Popolare e populista

di Alvaro Bucci

Dicembre 2020

Ampiamente citata nei primissimi giorni seguenti a quello della sua pubblicazione, la nuova enciclica di papa Francesco “Fratelli tutti” è stata presto dimenticata dalla stampa. Ma non da chi ritiene che Fratelli tutti debba aggiungersi ai numerosi documenti ecclesiali da tenere in evidenza per trarne indispensabili motivazioni nell’agire nei vari ambiti in cui ci si trova ad operare.

La nuova enciclica è un testo lungo che va meditato e studiato con calma. Abbisogna comunque di un approccio tempestivo e d’insieme al fine di poter conoscere tutte le questioni cui s’intende ricorrere per attingere le opportune indicazioni. Un approccio che gli amici del Gruppo Meic di Foligno intendono seguire, a partire da questo mese, con una serie di incontri, in remoto, affrontando di seguito i vari capitoli.

Ben otto sono i capitoli in cui si articola la Fratelli tutti, suddivisi in 287 paragrafi.

Ciascuno di noi, naturalmente, può essere attratto da specifiche questioni secondo le proprie esigenze di approfondimento. Così, per quanto mi riguarda, ho ritenuto di dover immediatamente soffermarmi sulle questioni della politica, cui Francesco dedica un intero capitolo, il quinto, titolandolo “La migliore politica”. Un capitolo, altrettanto finalizzato alla realizzazione della “fraternità”, per lo sviluppo di una “comunità mondiale” a partire da “popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale”, per la quale è necessaria “la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune”. Un capitolo, complesso nelle sue specifiche declinazioni, attraverso cui papa Francesco, oltre a ricordare “gli errori, la corruzione, l’inefficienza di alcuni politici” nonché le strategie che mirano a indebolire la politica e “a sostituirla con l’economia o a dominarla con qualche ideologia”, invita a rivalutare la politica che “è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune”.

Papa Francesco inizia il capitolo riscontrando come la difficoltà “a pensare un mondo aperto dove ci sia posto per tutti, che comprenda in sé i più deboli e rispetti le diverse culture” derivi sia da forme populistiche che da forme liberali “al servizio degli interessi economici dei potenti. E dedica i primi sette paragrafi ad analizzare le categorie di “popolare” e “populista”, che sono diventate “polarità della società divisa”. Prende ampiamente le distanze dal populismo che “ignora la legittimità della nozione di popolo”, spiegando che, per affermare che la società è più della somma degli individui, è necessario il termine “popolo” e, ancora, che, tra l’altro, il “pensare a obiettivi comuni, al di là delle differenze, per attuare insieme un progetto condiviso” può trovare espressione nel sostantivo “popolo” e nell’aggettivo “popolare”.

Per papa Francesco i populisti deformano la parola “popolo”, in quanto “ciò di cui parlano non è un vero popolo” che è una categoria aperta. Il popolo, secondo il pensiero, il magistero e la pastorale di Bergoglio, è infatti inteso come “un corpo vivo, dinamico e con un futuro” e, quindi, in continuo sviluppo.

Papa Francesco riconosce che vi sono leader che intendono interpretare il sentire di questo popolo prestando un servizio, aggregando e guidando, che “può essere la base per un progetto duraturo di trasformazione e di crescita”. Ma questo servizio, avverte, “degenera in insano populismo quando si muta nell’abilità di qualcuno di attrarre consenso allo scopo di strumentalizzare politicamente la cultura del popolo, sotto qualunque segno ideologico, al servizio del proprio progetto personale e della propria permanenza al potere”. E aggiunge un’altra degenerazione di natura populista: la “ricerca dell’interesse immediato”, quando, cioè, “si risponde a esigenze popolari allo scopo di garantirsi voti o appoggi, ma senza progredire in un impegno arduo e costante che offra alle persone le risorse per il loro sviluppo, per potersostenere la vita con i loro sforzi e la loro creatività”. Sul tema del lavoro, infine, insiste sul fatto che il vero obiettivo per aiutare i poveri è quello di “consentire loro una vita degna mediante il lavoro”, in alternativa al denaro che “dev’essere sempre un rimedio provvisorio”.


 

Testo presente anche sul Foglio periodico "Politicamente - Anno XX Numero 4"