La clausola matteana “nisi fornicationis causa

Intervento presso il «Seminario Agire Politicamente - Estate 2013, sul tema: “La famiglia, seminarium rei publicae ”»

Mons. Angelo Battista Pansa – Biblista e Parroco

Santuario di Nostra Signora della Guardia – (Ceranesi - Genova), 25 agosto 2013

1 - “In principio”: il disegno di Dio sul matrimonio

La polemica con i Farisei sulla questione del ripudio permette a Matteo e Marco di introdurre un testo importantissimo per trasmetterci il messaggio del Signore sul matrimonio.

La legge di Mosè aveva regolato l’istituto del ripudio ordinando al marito che volesse ripudiare la moglie di darle un atto o libello di ripudio (Deut 24, 1-4). La motivazione che giustificava il ripudio era espressa in modo molto generico:  “Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che ella non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato il lei qualche cosa di vergognoso (‘erwat dabar), scriva per lei un libello di ripudio (Deut 24, 1; traduzione CEI).

Le tradizione giuridica ebraica, nel tentativo specificare il senso dell’‘erwat dabar, aveva sviluppato due tendenze, una rigorista e una lassista. La tendenza rigorista, rappresentata ai tempi di Gesù da rabbi Shammai, ammetteva il ripudio solo per gravi disordini morali della moglie, come per esempio l’adulterio. La tendenza lassista era rappresentata da rabbi Hillel che riteneva motivo di divorzio qualsiasi cosa nella moglie che risultasse spiacevole per il marito (es. essere una cattiva donna di casa) e da rabbi Aqiba che pensava fosse sufficiente l’aver trovato una moglie più bella[1].  In Mt 19 Si chiede pertanto a Gesù di esprimere il suo parere: “È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo (katà pâsan aitìan)? ”[2].

Nella prospettiva di una giustizia superiore e della perfezione evangelica, Gesù, volgendo lo sguardo agli inizi della creazione e al progetto di Dio sul matrimonio, dichiara superata la concessione mosaica del ripudio e fonda saldamente il suo insegnamento richiamandosi ad altri due testi mosaici del libro della Genesi, dal cui accostamento emerge sia il significato sponsale della sessualità umana, sia l’indissolubilità naturale dal patto coniugale:

Il Creatore da principio “li creò maschio e femmina” (Gen 1, 27) e disse: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola” (Gen 2, 24) (Mt 19, 4-6; Mc 10, 6-8).

Gesù conclude il suo midrash in forma di halahka in modo perentorio: “Quello dunque che Dio ha congiunto l’uomo non separi”.

Egli infine spiega la norma mosaica come una semplice concessione e non come un ordine (notare la dialettica fra l’enetéilato, “ordinò”, dei farisei e l’epètrepsen, “concesse”, di Gesù in Mt 19, 7-8a). La concessione non è motivata da una considerazione misericordiosa della fragilità umana, ma dall’amara constatazione della durezza di cuore, della sklerokardìa di Israele: il ripudio non fa parte del disegno di Dio sul matrimonio, ma Israele, ostinatamente chiuso alle esigenze dell’autentica volontà divina, non poteva comprenderlo. Gesù - come si legge in Familiaris Consortio - “rivela la verità originaria del matrimonio, la verità del principio e, liberando l’uomo dalla durezza del cuore, lo rende capace di realizzarla interamente”

2 -  Il logion del ripudio

La condanna del ripudio torna varie volte, sia nei Sinottici sia in Paolo, appoggiandosi su un logion del Signore che si presenta in forme leggermente diverse[3].

In Marco 10, 11b-12 (da confrontare con i paralleli Mt 5, 31-32; 19, 9), la disputa con i Farisei sul ripudio si conclude con il logion rivolto ai discepoli:

Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio.

Si dichiara così la proibizione assoluta del divorzio tanto per il marito come per la moglie. La reciprocità, incomprensibile per la mentalità giudaica, si giustifica alla luce del costume vigente nel mondo greco-romano, cui si rivolge Marco.  Si può mettere in parallelo questo insegnamento con quanto prescrive Paolo in 1 Cor 7, 10-11, appellandosi all’autorità del Signore:

Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito -e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito- e il marito non ripudi la moglie.

Luca 16, 18 detta due regole che riflettono più da vicino l’ambiente e la prassi giudaica:

Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata dal marito commette adulterio.

a. Le clausole matteane

Confrontando i testi di Marco, Luca e Paolo con i paralleli di Matteo salta agli occhi una differenza: mentre Marco, Luca e Paolo proclamano l’illiceità del ripudio in modo incondizionato, Matteo introduce nel logion quelle che sono convenzionalmente chiamate le eccezioni o clausole matteane, ovvero degli incisi che sembrano contenere eccezioni al rifiuto del ripudio o, per dirla con linguaggio successivo, eccezioni al principio dell'indissolubilità.

