Il popolarismo di Francesco

Pierluigi Castagnetti

Dicembre 2020

… è doveroso rilevare che da varie parti, negli ultimi tempi soprattutto e non di rado proprio dall’interno della Chiesa, si sono levate accuse strumentali di “populismo” e “peronismo” nei confronti di Francesco.

Ma il Papa è ben distante da tutto ciò e non ha voluto che si consolidassero equivoci di questo genere, applicandosi per apprendere il valore polisemico (sarebbe più preciso dire enantiosemico) della parola “populista”, soprattutto nelle accezioni europee. Mi piace pensare, per ricordare un amico scomparso recentemente, che sia stato proprio padre Bartolomeo Sorge sj ad illuminarlo e aiutarlo a raggiungere la chiarezza semantica che si trova oggi nell’ultima enciclica. Evidentemente in America Latina non c’è troppa consuetudine con queste distinzioni, anche perché là non ci sono state esperienze politiche che si rifacessero esplicitamente alla tradizione culturale e politica del popolarismo: c’erano, e ci sono ancora, partiti democratici cristiani (penso al Cile, al Venezuela, al Perù, all’Uruguay, alla Colombia), ma sono altra cosa; anche in Argentina ci sono stati tentativi di dar vita a un partito cristiano democratico nella seconda metà del XX secolo, ma lì il movimento peronista ha occupato tutto lo spazio del centro politico.

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E, dunque, mentre era conosciuta la parola populismo, conosciuta e rifiutata, molto meno lo era quella di popolarismo, che il Papa ha ben presto adottata per esprimere con maggiore precisione il suo pensiero. A dire il vero neppure essa esprime compiutamente le ragioni della sua attenzione verso i “movimenti popolari” latinoamericani, che sono altra cosa ancora. Quelli in una qualche misura esprimono più una realtà, molto diffusa in quel contesto, che un concetto, un pensiero e – se vogliamo – una tradizione politica, com’è per il popolarismo. I “movimenti popolari” danno vo ce all’anima di un popolo, alla sua rivendicazione e al suo protagonismo; sono una realtà più sociale che politica.

Al contrario il popolarismo – nella vicenda storica italiana in particolare - raccoglie varie esperienze sociali (le cooperative, le mutue, le banche, le associazioni cattoli che) e le trasforma in fatto politico, inserendole all’interno di un disegno politico e facendole diventare un elemento di democrazia. Sia il populismo e i movimenti po polari sudamericani da un lato, che il popolarismo sturziano dall’altro, esaltano la matrice popolare, una certa centralità del popolo e persino una sua sovranità origina ria, ma solo il popolarismo, del popolo, non fa un mito, anzi.

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E, quando tutti i legamenti sociali saranno distrutti, per “tenere insieme” il popolo si evocheranno quei sentimenti e simboli religiosi più o meno ancestrali, capaci di dare “identità” (non importa se la maggioranza dei militanti dei movimenti populisti, secondo una recente indagine promossa in Polonia e in Ungheria, si dichiara al contempo non credente e credente. Nino Andreatta parlava di “atei devoti”).

Nascono in questo modo nuove forme politiche (cioè nuovi partiti e nuovi modelli statali) e nuove forme religiose, di una religiosità “degli ingredienti” (“questo comandamento della mia religione l’accetto, quell’altro sempre della mia religione lo ignoro, quell’altro ancora lo rifiuto”), in cui scompaiono sia il concetto di fede che il concetto di democrazia.

Il populismo, dunque, nulla ha a che fare con il valore vero del popolo e con la cultura e la tradizione democratica del popolarismo.

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Mentre il populismo cos’è? È la strumentalizzazione dei desideri, delle frustrazioni, dei rancori, delle paure, delle angosce del popolo, al fine di trasformarle in odio, cattiveria (Francesco dice al giornalista di Die Zeit: “il populismo è cattivo e finisce male”), ribellione e rifiuto dello Stato.

Il populismo punta, infatti, a delegittimare e possibilmente distruggere le istituzioni ritenute “nemiche”, sia perché rappresentano quell’argine morale verso ogni tentativo di destrutturare la comunità che si vuole perseguire, sia perché nella vita di un popolo esse indirizzano tutte le energie vitali verso obiettivi di “bene comune”. “Il bene comune non mi interessa, mi interessa il mio bene, e gli altri si arrangino, facciano altrettanto, io non chiedo niente a loro, loro non chiedano niente a me”, questo il modo di ragionare dei populisti.

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Tutto ciò diventa combustibile politico a disposizione di chi lo vuole usare, cioè proprio quei partiti che in parte fomentano e in parte cavalcano sentimenti e risentimenti, volutamente non mediati e ancor meno “educati”, del popolo. E così si sviluppano conflitti anti istituzionali permanenti, che puntano ad alimentare una regressione verso una fase precostituzionale della vita pubblica, in cui tutto è legittimo e tutto è permesso.

(Dalla Prefazione di Pierluigi Castagnetti al libro di Lino Prenna, Dal cattolicesimo democratico al nuovo popolarismo. Sui sentieri di Francesco, in stampa presso il Mulino di Bologna)


Testo presente anche sul Foglio periodico "Politicamente - Anno XX Numero 4"