La scommessa cattolica

Alvaro Bucci

28/8/2020

Nel libro “La scommessa cattolica”, scritto a quattro mani, Mauro Magatti e Chiara Giaccardi, entrambi sociologi, sposi e genitori di sette figli, cinque naturali e due adottati, si chiedono, come anche riportato in copertina, se c’è ancora un nesso tra il destino delle nostre società e le vicende del cristianesimo.

Nel rispondere a tale interrogativo i due sociologi, affrontando vari aspetti, intrecciano analisi ed indicazioni volte a delineare un rapporto proficuo tra modernità e fede cristiana.

Da una parte c’è la modernità in cui “di Dio sembra proprio non sentirsi la necessità”, in cui “nelle promesse di un progresso della scienza, della tecnica, dell’economia si ripongono ormai tutte le speranze di salvezza”, in cui “la modernizzazione capitalistica immagina di poter fare a meno sia della politica sia della religione”.

Dall’altra, una Chiesa cattolica che registra un crollo della partecipazione religiosa nelle società più avanzate, difficoltà particolarmente forti tra i giovani e i ceti più istruiti, sensibile riduzione delle vocazioni, la perdita di reputazione causata dagli scandali finanziari e dagli abusi sessuali. Si aggiungano le questioni riguardanti la struttura organizzativa che appare inadatta a stare al passo con un mondo diventato veloce e plurale, nonché il problema del linguaggio: “le liturgie sono verbose e stanche, le parole pronunciate troppo spesso lontane e impermeabili alla vita”.

Alla luce di tali analisi, abbastanza realistiche, appare arduo ristabilire una proficua relazione tra queste due realtà. Per cui, in altri termini, appare difficile rispondere alla domanda se ci sia ancora spazio per la “buona novella” nel mondo di oggi.

Nelle pagine del libro, Magatti e Giaccardi s’interrogano sulla relazione tra modernità e fede cristiana nella convinzione che, se si immaginasse fuori dalla modernità “la fede cristiana finirebbe in una regressione che la emarginerebbe dalla storia”; ma che è altrettanto vero che “una modernità che smettesse di dialogare con lo spirito cristiano finirebbe per essere risucchiata da esiti antiumanistici”.

L’affidamento dei due sociologi nel ruolo del cristianesimo e nella sua capacità di ripresa appare evidenziato nel paragrafo “Cristianesimo e futuro della modernità” dove viene riportato il pensiero del teologo italotedesco Guardini, secondo il quale il cristianesimo ha ancora le risorse per giocare un ruolo importante nella storia di una modernità a rischio di venire intrappolata  nella “gabbia d’acciaio” che lei stessa tende a costruire.

“Specialisti senza spirito, gaudenti senza cuore”, “Capitalismo senza cristianesimo”, “La proposta di una democrazia illiberale”, “Fede come adesione”, “Fede come affidamento”, “La religione come fatto pubblico”, “Chiesa istituzione, Chiesa istituente”, “Una Chiesa popolare”, “La scommessa della concretezza”, “Il rapporto con le altre Chiese cristiane e la sfida antropologica”, sono solo alcune delle questioni che vengono affrontate nei quattro capitoli in cui si articola il testo. Riflessioni interessanti, di cui però resta l’impossibilità di riferire, anche in estrema sintesi, attraverso questo scritto.

Mi limito tuttavia, concludendo, a riportare una significativa sequenza di osservazioni dei due sociologi secondo cui “Mai come oggi la Chiesa ha bisogno di fede. Come affidamento e non come adesione. Senza farsi prendere dalla paura, imparando a muovere per prima, come istituzione, quel passo non assicurato che costituisce la vera questione del credere. E’ nella capacità di rigenerare la propria logica istituzionale che si gioca il futuro della Chiesa” tenendo conto che “lo spirito soffia laddove l’eccedenza della vita, annunciata dal Vangelo, riesce a trovare le sue vie”. E che “la Chiesa come istituzione è necessaria per la capacità della fede di attraversare il tempo”,  ma “l’istituzione deve sempre ricordare a se stessa che esiste per permettere alla fede (cioè al movimento dell’affidarsi) di potersi incarnare nella dinamica della vita personale e collettiva”.