UNA PEDAGOGIA DELLA FAMIGLIA

Intervento presso il «Seminario Agire Politicamente - Estate 2013, sul tema: “La famiglia, seminarium rei publicae ”»

  Alessia Bartolini - docente di pedagogia sociale, familiare e interculturale nell’Università di Perugia 

Santuario di Nostra Signora della Guardia – (Ceranesi - Genova), 25 agosto 2013 

Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse della pedagogia per le questioni familiari anche se il dibattito pedagogico familiare assume molteplici sfumature e ha caratteri di natura anche contraddittoria per cui da un lato c’e chi sostiene che l’educazione sia un processo spontaneo e naturale, accessibile a tutti i genitori, mentre la presenza negli scaffali delle librerie di tanti libri che affrontano il tema dell’educazione familiare e del parenting in generale rappresentano la risposta ad un bisogno sempre crescente delle famiglie di aiuti e sostegni educativi a causa di una molteplicità di fattori tra i quali, non da ultimo, il progressivo isolamento sociale che la famiglia nuclearizzata si trova a vivere e che genera, in molti, un senso di solitudine ma anche un senso di paura (paura di commettere errori) e di inadeguatezza rispetto al proprio ruolo genitoriale.

 

Diversi sono gli approcci e gli orientamenti di pensiero, per cui si va da veri e propri manuali d’uso del perfetto genitore che sciolinano ricette per essere “genitori efficaci”, “genitori perfetti”, riducendo così l’educazione familiare al mero esercizio di tecniche educative; a testi che, ricalcando l’andamento materialista della società, spiegano e presentano il mito dell’educazione che spinge al massimo le performance dei propri figli sia in termini di apprendimento scolastico che di successo nell’extrascuola. E’ il caso del libro di Amy Chua, docente di giurisprudenza a Yale, immigrata cinese in America, dal titolo “Il ruggito della mamma tigre”, nel quale presenta il modello educativo cinese, un modello che non contempla il fallimento dei propri figli, perché tutto imperniato sul successo, “perché è solo così che si genera il circolo virtuoso di sicurezza, duro lavoro e risultati sempre migliori”

I genitori, così, vestono i panni del personal trainer dei propri figli, attenti alla loro performance scolastiche e non solo, tanto da non farli respirare e sostituendosi a loro nelle decisioni che li riguardano in prima persona (quale lo sport preferito o lo strumento da suonare).

I figli, dal canto loro, divengono una sorta di possesso/proprietà dei propri genitori che, a loro volta, vivono attraverso i loro figli. E’ il mito dell’efficienza che aleggia nella nostra società che spinge, così, molti genitori ad un’adultizzazione precoce dell’infanzia, modellando la vita dei bambini su quella dei grandi anche perché nella società dove primeggia il paradigma dell’efficienza e dell’efficacia, “prima è meglio”, sempre. (Questo, e apro una breve parentesi perché non è questo il contesto in cui approfondire l’argomento, seppur sarebbe estremamente interessante, senza considerare gli effetti stressanti che può avere nella vita dei bambini e gli effetti che tante sollecitazioni possono avere sulla loro formazione identitaria).

La famiglia è la prima comunità educativa dei ragazzi, i genitori sono i loro primi educatori, l’educazione familiare non può essere questa, non può ridursi ad una corsa al successo. Credo sia importante in questo particolare momento il contributo della riflessione pedagogica perché la pedagogia familiare, in quanto scienza pedagogica e, quindi, scienza deontologica, può aiutare i genitori a riappropriarsi del loro ruolo educativo, sostenendoli nell’esercizio del loro “dovere educativo”.

Sì, esiste un diritto dei genitori di educare i propri figli che deve essere assolutamente salvaguardato, dalle istituzioni in primis, ma esiste anche un dovere essenziale, connesso con la trasmissione della vita, originale e primario rispetto agli altri enti educativi, e per questo insostituibile. Ce lo dice chiaramente l’articolo 30 della Carta Costituzionale, quando si legge “E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche nati fuori dal matrimonio…”. Al diritto dei figli di essere accompagnati dai genitori nel proprio processo di crescita corrisponde il dovere dei genitori di favorire questa crescita.

