Un Manifesto, perché?

Nel percorso di responsabilità comune: un manifesto del cattolicesimo democratico

Vittorio Sammarco

Cristiano Sociali

Roma, 22 Maggio 2011

 

Lanciare un Manifesto significa sostanzialmente chiamare a raccolta.

Quando si chiama a raccolta, singoli o associati che siano, è perché si avverte l’urgenza e la gravità di un impegno. La necessità che ci si riunisca perché da soli non si ha più la forza di sostenere efficacemente le proprie tesi. E’ un momento impegnativo e cruciale.

Poi si può riflettere sull’efficacia politico-sociale e persino mediatica di un appello, manifesto, documento. Ce ne sono tanti, se ne fanno a centinaia, pagine, parole, tesi, poi finiti spesso negli archivi di qualche istituto o gruppo. Quando va bene.

Ma in tanto si scrive e si lanciano delle idee, dei pensieri.

Io sono tra quelli che oggi, paradossalmente proprio perché la situazione appare devastante, pensa che tutto serva, tutto ha in qualche modo la sua buona dose di incidenza. Certo ci sono azioni e azioni, e nessuna può essere considerata efficace al 100 per cento. Ma oggi fare gli snob e dire che bisogna selezionare e scegliere, gestire le forze e limitarle, come se qualcuno avesse scoperto la formula in grado di cambiare le cose, ecco mi sembra quantomeno figlio dell’ingenuità.

Fare un Manifesto, e vedere quanti sono disposti a metterci nomi, volti, pensieri, ma poi anche mani, braccia, gambe e tempo, è certamente una cosa importante. Richiede la responsabilità di chi valuta le conseguenze elle proprie azioni. Sia in eccesso che in difetto.

Penso ci siano dei criteri che devono entrare in gioco nella chiamata a raccolta intorno ad un Manifesto.

  1. L’obbiettivo o gli obbiettivi che si intendono raggiungere
  2. L’identità di chi chiama e di chi si chiama a “raccolta”
  3. Le strategie che si mettono in campo
  4. I linguaggi e i simboli che ne alimentano la convinzione
  5. Le idee che danno corpo alla chiamata

Ma quando si dice che c’è la necessità di fare un Manifesto e lanciarlo come una grande chiamata a raccolta è bene almeno che su questi punti si tenga alta l’attenzione, la volontà di non trascurarli.

Primo: gli obiettivi

Che generalmente nascono da un’analisi approfondita dalla situazione. Semplice nella sua gravità.

La sintetizzo così. la politica e i soggetti che ne fanno parte, stanno vivendo oggi il minimo storico di consensi da parte dell’intero “corpo elettorale”, dei cittadini. La credibilità è ormai una risorsa talmente scarsa che genera due conseguenze devastanti:

  1. Sono tutti uguali, tutti ne approfittano (mangiano) alla stessa maniera
  2. Non c’è più bisogno di politica e dei soggetti che di questo sistema vivono (caso Belgio, da più di un anno senza governo eletto democraticamente eppure con dei risultati positivi)
  3. Ergo, quasi un assioma: “non posso che curare gli interessi personali miei e della mia famiglia

Di fronte a questa fotografia della realtà, quale può essere un motivo più importante per una chiamata a raccolta se non quello di rigenerare la politica. O, quantomeno, quello di diffondere la consapevolezza che se non attiviamo circuiti virtuosi e coinvolgenti per fare politica, alla fine qualcuno la farà comunque, anche in vece nostra? E con criteri che a noi non piacciano.

Quindi che la sfiducia e il disfattismo (o quello che si diceva una volta il qualunquismo) è in realtà nei fatti una compartecipazione agli attuali meccanismi del potere?

Questo è un obiettivo fondamentale nel senso letterale del termine: che rimette a posto le fondamenta, di una casa che sta lentamente degradando e crollando. Ed è la casa di tutti.