In Mt 5, 31-32, nel contesto del Discorso della montagna, troviamo il nostro logion in una delle antitesi fra vecchia e nuova giustizia:

Fu pure detto: "Chi ripudia la propria moglie le dia l’atto di ripudio" (Deut 24, 1); ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di impudicizia (parektòs lògou pornèias; Vulgata: “excepta fornicationis causa”) la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata commette adulterio.

In Mt 19, 9, la disputa con i Farisei viene suggellata dal detto rivolto ai Farisei stessi:

Perciò vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di impudicizia (mé epì pornèias, Vulgata: “nisi ob fornicationem”) e ne sposa un’altra commette adulterio e chi sposa una ripudiata commette adulterio.

Che cosa vogliono dire questi testi? Davvero il Signore Gesù ammette eccezioni all'indissolubilità del matrimonio? Fiumi di inchiostro sono stati versati senza trovare una soluzione soddisfacentee al di sopra di ogni contestazione o dubbio[4].

b. Analisi dei termini

Prima di passare all’interpretazione globale degli incisi, occorre ovviamente studiare il significato di ciascuna espressione: apolyèin, pornèia, parektòs e me epì. Lo studio dei termini non conduce – come si vedrà - a conclusioni definitive sul possibile significato ed estensione delle clausole matteane, ma permette di dare un fondamento più o meno plausibile dal punto di vista filologico alle diverse soluzione elaborate dagli antichi e e dai moderni. 

* apolyèin

Questo verbo può significare sia la rescissione definitiva del vincolo (ripudio/divorzio), sia la semplice separatio a mensa et toro.

* pornèia

È un termine molto generico che ha ricevuto diversi significati[5] .

Nei LXX pornèia traduce di solito l’ebraico zenût termine che designa diverse situazioni di disordine sessuale e in particolare la prostituzione e la fornicazione, anche in riferimento alla infedeltà religiosa e, più raramente, l’adulterio (cfr. Eccl 23, 23), le unioni proibite e i matrimoni misti (cfr. Tobia 4, 12).

Nella letteratura intertestamentaria, come nel Documento di Damasco, zenût indica le nozze poligame, le nozze dopo il ripudio della moglie legittima e le unioni illecite per affinità. Analogamente anche nel Nuovo Testamento pornèia può indicare unioni incestuose per affinità (1 Cor 5, 1; cfr. 1 Tess 4,3) o altre unioni proibite in base alla legislazione giudaica (At 15, 20-29; 21, 25).

Negli incisi matteani la pornèia potrebbe quindi indicare una qualsiasi immoralità o fornicazione della moglie o, più precisamente, la prostituzione o l’adulterio da parte della moglie (anche se ci si aspetterebbe il greco moicheia) o, addirittura, una immoralità prematrimoniale che risulta in mancanza di verginità della sposa.  Altri, invece, pensano ad una unione illegittima per un qualche motivo.

* parektòs / mé epì

Il senso ovvio delle particelle è quello esclusivo o eccettuativo, anche se c’è chi ha sostenuto, almeno per mé epì, la possibilità di un senso inclusivo (anche, persino) o anche preteritivo (a prescindere da ...).

c. Le soluzioni possibili

Le interpretazioni principali degli incisi matteani possono essere raggruppate secondo due fondamentali linee di tendenza.

·         Alcuni leggono i testi di Matteo alla luce degli altri sinottici, tentando di riportarli a Luca e a Marco e dunque all'assoluta indissolubilità e negano, pertanto, l’eccezione dando alle particelle significato inclusivo o preteritivo, oppure riducono la portata dell’eccezione, considerandola più apparente che reale.

·         Altri ritengono si tratti di una eccezione vera e propria alla indissolubilità  e ritengono che pornèia indichi un comportamento (della donna) in forza del quale è possibile il divorzio.

* Non è eccezione o è eccezione apparente

Per coloro che attribuiscono alle particelle un significato preteritivo, Gesù tralascerebbe volontariamente di prendere in esame il caso di pornèia, quasi serbandolo per altra circostanza, come se dicesse: "della pornèia parlerò in altra circostanza"[6]. Per coloro che propongono di interpretare le particelle mé epì e parektòs come inclusive (cioè inclusa la pornèia), Gesù proibirebbe il divorzio anche nel caso di pornèia[7].