Due le derive educative da evitare: l’overparenting dell’autoritaria mamma tigre, ma anche l’eccessivo permissivismo, il ritenere che i figli possano crescere da soli. i genitori devono riappropriarsi della loro un’autorevolezza educativa in modo da poter accompagnare i figli: riconoscendo i loro bisogni, mettendo in luce le loro possibilità e liberando il loro spirito (è questo il senso proprio dell’educare che, nella duplice derivazione etimologica da educere ed educare, tiene insieme la dimensione soggettiva ed oggettiva dell’educazione, concepita sia come attività estrattiva di potenzialità che conduttiva dell’esistenza).

La famiglia, infatti, non è solo il luogo degli affetti ma anche il luogo delle responsabilità nei confronti sia del proprio partner che dei propri figli. Responsabilità è una parola chiave nel sistema familiare. Responsabilità in quanto essere in grado di rispondere ai bisogni e alle esigenze del proprio partner e dei propri figli, ma non solo. La responsabilità è da intendersi anche come la capacità di essere adeguati rispetto al proprio ruolo familiare, la capacità di portarlo avanti accettando le conseguenze delle proprie azioni. Trasposto all’essere familiare è questo esserci reciprocamente per l’altro, è il prendersi per mano e il darsi la mano, che è proprio della relazione di cura.

La crisi educativa nella famiglia, di cui tanto oggi si parla, è essenzialmente legata a una crisi di rico­noscimento, da parte degli adulti, del proprio dovere educativo, delle proprie responsabilità e, quindi, del proprio ruolo formativo, dell’im­portanza che i genitori possano costituirsi ed essere riconosciuti dai propri figli come modelli di vita e di comportamento virtuoso.

A differenza degli animali, infatti, la famiglia non si riproduce ma genera, dà forma umana, umanizzando ciò che da lei nasce e per questo ne è responsabile, per sempre, anche se l’amore con il coniuge dovesse finire (In questa direzione si è sviluppata anche la L. 56/2006 che, tra l’altro, ribadisce il concetto di bi-genitorialità).

Il contesto sociale non agevola questa funzione educativa. La famiglia del nuovo millennio si inserisce, infatti, nel processo di cambiamento epocale della società globale, e ne esce spesso disorientata.

I dati statistici ci dicono che: aumentano le separazioni e i divorzi; diminuiscono i matrimoni, soprattutto quelli religiosi; calano le nascite; prendono sempre più piede le convivenze; la famiglia tende a nuclearizzarsi sempre di più; vengono alla ribalta le famiglie monoparentali e quelle “allargate”. Tutto ciò a determinare un quadro sociologico estremamente complesso, che spinge i più a parlare non di famiglia al singolare ma di famiglie al plurale, ciascuna con bisogni educativi speciali.

Del resto non potrebbe essere diversamente perché la famiglia è una categoria sociale e, come tale, riflette i cambiamenti della società stessa, assumendone anche i caratteri di complessità.

Diversi sono gli aspetti della società che influenzano gli assetti familiari, le scelte educative e le condotte genitoriali:

A) il MATERIALISMO e il RAZIONALISMO. Stiamo evolvendo velocemente verso una dimensione sempre più materialistica dell’esistenza con il trionfo della dimensione tecnica e strumentale del vivere a discapito di quella più propriamente umana (emotiva, affettiva). Si esalta la ragione e tutti i suoi prodotti a discapito delle altre facoltà umane: sentimenti/emozioni/spiritualità/fede. Si sviluppa, quindi, un’antropologia che riduce l’uomo a un essere che ha dei bisogni - bisogni che possono essere soddisfatti con il possesso e con il consumo. L’uomo viene così oggettivato, quantificato, ridotto a merce e defraudato della sua dimensione spirituale, della sua capacità di infinito, della sua possibilità di trascendenza ma anche semplicemente della sua capacità di sognare.

Quest’attenzione RAZIONALISTICA e MATERIALISTICA al vivere pervade ogni ambito del vivere e ci è propria in ogni piccola azione che compiamo.

I sentimenti vengono così espulsi dall’educazione; il sentire è una ricchezza che è stata estromessa dal processo educativo, tanto che negli ultimi anni abbiamo affinato un’affettività elementare, tanto da far parlare di aduli e giovani analfabeti emotivi. Si ha perfino paura di parlare dei sentimenti, delle emozioni e le vita emotiva diviene un segreto. Ma non si può prescindere dai sentimenti. Sono i sentimenti che colorano e danno un senso all’esistenza. Occorre avere cura dei sentimenti anche in famiglia anche perché i sentimenti rappresentano non solo sguardi intelligenti sull’esistenza, ma sulla nostra stessa vita.

