Seminatori di speranza nell’autunno della politica

Lino Prenna

2008

Pubblicato in “Cristiano sociali news”, 2008/6, pp. 6-8

“La democrazia dei cristiani: una civiltà della politica” è il tema che l’associazione Agire politicamente ha sviluppato nell’assemblea nazionale dei soci, tenuta a Roma, a metà del maggio scorso. Lo statuto dell’associazione attribuisce particolare rilevanza a questo appuntamento annuale, come momento di riflessione critica sui grandi temi della politica nazionale e di elaborazione condivisa delle linee indicative del nostro agire politico.

Anche quest’anno siamo stati costretti a dire, nella relazione introduttiva, che l’assemblea cadeva in un momento di particolare difficoltà della vita del Paese. Lo diciamo da tempo, non per un’enfasi celebrativa dei nostri incontri né per attestare questi anni e omologarli sul versante del faticoso travaglio sociale e politico che ci attraversa ma perché, di fatto, viviamo in tempi estremi, accelerati e, insieme, consumati nelle ricorrenti emergenze di una lunga transizione.

Ecco, allora, la prima domanda alla quale abbiamo provato a rispondere: è finita questa transizione? La netta vittoria del Partito della libertà, la semplificazione del quadro politico, l’esclusione dal Parlamento dei partiti che ancora si dichiarano comunisti segnano l’inizio di una stagione di stabilità per il Paese? E inoltre, come valutare questa decantata semplificazione, quasi reductio ad unum, voluta non da una consultazione popolare ma da una scelta solitaria, leaderistica dei partiti, anzi, del segretario di un partito, che aveva deciso di andare da solo alle elezioni?

Le domande sono state raccolte dai relatori, in particolare, da Gianfranco Brunelli, da Pierluigi Castagnetti e da Sergio Tanzarella[1].

Brunelli, analizzando i risultati delle elezioni politiche, ha parlato di “bipartitismo imperfetto”, emerso dalle urne, con la strategia vincente del Partito della libertà e la scomposta rincorsa del Partito democratico, in una campagna mediatica “nella quale Veltroni ha persino mutuato il linguaggio di Berlusconi”. Autarchica ed egemonica è stata valutata dall’assemblea la gestione del Partito democratico, nonché fallimentare il tentativo di Veltroni di arrivare a larghe intese liquidando l’esperienza ulivista e aprendo, di fatto, la crisi del governo Prodi con la dichiarazione che il Partito democratico sarebbe andato da solo alle elezioni. Fuori dallo schema ulivista – è ancora il parere di Brunelli, condiviso dall’assemblea – il PD si è risolto nella continuità PCI, PDS, DS ed è l’ultima figura della transizione interna al percorso post-comunista, non la prima di una nuova formazione democratica e riformatrice. Insomma, il nuovismo veltroniano ha oscurato la novità del PD!

Castagnetti ha condiviso la maggior parte dell’articolata relazione di Brunelli e, pur meno severo nei confronti del tentativo di Veltroni, ha ammesso che il PD non ha saputo intercettare i bisogni reali del Paese.

A Sergio Tanzarella avevamo chiesto di dirci se siamo ormai al punto di doverci “cuocere da soli il pane della democrazia”. In una relazione lunghissima, ma applauditissima, per il fascino che sempre sprigiona la sofferta descrizione della realtà nuda, Tanzarella, dimostrando come la sua Campania sia stata in questi anni “il vero laboratorio della mistificazione politica”, ha precisato che il “da soli” non significa una scelta di individualismo ma la volontà di riprendersi, in quanto cittadini, la titolarità dell’agire politico, rompendo il rapporto perverso tra politica e camorra e ritirando la “delega totale” ad amministratori politicanti e corrotti.

In una lettera inviata al presidente della Repubblica in occasione delle ultime elezioni politiche, Tanzarella e alcuni responsabili di organismi ecclesiali della diocesi di Caserta, ispirati dal loro vescovo Raffaele Nogaro, avevano sostenuto il “non voto” come lotta alla “camorra politica”. Nella sua relazione alla nostra assemblea, Tanzarella ha chiarito, ancora una volta, che la loro posizione non nasceva da una concezione anarchica di sovvertimento delle regole democratiche ma intendeva segnalare il “non senso” e, peraltro, l’effettiva ininfluenza di un voto chiamato a ratificare quanto già i partiti avevano stabilito, utilizzando la legge elettorale e la scelta dei candidati con criteri familistici e clientelari. Il Partito democratico si è particolarmente distinto in questa pratica, appena coperta dall’annuncio quotidiano da parte di Veltroni di candidature “eccellenti”, esterne al partito ma interne agli interessi di parte.

Il risultato è quello che conosciamo, ma non è stato sufficientemente considerato il fatto preoccupante che, fra quelli che non sono andati a votare, quelli che hanno votato scheda bianca o annullato la scheda e quanti hanno votato partiti che non sono  entrati in Parlamento, risultano più di 15 milioni i cittadini senza rappresentanza. E intanto, pur a distanza di poco tempo dalla formazione del governo né la maggioranza né l’opposizione parlano di riforma della legge elettorale. Anzi, sembra che vogliano omologare quella per le elezioni europee all’attuale italiana.

L’esempio della legge elettorale è emblematico della omologazione dei due schieramenti: centrosinistra e centrodestra hanno gli stessi progetti, gli stessi referenti, gli stessi consulenti. “In questo quadro – è ancora l’amaro disappunto di Tanzarella – se avessimo perso le elezioni con un progetto alternativo, un modello di giustizia sociale, oggi avremmo ancora delle speranze”.

