi con particolare riferimento all’acqua, alle liberalizzazioni generalizzate di cui si sono sottovalutate le ricadute sulla convivenza sociale).

L’azzardo di una proposta

Siamo convinti che oggi occorra un di più  di presenza democratica in città sia oggi per interloquire col commissario, sia per scongiurare il rischio, narcotizzante per lo sviluppo della vita democratica della città, che in fin dei conti il commissariamento possa essere un fatto positivo.

Siamo altresì convinti che non esiste democrazia senza partiti politici; siamo convinti che a loro competa di elaborare la proposta politica per il futuro di Bologna e che a questa elaborazione possa portare un qualche valore aggiunto il contributo della cosiddetta “civicità”, quando non sia un cialtronesco espediente per mascherare uno schieramento politico.

Ma proprio per evitare di aumentare il rischio di autoreferenzialità dei partiti occorre che la loro elaborazione sia fortemente ispirata dall’ascolto della città e corroborata dalla mediazione politica con le istanze che la città esprime.

A questo proposito vorremmo qui avanzare la proposta di avviare un percorso di costruzione di una “costituente per Bologna”, in grado di recuperare il valore evocativo del termine costituente. Noi, per parte nostra, pensiamo di rivolgerci al mondo dell’associazionismo ed ai movimenti esterni ed interni ai partiti per verificare le possibili convergenze su alcuni contenuti a nostro avviso prioritari quali: il Welfare locale ed il passaggio da un sistema di “stato sociale” ad un sistema di “società sociale”, il lavoro, la partecipazione ed i suoi strumenti efficaci, il ruolo del centro storico, l’immigrazione, la condizione giovanile; nonché su questioni di metodo per inverare il fatto che democrazia non è andare a votare alle scadenze previste, ma è soprattutto partecipare alle scelte, decidere chi meglio può concretizzarle e verificare la loro attuazione.

Siamo convinti che alle prossime, speriamo vicine, elezioni cittadine sia necessario vincere per impedire che lo “stile di governo nazionale” si affermi anche nella nostra città, ma siamo ancora più convinti che sia necessario vincere per governare nella ricerca del bene comune, per riportare i cittadini da “governati” a popolo sovrano, per dare a tutti l’occasione di partecipare alla realizzazione del sogno di una città ancora capace di cercare l’armonia fra le esigenze dei singoli e le esigenze collettive, di proporre alle nuove generazioni l’opportunità di una vita vissuta come un viaggio avventuroso dello spirito capace di dilatare ogni singolo “io” in un “noi” solidale perché non condizionato dalle nevrosi del successo e del potere.

Forse tutto ciò può sembrare utopistico, ma siamo convinti che oggi il massimo di concretezza possibile stia proprio nel perseguire l’utopia.

Problemi e opportunità a Bologna e nel suo territorio

"La convivenza tra città compatta e città diffusa”
Ricerca promossa dall'Istituto Regionale di Studi sociali e politici “Alcide De Gasperi - Bologna

La ricerca è stata realizzata con il contributo della Fondazione Carisbo
Presentata a Bologna il 19 Maggio - c/o Fondazione Cassa di Risparmio

Una proposta di primarie per Bologna

Istituto Regionale di Studi sociali e politici “Alcide De Gasperi" - Bologna

Segnaliamo con soddisfazione che la proposta messa a punto dall’Istituto De Gasperi per svolgere a Bologna elezioni primarie “aperte” per la scelta dei candidati Sindaco è stata ripresa, da ultimo,  dall’animatore della “Fabbrica di Bologna” Giovanni Maria Mazzanti, come hanno riferito il Corriere della Sera e l’Informazione di Bologna  del giorno 16 giugno 2010.

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APPELLO “IO CI STO”

io ci sto - consigli fuori dal comune

Boligna, Luglio 2010

A tutti i cittadini, ai movimenti, sindacati, associazioni e alle forze politiche chiediamo di guardare ai problemi e alle prospettive di questa città e di impegnarsi per costruire un percorso inclusivo ed unitario per costruire un’alternativa all’attuale sistema di potere in crisi. Le dimissioni di Del Bono sono state solo l’atto finale di un’amministrazione priva di una visione lungimirante di città. Un’amministrazione guidata da un Pd incapace di selezionare una classe dirigente adeguata. Proponiamo un percorso aperto al contributo di chiunque sia interessato a ridare senso, opportunità e spazio ai cittadini “delusi” di questa città. Incontriamoci, lasciando a casa tessere e bandiere, parliamone.

Questa iniziativa politica nasce da persone singole, di diversa esperienza e provenienza. Non abbiamo visto reazioni adeguate in città rispetto a quanto successo, eppure basterebbe da sola la notizia, sulle cronache dei quotidiani di tutta Europa, che questa città per la prima volta nella sua storia ha un sindaco che si è dimesso, accusato per reati di peculato, truffa aggravata ai danni dello Stato, e ha un commissario prefettizio per un lungo periodo di tempo.

Per la città il danno è enorme. Per l’intera sinistra il danno politico è incalcolabile, nonostante la differenza che passa fra comportamenti moralmente inaccettabili e reati penali, tutti da dimostrare. È ormai accertata un’estrema disinvoltura nell’esercizio del potere, e l’occasione di questo fallimento deve servire a ripensare, almeno, alle modalità di selezione dei gruppi dirigenti.