Rigenerare il circuito virtuoso della politica. Dunque dare anima e corpo, e in maniera ripetuta e continua (il ri del prefisso). Quindi non solo vincere il berlusconismo che è causa, ma anche effetto di questo circuito perverso.

Secondo: si chiama a raccolta qualcuno sulla base della sua identità?

Qui c’è un punto interrogativo. Si può anche chiamare a raccolta qualcuno soltanto perché si è d’accordo con ciò che scriviamo, senza domandarci chi è, da dove viene, dove va, cosa porta con se e con quali amici si accompagna. In sostanza l’identità, la sua storia, i suoi connotati.

E’ indubbio che il grado di coinvolgimento, l’intensità della partecipazione dipende se io sento che la mia identità è in qualche modo invocata da quelle parole e da quel messaggio. Non firmo con la mano sinistra e poi dimentico quel foglio nel cassetto. Me ne faccio carico, lo assumo come un nuovo e importante punto di partenza per le mie prossime azioni.

Bene. Un manifesto del cattolicesimo democratico, e qui il punto.

Tra di noi c’è in atto da tempo un dibattito se e fino a che punto l’identità cattolica democratica dica ancora qualcosa. Per molti cari e stimatissimi amici non solo non dice più nulla a tanti, soprattutto giovani che di quella storia sono lontani parenti o solo discendenti, ma bisogna proprio farne a meno, lasciarla da parte, relegarla alla sfera privata o comunitaria ecclesiale. Perché, in sostanza, l’appartenenza alla comunità dei cattolici finisce per creare un distacco e un discrimine che produce più danni che vantaggi.

Ma ci sono anche tanti che non sono d’accordo con questa tesi, che sostengono invece che l’identità cattolico democratica abbia ancora qualcosa da dire. E soprattutto, consentitemi, da dare al Paese.

Solo che bisogna chiarirne il senso e la portata.

Tutti oggi (a differenza delle contrapposizioni storiche che hanno poi dato origine a questa definizione) possono definirsi cattolici democratici. Chi non lo è? Ma è così nei fatti?

Penso che oggi più che mai andrebbe fatto un percorso condiviso (chiamiamolo discernimento?) per capire bene la portata di questa definizione, non più pensata rivolta al passato, ma come frutto di un nuovo riconoscimento, una sorta di inventario per cercare di capire di quali strumenti, principi, valori, metodi e caratteristiche dispone questo grande magazzino, questa grande officina in costruzione.

Sapendo bene che non di appartenenza stiamo parlando, non dell’essere parte di una Chiesa (il che confonderebbe i piani e renderebbe difficile l’esplicitazione politica delle scelte), ma di traduzione dinamica dell’impegnativo ma a mio avviso decisivo principio della coerenza tra fede e vita. Tutto qua? Beh, mi sembra già tanto

Ciò sul piano politico significa alcune cose. Accenno a quelle che considero basilari per il nuovo identikit del cattolicesimo democratico, che da quello storico parte ma con caratteristiche rinverdite:

a) La maturata convinzione che la democrazia non è una conquista definitiva ma che ha bisogno, sempre, da un canto di essere difesa e tutelata, e dall’altro di essere costantemente migliorata;

b) l’impegno affinché questa cura non spetti solo ad un’elite di sedicenti e presunti illuminati, ma a tutti i cittadini, nel più ampio concetto di partecipazione;

c) che nell’eventuale conflitto d’interessi tra comunità particolare (di cui si fa parte) e comunità generale della quale fa parte un più vasto gruppo di persone a prevalere debba essere l’interesse di quest’ultima;

d) che la politica non è tutto e non può gestire tutto

e) che la Costituzione oggi, è la più forte garanzia contro lo sfilacciamento e la dispersione di una società che, nella frammentarietà individualista rischia di premiare solo i più forti condannando i deboli all’emarginazione.

