A CESARE QUEL CHE È DI CESARE

Domenico Rogante

26 Giugno 2021

Nella mia nota pubblicata l’11 Maggio per questa rubrica, esprimevo la mia amarezza per un dibattito pubblico non all’altezza del delicato tema che si stava affrontando. A settimane di distanza, la discussione intorno alla legge contro la transomofobia, ha assunto caratteri inediti e inaspettati che rischiano di inasprire ulteriormente il clima intorno a questo provvedimento.

Ha suscitato parecchio clamore il fatto che il Segretario di Stato del Vaticano abbia espresso, attraverso una nota verbale formale, delle perplessità riguardo il disegno di legge Zan, paventando la violazione dell’Accordo di Villa Madama del 1984.

Prima di entrare nel merito, è bene chiarire che la Chiesa ha tutto il diritto di porre delle questioni riguardanti temi etici e religiosamente sensibili, tanti sono i precedenti storici. Questa volta però, inviando la nota all’ambasciata italiana presso la Santa Sede e facendo riferimento al Concordato del 1984, di fatto sceglie di intervenire nel dibattito pubblico attraverso un canale diplomatico ufficiale, che quindi va molto oltre la normale moral suasion. La vicenda assume una valenza straordinaria in quanto sembra sia la prima volta che la Segreteria di Stato Vaticana chieda attraverso una nota formale di modificare una proposta di legge, nel pieno del dibattito parlamentare.

Entrando nel merito delle questioni sollevate dalla Santa sede, le criticità che vengono espresse sono essenzialmente legate al rischio che la legge in questione danneggi la piena libertà della Chiesa e dei cattolici, tutelata appunto dal Concordato. Su questo punto rimando alla lettura della mia nota dell’11 Maggio “Legge Zan, un’opportunità da non perdere”, in più aggiungo che qualora questi timori espressi dalla Santa Sede, condivisi in verità nelle scorse settimane anche da illustri costituzionalisti, fossero fondati, vorrebbe dire che questo disegno di legge sarebbe incostituzionale, pertanto verrebbe rigettato dal Presidente della Repubblica e dalla Corte Costituzionale. Infatti, come ha ricordato ieri Draghi: “Il nostro ordinamento contiene tutte le garanzie per assicurare che le leggi rispettino sempre i principi costituzionali e gli impegni internazionali, tra cui il Concordato con la chiesa.”

Ad onore del vero, è bene anche sottolineare che rispetto alle anticipazioni giornalistiche, nella nota verbale della Santa Sede non vi è alcun cenno alla mancata esenzione delle scuole private dall’organizzare attività in occasione della istituenda Giornata nazionale contro la transomofobia.

La sensazione che si ha nell’analizzare questa vicenda è che il Vaticano abbia avallato questa soluzione diplomatica come strumento di mediazione per provare a tenere a bada le forti pressioni provenienti dall’ala conservatrice del clero e per evitare “fughe in avanti” di alcuni vescovi che avrebbero segnato maggiormente le spaccature già presenti nella curia. D’altronde, non si può dimenticare la polemica che nacque intorno al ddl Bindi sui “DICO”, quando il Card. Ruini minacciò la scomunica per tutti i parlamentari cattolici che avessero votato a favore di quel provvedimento. La mossa della Santa Sede di far leva sul Concordato rischia tuttavia di essere controproducente in quanto non si comprende in che modo il ddl Zan possa ledere un diritto della Chiesa, come afferma mons. Paglia che ritiene la lettera “infondata nel merito”.

L’auspicio è che questo intervento della Santa Sede, se pur espresso con modi opinabili, possa servire ad elevare il livello della discussione e ispirare una riflessione che porti a superare eventuali ambiguità nel testo e a ridurre al massimo la discrezionalità del giudice nel determinare “il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti.” (art.4 del ddl), per evitare che il dibattito, già abbondantemente strumentalizzato, travalichi il confine del merito rispolverando questioni che nulla c'entrano con il tema in discussione.