Nella soluzione latina tradizionale si dà ad apolyèin il senso di “separazione” e non di “ripudio” o di “divorzio”: non si tratta dunque di una eccezione alla indissolubilità, ma la concessione della separazione senza la facoltà di accedere a seconde nozze, in certi casi di grave disordine morale del coniuge, secondo la prassi indicata da Paolo in 1 Cor 7, 10. Si ammette il valore eccettuativo delle particelle, ma viene riferito alle cause di separazione: “chi si separa, (cosa proibita) se non in caso di pornèia, espone la donna all’adulterio”.

E’ un’ipotesi esegetica antica e da essa dipende la prassi latina della separatio a mensa et toro senza possibilità di accedere a seconde nozze. Fu sostenuta da san Girolamo e, nel corso del tempo, da altri autori fra i quali san Tommaso d’Aquino, Maldonado, Cornelio a Lapide, Innitzer, Knabenbauer, Lagrange (solo per Mt 19,9) e più recentemente J. Dupont[8].

Si muove nella linea dell’eccezione apparente una soluzione esegetica moderna il cui cardine sta nell’attribuire a pornèia il senso di “concubinato” o “unione illegittima”, un senso, come si è visto, ben attestato non solo nel Nuovo Testamento, ma anche nella letteratura intertestamentaria (perciò può essere definita giudaizzante o  rabbinica perché ispirata all’ambiente giudaico e al linguaggio rabbinico). La pornèia non sarebbe dunque un difetto morale manifestato dalla donna, ma di una condizione irregolare della coppia, un difetto . Le particelle che introducono gli incisi hanno valore eccettuativo e apolyèin indica un divorzio o separazione definitiva e totale, ma l’indissolubilità matrimoniale non è messa in discussione: non ci si può separare mai, tranne nel caso di una unione illegittima (che però non è un vero matrimonio).

Questa tesi è stata difesa nel 1954 dal cattolico J. Bonsirven il quale sostiene che nelle clausole matteane pornèia sta per matrimonio nullo, falso, invalido o in qualche modo irregolare (uno pseudomatrimonio). Nel 1967 è stata ripresa e precisata dal protestante H. Baltensweiler il quale sostiene che le clausole sono dei ritocchi matteani per escludere dalla comunità cristiana alcuni matrimoni proibiti per affinità secondo Lev 18, 6 ss e ammessi invece dal Diritto romano[9]. In tal modo la Chiesa avrebbe dettato regole più severe di quelle previste dai rabbini per i proseliti che si convertivano dal paganesimo, analogamente alle disposizioni del Concilio di Gerusalemme.

L’ipotesi più antica, che ha influenzato la disciplina canonica della Chiesa ortodossa, è che la pornèia indichi l’adulterio della donna. Questa interpretazione si è diffusa in tempi recenti fra gli esegeti, sia ortodossi sia protestanti, ma ultimamente si presenta anche in alcuni cattolici, l’idea che il motivo della eccezione possa un qualsiasi disordine morale della moglie[10].

In base a questa interpretazione si riconosce che l’indissolubilità del matrimonio rappresenti la norma generale del cristiano, ma si ammette l’esistenza di casi particolari che la Chiesa può risolvere con indulgenza legittimando il passaggio a seconde nozze.

Senza pretendere di intervenire in una questione esegetica tanto delicata e gravida di ripercussioni sulla disciplina matrimoniale, possiamo tentare un bilancio dello stato attuale della discussione.

Le soluzioni preteritive ed inclusive, benché sostenute da autorevoli teologi ed esegeti sia antichi sia moderni, non sono mai state prevalenti e stanno perdendo sempre più terreno.

Restano quindi come più valide tre posizioni: rabbinica, latina, orientale.

Un buon numero di studiosi, cattolici e non, utilizza l'ipotesi esegetica moderna secondo la quale pornèia significhi un'unione matrimoniale non legittima e, quindi, invalida, anche se è strano che i Padri abbiano ignorato una tale interpretazione. A tale ipotesi, per il suo carattere conciliante, si rifanno anche molte traduzioni sia ecumeniche sia ufficiali e liturgiche, inclusa la versione della CEI[11].

Conservano il loro valore, anche per il loro collegamento con la disciplina delle diverse Chiese, le due ipotesi tradizionali, quella latina della semplice separazione e quella orientale della vera eccezione in certi casi e “non è senza vantaggio - annota L. Ligier- che le ricerche esegetiche ci costringano a stare attenti all’importanza delle posizioni ecclesiastiche”[12].

Comunque si risolva il problema del significato e del valore delle clausole matteane, bisogna ricordare che, se si collocano le parole del Signore nel loro contesto, all'interno cioè del richiamo (implicito in Mt 5, 31-32 ed esplicito in Mt l9, 3ss) al progetto originario di Dio sull'uomo e sulla donna, appare chiaro che il Signore pensa a un'unione definitiva e, secondo il piano divino, indissolubile. Nel tempo della Chiesa, ferma restando la misericordia per la fragilità umana, non può mancare una tensione costante di fedeltà alla volontà vera e originaria di Dio.