Ecco ritengo che questo possa essere un piccolo cassetto degli attrezzi per il cattolicesimo democratico oggi. Non esaustivo, certo, ma dal quale non si può prescindere

Terzo: le strategie in campo

E’ a tutti evidente però che non basta firmare un documento per poi lanciarlo nel mare aperto (proprio come un classico messaggio nella bottiglia) per vederne poi il successo.

Ingenuo, come minimo.

La strategia richiede:

  1. La chiarezza sulle persone che si intendono raggiungere (gli esperti dicono target ma è una parola che non mi piace, perché ha un che di militaresco perché la traduzione letterale inglese è esattamente “bersaglio”, obiettivo da colpire)
  2. Una struttura di sostegno che ne supporti le fasi di lancio
  3. Una serie di momenti di incontro sparsi sul territorio per diffonderne pensiero e finalità
  4. Un rilancio periodico sugli organi di informazione con alcune sottolineature di novità (il raggiungimento di un certo numero di firme, la qualità di alcuni firmatari, un’iniziativa originale ecc
  5. Propri organi di informazione che alimentino il dibattito, a partire da quelli favoriti dai nuovi media (social network)
  6. La nascita anche di alcune piccole organizzazioni che appositamente (magari anche in maniera un po’ astuta) vengono stimolate a nascere dal basso proprio sulla base del Manifesto-appello
  7. Un processo collettivo che ne alimenti tensioni e produzioni
  8. Fondi

Quarto: i linguaggi e simboli che si utilizzano

Credo molto, seppure in maniera laica, che le parole siano sì, conseguenza delle cose, ma anche un poderoso biglietto da vista di quei – appunto – “rerum” che vogliamo comunicare.

Facciamo uno sforzo di trovare slogan efficaci, che colpiscano, che già diano il senso di chi c’è dietro questo manifesto: Oltre l’indignazione, un bisogno di futuro? Funziona?

“Prerequisito”; “la dialettica istituzionale”; “stravolgere spirito e architettura del sistema costituzionale”; “non commendevoli presupposti ideologici”; “garantire il necessario salto di qualità”; “attività di “coscientizzazione” politico-culturale”. Sono citazioni parziali, di un testo che pur fatto bene segnala ancora la presenza di un certo modo di parlare.

Facciamo lo sforzo di cercare il massimo di coincidenza possibile tra l’efficacia delle parole che possa suscitare emozioni per il loro spessore con la necessaria chiarezza e sobrietà che indica anche un certo modo di pensare e di agire.

Quinto: Le idee, i contenuti

Spostiamo l’accento, il peso “dai forti motivi di preoccupazione”, come è scritto nel Manifesto, a quel “invigorire con intelligenza l’impegno” per…. Diamo un segnale positivo di impegno, piste su cui lavorare, progetti in attacco e non solo in difesa (per usare metafore abusate, a dire il vero.

Provo ad aggiungerne qualcuna oltre a ciò che è stato scritto nel manifesto

  1. il perseguimento coraggioso dell’uguaglianza, non solo delle condizioni di partenza ma anche sostanziale, perché le ingiustizie clamorose e la profonda differenza di condizioni di vita gridano il loro dolore verso Dio; ancor più in questi tempi di crisi dove la forbice se allargata e i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri più poveri;
  2. la necessaria e premura per la manutenzione costante e amorevole del creato, della terra (con tutto ciò che comporta nel mutamento degli stili di vita, nella qualità dello sviluppo e dell’impatto sull’ambiente), noi cattolici – pare scontato ma forse non lo è, o almeno non lo è politicamente -dovremmo a mio avviso sentire forte questa premura;
  3. la passione indomabile per la giustizia, globale e locale, tra i popoli e tra gli individui all’interno dei popoli, che nei fatti significa fare quelle scelte che puntano a far sì che tutti possano soddisfare l’esigenza di accedere in modo concreto e egualitario ai diritti.

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Intervento effettuato all'"Assemblea Nazionale di Agire Politicamente - 2011": “CATTOLICI DEMOCRATICI NELL’ITALIA DI OGGI”