Uno scenario aperto a rischiose differenze

di Giovanni Pizzi

15 Giugno 2024

I nostri Padri Costituenti affrontarono il compito di definire il futuro assetto costituzionale animati dalla volontà di superare una terribile esperienza storica, consapevoli di dover trovare una sintesi tra le visioni sociali, politiche ed economiche differentemente vissute da chi aveva comunemente lottato per aprire un futuro diverso, carico di speranza e di pace ed orientato alla partecipazione di tutti i cittadini, finalmente resi protagonisti della vita sociale.

Il compito non era banale: fu condivisa la proposta di chi invitò l’Assemblea Costituente ad appellarsi ad uno Spirito Superiore per propiziare l’unanime collaborazione e il perseguimento dei migliori risultati.

Oggi, nulla di tutto questo appare sulla scena parlamentare e governativa che, improvvisamente, propone di attuare significative variazioni al testo costituzionale.

In predicato sono proposte tre iniziative, rispettivamente rivolte a dare maggior stabilità alla vita dei percorsi governativi; ad imprimere nuove regole nella distribuzione di ruoli nel campo della Giustizia; ad ampliare la possibilità di trasferire poteri statuali alle Regioni che desiderassero operare con maggior autonomia operativa ed economica.

Oggi, certo, manca quella condizione di severo giudizio che richiedeva un rifiuto del passato; non mancano invece possibilità di riflessioni sul cammino percorso, sulle difficoltà incontrate, sui differenti progressi compiuti nelle diverse aree del Paese sulla qualità di partecipazione dei cittadini e dei loro delegati a rappresentarli. Ma, a fronte di questi aspetti, vediamo proporre rimedi e modalità sospetti.

La stabilità governativa viene proposta come rafforzamento della figura del Premier governativo, eletto direttamente dal popolo con conseguente attenuazione dell’autorità del Parlamento e della funzione di garanzia esercitata dal Presidente della Repubblica, compromettendo le condizioni di equilibrio tra i poteri in uno stato democratico; riguardo al potere giudiziario si prospettano provvedimenti che sembrano voler depotenziare l’azione dei magistrati; in ultimo, il progetto di “autonomia differenziata” apre a fratture tra le aree del Paese. Il tutto – è il dato che più preoccupa – in ossequio a singole, disarticolate, proposte-bandiera delle tre componenti politiche che reggono l’attuale coalizione governativa.

In questo quadro, che meriterebbe maggiore attenzione alle osservazioni critiche di esperti del diritto e portatori di genuina sapienza, cogliamo anche le preoccupazioni della CEI, il Consiglio Episcopale Permanente del nostro paese che, il 22 maggio scorso, si è espresso sulle modalità di attuazione dell’”autonomia differenziata” delle Regioni a statuto ordinario con preoccupate affermazioni: «Il Paese non crescerà se non insieme. Questa convinzione ha accompagnato, nel corso dei decenni, il dovere e la volontà della Chiesa di essere presente e solidale in ogni parte d’Italia, per promuovere un autentico sviluppo di tutto il Paese. È un fondamentale principio di unità e corresponsabilità, che invita a ritrovare il senso autentico dello Stato, della casa comune, di un progetto condiviso per il futuro».

Più in particolare, nel corso della recente nostra Assemblea incentrata sul tema "l'Uma­nesimo europeo per umanizzare la democrazia", abbiamo ascoltato e condiviso le osservazioni di Mons. Mimmo Battaglia, Arcivescovo di Napoli, che ha tenuto una relazione sull’autonomia differenziata e i doveri di solidarietà, con parole dettate dalla vicinanza al suo popolo1[1]. Nell’iniziativa governativa volta a realizzare l’autonomia differenziata, don Mimmo, considerata la sensibile disparità fra le risorse economiche delle Regioni, vede l’instaurazione di una visione egoistica espressa oltretutto nel modo più deleterio, come affermazione della diversità nel « contrasto inevitabile tra la propria superiorità e l’altrui inferiorità. C’è non solo l’imposizione di un proprio diritto, ma la negazione di quelli degli altri … L’egoismo è, quindi, imposizione e negazione. È cecità dell’Amore. L’egoismo è la cancellazione nella vita quotidiana del principio che tiene salde le società e consolida la forza della Democrazia». Democrazia che vede quale «luogo privilegiato, insieme a quello dello spirito, in cui dimora e agisce la Libertà nella Repubblica, cioè in quella realtà sociale destinata a generare unità del Paese nell’eguaglianza».