Prima di concludere queste considerazioni sulle eccezioni matteane si deve aggiungere qualcosa sulla questione dei ritocchi matteani. Molti autori affermano infatti che le eccezioni sono interventi del Redattore in risposta a particolari situazioni della sua comunità o delle comunità alle quali rivolgeva il suo Vangelo, per cui le parole del Signore sarebbero interpretate nella luce di tali situazioni. Questa operazione è del tutto possibile e non deve suscitare reazioni di scandalo: si tratta dello sforzo dell’Evangelizzatore di comunicare le parole del Signore in modo che il loro senso sia adeguatamente compreso, anche all'interno di contesti assai diversi da quelli per i quali esse furono all'inizio pronunciate.


Vedi dossier sul Seminario Agire Politicamente - Estate 2013, sul tema: “La famiglia, seminarium rei publicae

Vedi: Seminari di Agire Politicamente - estate 2013

Vedi dossier: Agire Politicamente: i seminari


[1]Cfr. STRACK-BILLERBECK, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch, vol. 1, 303-320; TOSATO A., o. c., 28-39.

[2]Mentre in Marco si chiede se Gesù è d’accordo con la legge di Mosè e questa è chiaramente una “prova”, in Matteo non si vede dove sia la prova: era prevedibile che, visto l’orientamento rigoroso dell’insegnamento di Gesù, egli avrebbe sostenuto una tendenza più stretta come facevano anche i Farisei. Forse il contesto narrativo serve soltanto per introdurre il logion sul ripudio o l’espressione pâs va intesa come tìs, qualche motivo. I Farisei chiedono per quale motivo, in base alla Legge, si può divorziare e Gesù replica, oltrepassando le esigenze della Legge, per nessun motivo.

[3]Sul problema delle interpretazioni e reinterpretazioni delle norme all’interno del Nuovo Testamento vedere: SEGALLA G., Introduzione all’etica biblica del Nuovo Testamento, Brescia 1989, 231-238 (soprattutto p. 232).

[4]Indichiamo qualche studio più accessibile: DACQUINO P., Storia del matrimonio cristiano alla luce della Bibbia, vol. 2, Leumann (To) 1988; LIGIER L., Il matrimonio. questioni teologiche e pastorali, Roma 1988, 161-183; MARUCCI C., Parole di Gesù sul divorzio. Ricerche scritturistiche previe ad un ripensamento teologico, canonistico e pastorale della dottrina cattolica dell’indissolubilità del matrimonio, Napoli 1982; STRAMARE T., Matteo divorzista? Studio su Mt 5, 32 e 19, 9, Brescia 1986; ID., Il "Supplément au Dictionnaire de la Bible" e le clausole matteane sul divorzio, “Divinitas” 39 (1995), 269-273.

[5]Cfr. CROUZEL H., Le sens de ‘porneia’ dans les incises matthéennes, "Nouvelle Revue Théologique" 110 (1988), 903-910; MALINA B., Does Porneia Mean Fornication?, "Novum Testamentum" 14 (1972), 10-17; MARUCCI C., Parole, 274-275.

[6] È stata sostenuta nel corso della storia da Agostino (almeno in un primo tempo), Gaetano, Bellarmino, Zahn, Staab (solo per Mt 5,32), Lagrange (solo per Mt 5, 32), Vawter, Lohmeyer, Benoit (solo Mt 19, 9).

[7] Tra gli autori che sono riconducibili a tale tesi: Ott, Fisher, Vogt, Zerwick, ma anche Brunec e Holzmeister.

[8]DUPONT J., Mariage et divorce dans l’Evangile. Matthieu 19, 3-12 et parallèles, Bruges 1959.

[9]Cfr. BALTENSWEILER H., Il matrimonio nel Nuovo Testamento. Ricerche esegetiche su matrimonio, celibato e divorzio, Brescia 1981 (orig. 1967).

[10]Ricordiamo fra gli esegeti cattolici che ammettono l’esistenza di una vera eccezione alla indissolubilità Moingt, Sand, Hoffmann, Schierse, Gnilka, Pesch, Schneider, Wijngaards, Vattioni, Descamps, Bauer, Marucci. Cfr. MARUCCI C., Parole , 400 ss.

[11]Nella Bibbia CEI per l’uso liturgico a Mt 5, 32, si legge: “Chi ripudia la propria moglie- eccetto il caso di concubinato- ”, mentre a Mt 19, 9: “Chiunque ripudia la propria moglie - se non in caso di concubinato - ”.

[12]LIGIER L., Il matrimonio, 164.