Il Premierato

I rischi per il Parlamento e per il Presidente della Repubblica

di Pietro Pergolari
 

10 Gennaio 2024

La proposta del premierato in Italia non è una invenzione del governo Meloni. Anche nel passato è stata una tentazione forte dei politici sia di destra che di sinistra. Anche oggi, anche nel centrosinistra, c’è chi ritiene necessario, difronte ad altri leader ed esecutivi dotati di poteri più rilevanti, dare anche in Italia stabilità e competenze al Premier, che sia in grado di decidere e di farlo tempestivamente.

Si può ricordare la proposta, elaborata dalla commissione bicamerale del 1997 voluta da Massimo D’Alema, recepita nel testo presentato da senatori di centro-sinistra (Tonini ed altri) e del centro-destra (Malan e altri), che fu approvata in prima lettura nel 2004 al Senato.

Ci sono state altre proposte, come quella che Matteo Renzi rispolverò (l’aveva inventata Mario Segni qualche decennio prima) con “il sindaco d’Italia”, come se l’Italia fosse un comune, senza alcuna differenza di dimensioni, problemi e competenze. 

Secondo la proposta presentata dal governo attuale il Presidente del consiglio, eletto a suffragio universale, godrebbe di una maggioranza automaticamente quantificata al 55% dei componenti delle camere. Non è prevista alcuna soglia minima di voti da conseguire per ottenere tale maggioranza e quindi si può osservare che, qualora fossero in corsa quattro candidati e tre ottenessero ciascuno il 15% o meno, il candidato che raggiungesse, con i suoi candidati, il 16 % otterrebbe il 55% dei parlamentari.

E’ evidente che le liste collegate al Premier eletto in questo modo otterrebbero un numero di rappresentanti molto più rilevante di quanto loro spetterebbe in proporzione alla stretta consistenza.

Se il governo proposto dall’eletto non ottenesse per due volte la fiducia si avrebbe lo scioglimento delle camere.

Qualora il Premier rassegnasse le dimissioni potrebbe comunque essere di nuovo incaricato di formare il governo e l’unica alternativa a disposizione del Presidente della Repubblica sarebbe quella di incaricare un parlamentare della stessa maggioranza per attuare l’indirizzo politico e gli impegni programmatici del governo dell’eletto. Se anche in tal caso non fosse accordata la fiducia è previsto lo scioglimento delle camere.

Quella sopraindicata è forse l’unico potere residuo del Presidente della Repubblica; in ogni caso in cui sia previsto lo scioglimento delle camere le scelte sarebbero sempre predeterminate; il Presidente non avrebbe, per esempio, la possibilità di verificare se nel Parlamento esista una maggioranza diversa con un candidato diverso; non avrebbe naturalmente nemmeno il potere di esercitare il ruolo di arbitro per le situazioni di difficoltà di cui attualmente dispone.

Il Parlamento sarebbe fortemente condizionato dalla volontà del Premier e in ogni caso dominato da una minoranza, automaticamente accresciuta a maggioranza assoluta; tra l’altro, per il futuro, l’elezione del Presidente della Repubblica sarebbe facilmente in mano a questa maggioranza.

Per tutto ciò è difficile affermare che il popolo avrebbe un ruolo maggiore nelle scelte politiche dello Stato; l’unico potere reale sarebbe quello del voto ogni 5 anni.

C’è comunque da riflettere anche su quanto resti, nella prassi o per modifiche normative introdotte nel tempo in Italia, del principio della divisione dei poteri, posto alla base di ogni sistema costituzionale democratico moderno, che non dovrebbe permettere a ciascuno dei poteri dello Stato, legislativo, governativo, giudiziario, di invadere la competenza degli altri.

Si pensi all’abuso dei decreti legge: sono previsti per casi di eccezionale urgenza e sono divenuti negli anni strumento di intervento ordinario (pare che il governo attuale abbia ottenuto un record in materia: più di quaranta decreti legge in un anno, da ultimo sembra 9 ogni mese) persino in materia penale. Si aggiunga l’abuso dei voti di fiducia sempre più diffuso, si pensi all’uso dei regolamenti delle camere sopravvenuti a permettere che il governo resti praticamente l’unico soggetto capace di iniziativa legislativa, e anche all’abuso dello strumento della legge non più considerata norma generale ed astratta ma strumento usato spesso per casi particolari.

Nel frattempo non si è provveduto all’approvazione di uno statuto dell’opposizione; si pensi a quanto avvenuto sul salario minimo: una proposta dell’opposizione diventata oggetto di delega al governo che provvederà secondo i suoi convincimenti, senza un confronto in aula che raccolga il contributo di tutti per una scelta che nella storia ha visto pareri positivi di autorevoli esponenti sia di destra che di sinistra, dato che riguarda anche esigenze di base per una buona convivenza.

Non si è provveduto a modificare la legge elettorale che non permette ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento.

Anche senza riforme attualmente il governo e il suo Presidente continuano quindi, da qualche anno, a disporre di strumenti che accumulano potere; forse si potrebbe suggerire di correggere l’andamento registrato ma si tende invece a consacrare una volta per tutte una riforma accentratrice che li legittimi e li accresca.

In un ordinamento che tenda ai fondamenti della democrazia gli organi collegiali come il Parlamento sono tali per permettere che l’interesse generale sia perseguito con il contributo del maggior numero possibile di proposte che abbiano un minimo di consenso.

Naturalmente poi chi riuscisse a formare un governo opererebbe legittimamente con l’indirizzo politico che la sua maggioranza indicasse come migliore visione dell’interesse pubblico, ma potrebbe ritenersi utile anche giovarsi del contributo fornito dalla minoranza; può esserci del positivo nel contributo di tutti.

Io credo che le riforme, soprattutto quelle che propongono l’uomo forte, siano una tentazione che emerge sempre quando non si dispone di proposte politiche convincenti; si preferisce immaginare che l’uomo solo al comando, possa far miracoli.

Se si ritenesse proprio necessario, come ormai sembrano convinti molti, di intervenire in qualche modo, esistono esempi di sistemi di governo con competenze importanti che non compromettono il principio della collegialità, la divisione dei poteri e il metodo dei pesi e contrappesi.

Si pensi al sistema tedesco, ricordato da Graziano Del Rio nel convegno da ultimo illustrato particolareggiatamente da Alvaro Bucci, che garantisce rappresentanza a tutti i gruppi che abbiano un minimo di consistenza (5%), continuità e poteri rilevanti al Cancelliere, che può essere rimosso solo quando la camera competente gli voti la sfiducia eleggendo un suo successore.