Nasce così l’amara constatazione del vedere questo progetto come fase avanzata di un percorso pluridecennale di frazionamento dell’Italia in un «Nord, divenuto opulento con le braccia e l’intelligenza dei meridionali, da quel Sud impoverito dalla perdita di risorse, di forze fisiche e intellettuali, svuotato progressivamente di fondamentali sue ricchezze al posto delle quali sono arrivati a fiumi inganni e false promesse».

I promotori, che dichiarano di perseguire un orizzonte di autonomia previsto dalla Costituzione, non possono trascurare che in una Realtà “una e indivisibile” dove sono riconosciuti e tutelati i diritti primari per la popolazione, si determinino condizioni di diseguaglianza che nascono dalle differenti opportunità emergenti nelle diverse parti del territorio.

Con l’attuale progetto di “autonomia differenziata” si creano infatti, nelle nostre Regioni, quelle differenze così evidenti nel mondo intero tra zone e ceti ove le condizioni di ricchezza e povertà si polarizzano con tensione divergente ed irreversibile che raggiunge livelli incontrollabili.

Sono allora preziose le osservazioni del Presule che richiama con semplicità alti principi di filosofia morale, prima che di pietas cristiana: «Questa trasformazione nel Paese avviene quando due debolezze si intrecciano pericolosamente, quella della politica e quella del Meridione. Basterebbe solo questo per accendere le menti più attente e i cuori più sensibili. E per comprendere meglio che quella parola accompagnata dal più breve articolo, incomprensibile per la povera gente, i Lep [ndr LEP/LEA: Livelli Essenziali di Prestazione/Assistenza] (anche questa a coprire la furbizia dei potenti), risulterà ingannevole anche quando lo Stato, che non ha più soldi, trovasse i tanti miliardi che servirebbero per attuarli. Le leggi non si fanno per il tempo politico di chi le vara. Si fanno per tempi lunghi, quelli che vanno a incontrare la vita dei nostri ragazzi. Aprono il futuro più che gestire il presente».

Da prete del Sud poi, conclude proponendo di «cambiare il nostro sguardo e quello delle istituzioni, invertendo la sua direzione. Il vero inizio del buon cambiamento si avrà quando tutti partiremo dal Sud. È uno sguardo culturale prima che politico. Muove dal cuore. Per una sola volta almeno restiamo qui, quelli che ci siamo e gli altri , che sono “lontani”, scendano qui. Idealmente si diventi tutti insieme Sud per coglierne tutto il dolore e insieme tutta la sua grandezza. Il dolore, che porti alla riparazione dei torti subiti, pur non senza nostre colpe. La grandezza, per fare più ricca tutta l’Italia con il prezioso contributo, anche produttivamente economico, del Mezzogiorno».

Ci sembra, in conclusione, che l’attuale proposta di “autonomia differenziata” debba essere assolutamente ripensata e ricondotta a quel processo di revisione costituzionale da ricercare in seguito ad un vero lavoro collegiale svolto da un Parlamento unito e consapevole di voler tracciare una via di giustizia per le future generazioni.


[1] In seguito all’Atto del Senato n. 615 del 23 Gennaio, relativo all’”Attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario”, Mons. Battaglia ha pubblicato sul sito diocesano l’intervento cui ci riferiamo:

https://www.chiesadinapoli.it/autonomia-differenziata/

Testo presente anche sul Foglio periodico "Politicamente - Anno XXIV Numero 2"