La si può chiamare “questione morale”, ma si tratta di questione democratica, perché i partiti hanno requisito le chiavi della democrazia rappresentativa, e tanto più la loro vita interna si è fatta asfittica, tanto più pretendono l’esclusiva nella selezione delle cariche pubbliche. Un circolo vizioso che ha progressivamente ridotto l’autorità morale delle classi dirigenti: non a caso la categoria della “casta” si è abbattuta anche sui gruppi dirigenti dei partiti di sinistra.

Sentiamo l’esigenza di tornare ad avere un luogo politico in cui discutere e fare politica, siamo convinti che se la “Sinistra”, a Bologna, sia divenuta quasi irrilevante, (e il dato delle recenti elezioni regionali, a partire dalla forte astensione, conferma inequivocabilmente questa condizione), una delle cause sia la sua frammentazione.

Crediamo nella democrazia partecipata e nel fatto che le forme della politica devono cambiare “ora”, perché le persone sono sempre più lontane dai percorsi tradizionali, e la vita delle formazioni politiche è asfittica da molti anni, anche se c’è chi preferisce negare l’evidenza.

In questi ultimi mesi ci sono stati i movimenti per la difesa della Costituzione e della libertà di informazione, per il rilancio della scuola pubblica, per i diritti dei migranti, per una nuova generazione di diritti civili fondata sulla piena laicità dello Stato, per l’affermazione dell’autodeterminazione e libertà femminile, per una gestione pubblica dei beni comuni con la straordinaria risposta delle cittadine e dei cittadini di Bologna per affermare l'inalienabile proprietà collettiva dell'acqua, per la difesa del territorio dal consumo scriteriato e per la qualità dell’aria che respiriamo, per una diversa legislazione del lavoro che consenta ai giovani di uscire da una condizione di perenne precarietà.

Questi movimenti hanno imposto all’attenzione – prima e a volta contro le astratte priorità dei partiti - una lettura dell’Italia carica di indignazione e in grado di cogliere le cause e le responsabilità di vecchie e nuove ingiustizie.

Da queste idee può nascere un’aggregazione a “Sinistra”: nuova, trasversale, accogliente, coinvolgente, capace di attivare luoghi di discussione e luoghi di socialità. Capace di indicare una prospettiva di governo e ritrovare una connessione sentimentale con la città. Capace di innescare un’autentica rigenerazione della “Sinistra Bolognese”.

Vorremmo definire insieme le modalità più idonee per realizzare un percorso aperto, inclusivo, plurale, orizzontale, di discussione e di iniziativa, per giungere a formulare un nuovo progetto di città. In seguito alla prima assemblea del 22 febbraio 2010, il gruppo promotore ha aperto un sito web (www.iocistobologna.it) e un gruppo Facebook (Io Ci Sto Bologna) nei quali riversare le analisi e le proposte in discussione.

Siamo immersi in una fase inedita della vita della nostra città, mai vissuta in 65 anni di vita democratica. Con lo scioglimento degli organi amministrativi (giunta, consiglio comunale, consigli di quartiere) e la gestione commissariale. Ci è sembrato necessario costituire un luogo pubblico, un appuntamento che sia di riferimento per affrontare i maggiori problemi della vita cittadina. Questo luogo pubblico lo abbiamo chiamato “Consiglio fuori dal Comune”.

Da aprile a fine giugno, attraverso l'iniziativa dei 5 “Consigli fuori dal Comune”, che hanno avuto  simbolicamente luogo in Piazza Nettuno sotto la sala vuota del Consiglio comunale, un primo nutrito gruppo di donne e uomini, riconoscendosi in questo appello, ha dato vita a confronti pubblici e partecipati in modo attivo dai cittadini e da tante e diverse soggettività e competenze, per la costruzione di un'agenda politica su alcuni dei temi più rilevanti che riguardano Bologna e le sue criticità: partecipazione e democrazia, beni comuni, legami sociali e welfare, lavoro, cultura e socialità.

Ognuno è chiamato a investire un po’ del proprio tempo in un impegno disinteressato, sviluppando un lavoro “a rete” con chiunque sia interessato a questa prospettiva.

Quella dei “Consigli fuori dal Comune” e del prosieguo di questa esperienza in forme e luoghi diversi della città è una proposta molto impegnativa, un banco di prova della nostra capacità di coinvolgere le singole persone e i soggetti organizzati.

Intendiamo darci alcune regole condivise su “come” avviare il percorso unitario e su “che cosa” debba caratterizzarlo. Il primo nodo da sciogliere è la scelta dell’azione politica in vista delle elezioni per il Comune di Bologna.

Sappiamo esistere diverse sensibilità e aspettative, cautele e impazienze, che vanno rispettate. Siamo altresì convinti che nelle pratiche politiche autenticamente democratiche la conclusione del percorso sia nelle mani di chi partecipa, non è predefinita da qualcuno che pretende di guidare gli altri.

Abbiamo avviato un percorso che potrà avere esiti diversi, che dipenderanno innanzitutto dalla nostra capacità di attivare forze, energie, entusiasmo, e infine indicare una prospettiva credibile e appassionante!

Se ti riconosci in questo appello, sottoscrivilo e fallo sottoscrivere inviando una e-mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.


Sintesi dei 5 Consigli Fuori dal Comune su:

Youtube

video 1/2  http://www.youtube.com/watch?v=BoZGpQhm7U8

video 2/2  http://www.youtube.com/watch?v=Lr4kcEupl78

 

Facebook

http://www.facebook.com/video/video.php?v=1508015870216&saved

 

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