B) IL COMPETITIVISMO E LO SVILUPPO DELLA CULTURA INDIVIDUALISTICA, nella quale viene esasperato il diritto alla libertà di una persona. Il lato oscuro dell’individualismo, infatti, spinge una persona a incentrarsi solo su se stessa, allontanandosi  dagli altri e dalla società o, meglio, allontanando da sé tutti coloro che sono di intralcio alla loro autorealizzazione (FAMIGLIE CHILDFREE E LIVING APART TOGHER).

C) EDONISMO, per cui la ricerca del piacere e l’appagamento personale (piacere/soddisfacimento della libido/potere/autodirezione) sono all’apice dei valori, a scapito di valori quali la benevolenza, universalismo, altruismo…

Gli effetti di tutto questo sulle dinamiche familiari sono manifesti.

Innanzi tutto, l’individualismo che imprigiona l’uomo nella sua condizione privati­stica e l’incertezza, la precarietà sociale, non favoriscono l’assunzione di responsabilità familiari tali da elaborare un progetto d’amore a lungo termine, nei confronti del partner e dei figli. «La soggettivazione dell’esistenza, per cui l’individuo diventa misura della sua condotta, ha eroso i principali obiettivi su cui si fondava (la famiglia) ed ha introdotto una sorta d’indifferentismo ai valori di sempre». Non a caso si registra una crescente flessione della fertilità coniugale; un maggiore ricorso alla separazione e al divorzio; una più marcata diffusione della convivenza, della costituzione di famiglie mo­noparentali e ricomposte

Al tempo della società liquida, infatti, anche i rapporti in­terpersonali tendono a diventare liquidi, rifuggono al consolidamento e ai tempi lunghi, ed esaltano «la leggerezza, la velocità, nonché la novità e la varietà». Nella società del “prima è meglio”, del “tutto subito”, del “meglio un uovo oggi che una gallina domani”, si incrina la categoria ermeneutica della temporalità. La temporalità familiare viene tutta incentrata in un presente corto, senza iscriversi in un progetto di coppia di più am­pio respiro. Viene a cadere il senso della durata del rapporto sponsale e con esso quello della fedeltà che viene vista «fuori moda». Per dirla con Baumann «la razionalità liquido-moderna raccomanda mantelline leggere e aborre le gabbie di ferro».

È il trionfo del’ego e della libido! E in questa società non trovano spazio i vincoli o i legami, «né l’amore “finché morte non ci separi” perché tutti i rapporti sono finalizzati ad ottenere il massimo piacere possibile.

Ma la famiglia non può sopravvivere schiacciata nel presente. La famiglia è costituita da un IO e un TU che formano un NOI. Ha quindi bisogno di tempo, sufficientemente lungo perché questo noi possa formarsi e strutturarsi durante le varie fasi del ciclo di vita della famiglia stessa.

Non si dà famiglia, senza un progetto perché il progetto rappresenta la possibilità di aprirsi al futuro, al cambiamento. Come ogni progetto, anche quello familiare non si esaurisce nel presente ma, dall’hic et nunc, apre alla dimensione futuribile.

Il quadro presentato è certamente complesso tanto da rendere sempre più difficile parlare di educazione familiare.

E’complesso perché:

- Viviamo in una società che inevitabilmente ci influenza;

- richiede un’azione intenzionalmente educativa da parte dei genitori. L’educazione non è un pacchetto che si consegna ai propri figli, ma un lungo processo di rielaborazione personale, che passa soprattutto attraverso l’esempio. L’educazione non deve essere solo detta, ma deve essere agita. Sono gli atteggiamenti dei genitori che comunicano ai ragazzi una visione del mondo, gli suggeriscono una via di interpretazione e gli fanno capire che c’è un ordine da rispettare.