Eppure, l’assemblea di Agire politicamente, facendo sua l’espressione di san Paolo che descrive la “debolezza e la forza” cristiana degli apostoli, evocata da Brunelli come incipit fiducioso della sua relazione, si è detta “provata ma non disperata”, perplessa nell’incertezza delle scelte da compiere ma determinata a esplorare ulteriormente il potenziale politico del “cattolicesimo democratico”, non per difesa nominalistica né per orgoglio lessicale ma perché convinti che l’idea di società e di Stato fissata da questa cultura politica nel suo progetto di democrazia sia, paradossalmente, attuale per la sua inattualità!

Da questa posizione guardiamo al Partito democratico, con una serie di domande che inquietano le nostre attese. Che fine ha fatto il cattolicesimo democratico nel PD? Anzi, che fine hanno fatto i cattolici democratici, salvo ad essersi assicurato un posto in Parlamento sibi suisque? Quale incidenza hanno avuto sul programma elettorale, peraltro affidato alle esposizioni mediatiche del segretario? Rimane ancora valido il progetto di costruire il partito facendo sintesi alta delle tre culture che hanno elaborato la nostra Carta costituzionale? E dunque, c’è spazio per la cultura cattolico-democratica nonché determinazione nel volerla intrecciare con le altre culture per la tessitura progettuale del partito?

Brunelli, nell’affermare che il PD è un partito privo di identità culturale e di progetto politico, ha parlato di “subalternità competitiva” degli ex-popolari nei confronti degli ex-diessini per ottenere il massimo negli organigrammi del potere ma rinunciando ad un vero confronto culturale e politico. “L’afasia della componente cattolico-democratica dentro il PD” è un  dato che ci preoccupa se soltanto pensiamo alle dichiarazioni fatte inizialmente da popolari e cristiano-sociali di voler entrare nel PD a condizione che fosse riconosciuta la pari dignità delle culture di provenienza.

In altre occasioni abbiamo già detto quale può essere il contributo specifico del cattolicesimo democratico alla costruzione del PD. Qui voglio riprendere l’esigenza, segnalata da Pietro Scoppola a conclusione dell’incontro da noi promosso nel maggio dello scorso anno per la presentazione del nostro documento sui “principi non negoziabili”, di dotare il partito di una “politica ecclesiastica”, cioè di una modalità di relazione con la chiesa cattolica, regolata da uno statuto di laicità, capace di superare le “derive neoclericali” nelle quali è scivolata la politica italiana. Nello stesso tempo servirebbe al PD, preoccupato più dei rapporti con la gerarchia ecclesiastica, per stabilire un corretto rapporto con il frastagliato mondo cattolico e con la vasta rete dell’associazionismo di ispirazione cristiana, finora del tutto trascurata. Noi consideriamo questa esigenza anche all’interno della comunità ecclesiale, consapevoli della fatica di essere, oggi, laici in una chiesa che ha ridotto il laicato a mansioni organizzative-esecutive, e cristiani in una società che tende a ridurre il cristianesimo a religione civile e a scudo protettivo dell’identità nazionale.

Dall’assemblea sono venute proposte, provocazioni, indicazioni che ci hanno resi destinatari di molte attese. Noi le abbiamo raccolte e, pur nei limiti della nostra associazione, intendiamo farle confluire in una prospettiva unitaria di impegno. In tal senso, accogliamo l’invito di Alberto Monticone a farci seminatori di speranza, nell’autunno climatico e politico, che ci attende. Così anche vogliamo approfondire  le possibilità reali di dar vita ad una costituente nazionale del cattolicesimo democratico, come ci ripropone Giorgio Campanini, magari in forma di vero movimento, come vorrebbe Raffaele Cananzi.

Intanto, ripartiamo dalla formazione politica, come abbiamo detto nella tavola di confronto tra Italia popolare, la Scuola di formazione politica di Velletri, l’associazione Teorema di Roma e il laboratorio nazionale Italia solidarietà, promosso dai cristiano sociali. Ci sorregge la convinzione che l’unica possibilità di competizione con questo sistema che tende a omologare maggioranza e opposizione, destra e sinistra, è la formazione di una vigile coscienza politica.

Non posso chiudere questi appunti sull’assemblea di Agire politicamente senza ricordare Paolo Giuntella, amico, fratello, maestro di tanti giovani e anche di noi suoi coetanei. Aveva accettato con pronta disponibilità il mio invito a parlarci della lezione spirituale e politica di Pietro Scoppola. La sua è stata una lettura affettuosa della vicenda politica di quel “cattolico a modo suo” che era Scoppola ma anche una meditazione, una esercitazione spirituale della sua anima che, infine, ha voluto appuntare  sul Crocifisso, divenuto ormai compagnia e icona della sua affaticata giornata.

Come già era avvenuto per Scoppola, è stato l’ultimo intervento pubblico di Paolo. Li conserviamo entrambi, nella memoria del cuore, come dono privilegiato e consegna di più alta responsabilità.




[1] L’impianto della relazione di Brunelli è rintracciabile nell’articolo “Il bipartitismo imperfetto. La sconfitta del PD, la vittoria di Berlusconi”, de il Regno-attualità, 2008/8, pp. 217-220. Il testo della relazione di Tanzarella è stato pubblicato nel servizio di Adista sull’assemblea, nel n. 42 (31 maggio 2008), pp. 3-7.