E’ quindi complesso educare perché l’educazione richiede ai genitori di essere coerenti, tra quello che dicono e quello che fanno. La  COERENZA è una parola magica in educazione perché permette di acquisire credibilità agli occhi dei figli. E’ difficile, però, oggi essere coerenti:

- perché circolano modelli esistenziali spesso contraddittori, anche grazie alle nuove tecnologie;

- perché la coerenza richiede ai genitori la dotazione di un’ARMATURA MORALE solida e condivisa da entrambi (coerenza e chiarezza nella trasmissione). I genitori, infatti, possono esigere condotte basate su rispetto/lealtà/ altruismo solo se con i propri figli avranno stabilito una relazione rispettosa/leale…

Del resto, proprio Maritain sosteneva che è nella famiglia che si possono sviluppare le principali virtù dell’uomo. E’ l’amore, secondo Maritain, la principale virtù della famiglia, come prototipo di ogni amore. Infatti, «per quanto serie possano essere le deficienze presentate in certi casi particolari dal gruppo familiare, per gravi che possano essere i turbamenti e le disgregazioni arrecate alla vita della famiglia dalle condizioni economiche e sociali dei nostri giorni, la natura delle cose non può cambiare […] Non solo gli esempi dei genitori e le regole di condotta da essi infuse […], ma anche, più in generale, le esperienze e le prove comuni, gli sforzi, le sofferenze, le speranze, le fatiche quo­tidiane della vita familiare e il quotidiano amore che cresce in mezzo agli schiaffi e ai baci; tutto ciò costituisce il normale apparato in cui i sentimenti e la volontà del fanciullo si formano naturalmente»

La famiglia è, quindi, palestra di virtù, pilastro fondamentale per costruire una società civile libera e democratica. Per questa sua natura, e chiudo, la famiglia può essere pensata anche come terreno fertile su cui coltivare anche la convivenza democratica tra le diverse culture. La famiglia non è un soggetto privato ma un soggetto sociale a tutto tondo. La responsabilità del sistema familiare può e deve estendersi anche alla società, promuovendo forme di solidarietà sociale per non sconfinare nel familismo amorale. Che cos’ è? Anche’esso è figlio dello spirito competitivo della società; è una tendenza per cui le famiglie, per massimizzare unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia, cercano di posizionare i figli ai livelli più elevati di opportunità. Rappresenta, pertanto, una modalità di relazione a-morale, perché priva di ethos comunitario, di senso di appartenenza. In tutte le azioni ciò che conta è il traguardo da raggiungere senza attenzione al come lo si raggiunge. Così scrive, Suzanne Evans, mamma blogger e autrice di un testo appena uscito in America, Machiavelli for moms, applicando all’educazione familiare la massima del Principe di Macchiavelli in base alla quale «nelle azioni di tutti gli uomini, e specialmente dei principi, si giudica sulla base dei risultati» .

Il prendersi cura che caratterizza le relazioni interne al sistema famiglia deve, invece, tradursi in un prendersi cura del mondo che siamo chiamati ad abitare, dando il nostro contributo originario.

Certamente, il fatto di vivere in una società multiculturale, richiede alla famiglia uno sforzo di apertura anche al pensiero plurale e divergente, in grado di acco­gliere, anche all’interno delle mura domestiche, la diversità.

La famiglia, può divenire il luogo privilegiato dell’educazio­ne interculturale, ma anche dell’educazione alla solidarietà e alla citta­dinanza attiva. E’ questa, ritengo, una delle sfide educative più interessanti e più impegnative dei nostri giorni, con cui la famiglia non può però non confrontarsi. È nella famiglia, infatti, dalle relazioni che si instaurano sia all’interno del nucleo sia con l’ambiente circostante, che ciascuno elabora, sin dalla più tenera età, un più o meno maturo senso di socialità, di ap­partenenza ma anche di apertura alla diversità.

La famiglia è una realtà generativa in quanto in grado di ospitare nel suo grembo l’altro, anche se marrone, giallo o nero. La famiglia è, quindi, una risorsa per l’umanità intera, è valore aggiunto, perché, come dice Donati, ha delle prestazioni sovra funzionali in quando generatrice di capitale umano e sociale non diversamente producibile; per questo va promossa.

 


 

Vedi dossier sul Seminario Agire Politicamente - Estate 2013, sul tema: “La famiglia, seminarium rei publicae

 

Vedi: Seminari di Agire Politicamente - estate 2013

 

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