Etica

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Le tre passioni dell'essere: amore, odio, ignoranza

Ciclo di sei conferenze

Bologna

Venerdì 13 maggio 2011 - 18:00/20:00

Sala Silentium, Quartiere San Vitale


Tema della giornata: “L’amore del prossimo in psicoanalisi”

Relatore:

Dott. Daniele Benini

La partecipazione è libera e gratuita. Per informazioni: 340-9697006.


Organizzata da

Associazione Lacaniana Italiana di Psicoanalisi


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Poesia è rifare il mondo

Padre Turoldo e la città di Milano

 Milano

4, 10, 17, 31 Maggio 2011

 

Incontri di riflessione su Padre David Maria Turoldo e il suo rapporto con Milano attraverso reading di poesie, testimonianze, contributi audiovisivi, intermezzi musicali e teatrali


mercoledì 4 maggio, ore 18.30
Associazione "Corsia dei Servi" - corso Matteotti 14
I GIORNI DEL RISCHIO - Il periodo della Resistenza
Giovanni Bianchi
Roberto Carusi


martedì 10 maggio, ore 18.30
Conservatorio "Giuseppe Verdi" - via Conservatorio 12
I GIORNI DELL'INCONTRO - Le esperienze di viaggio e il dialogo con don Primo Mazzolari, don Lorenzo Milani
padre Camillo De Piaz
Sandro Antoniazzi
Carlo Luigi Sala


martedì 17 maggio, ore 18.30
Chiesa Santo Stefano - piazza Santo Stefano
I GIORNI DELLA CHIESA - La predicazione nel Duomo e il rapporto con il cardinale Carlo Maria Martini
Rosalba Genovese
don Virginio Colmegna


martedì 31 maggio, ore 18.30
Auditorium Casa della carità - via Francesco Brambilla 10
I GIORNI DEGLI ULTIMI - Il periodo dell'esperienza cinematografica e il film "Gli ultimi"
Bianca Pitzorno
Fiorenzo De Molli

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La morte che «viene da lontano» e le morti che sembrano non contare

INCALZANTI INTERROGATIVI E PRIORITÀ UMANITARIE NELLO SCENARIO LIBICO

Giorgio Campanini
30 Marzo 2011

Dopo l’iniziale e pressoché corale sostegno all’«intervento umanitario» in Libia, dal mondo cattolico sono provenuti, a più riprese, alcuni segnali di inquietudine. Non sono rimaste senza eco le riflessioni del cardinale Bagnasco, le preoccupazioni del Vicario apostolico di Tripoli, le aperte prese di distanza di intellettuali e di gruppi pacifisti cristiani. Si moltiplicano, dunque, gli interrogativi su questa nuova «guerra di Libia» che, per l’Italia, si verifica esattamente a un secolo dall’altra: per quest’ultima è ormai da tempo in atto un processo di demitizzazione di un’impresa rivelatasi cruda espressione di un colonialismo, quello italiano, forse meno spietato di quello di altri Paesi («italiani brava gente»…) ma tutt’altro che esente – come la storiografia ha ampiamente dimostrato – da brutalità, nefandezze, prevaricazioni. È augurabile che tutto questo sia solo passato, un passato che non ritorna.

Due sono i punti critici di questa vicenda, per quanto si può valutare allo stato attuale delle cose: e ad essi corrispondono altrettanto interrogativi. La prima domanda riguarda il carico di morte che, inevitabilmente, accompagna l’azione in atto, autorizzata dall’Onu, e motivata col dovere di scongiurare le vittime civili della repressione ordinata dal regime gheddafiano: non vi è dubbio che, per quanto 'intelligenti', le bombe non possono avere millimetrica precisione e dunque occorre mettere in conto un numero, forse non marginale, di vittime civili (il loro numero non lo si conoscerà mai). Ma anche limitatamente alle vittime militari, si tratta pur sempre (cosa che certi entusiasmi bellicisti sembrano del tutto dimenticare) di persone, di volti, spesso di padri di famiglia, frequentemente di 'povera gente' illusa (com’è capitato, anche in altri tempi, in Germania e in Italia) dal fascino del dittatore di turno o indotta al 'mestiere delle armi' dalla corruzione del denaro, o anche soltanto dall’istinto di sopravvivenza. Nessuna pietà, dunque, per i militari e i loro fiancheggiatori? Il secondo interrogativo concerne questo particolare tipo di guerra fra diseguali: di qui una raffinatissima tecnologia di morte, di là la rassegnazione alla morte che piove dal cielo. Vengono alla mente le riserve, le proteste, talora le denunzie dei teologi medievali sull’intrinseca immoralità di una morte – quella procurata dalle prime armi da fuoco – che 'veniva da lontano', che non consentiva più il 'faccia a faccia' fra i contendenti, che perdeva la sua antica natura di 'duello' fra uomini che potevano guardarsi negli occhi e sapevano, nello stesso tempo, di potere uccidere e di potere essere uccisi.

Questa guerra dall’alto è invece impietosamente impari: da una parte vi è chi rischia tutto, dall’altra chi non rischia nulla e può uccidere senza timore alcuno di essere ucciso. Vi è da domandarsi se il pressoché unanime consenso dell’opinione pubblica vi sarebbe se, condotta la guerra ad armi pari, vi fossero morti da una parte e dall’altra. Ora, invece, i morti sembrano non più contare. Ve ne è abbastanza, dunque, per domandarsi se non sia venuto il tempo di stabilire una tregua, di premere perché si avviino negoziati, dando spazio a una mediazione, che sarà comunque necessaria, non potendosi ragionevolmente ipotizzare il permanere di una guerra civile che rischia di procurare, nel tempo lungo, un gran numero di morti: magari non caduti in battaglia e però certamente vittime delle miserie che la guerra sempre produce. In questa azione per la mediazione – a favore della quale si è autorevolmente espresso, a più riprese, lo stesso papa Benedetto – i credenti dovranno essere in prima fila. Che tutte le armi tacciano e, finalmente, la parola passi alla mitezza della ragione.

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I profeti della nonviolenza

i percorsi e le scelte chiave

Bologna

30 Marzo 2011

Sala del Consiglio provinciale - Via Zamboni, 13

 

Organizzata da

Provincia di Bologna - Tavolo Provinciale per la Pace


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L’accidia politica dei cattolici che nascondono le bestemmie e le fanciulle di Arcore

«Coraggio, sono io, non abbiate paura». È questo il messaggio del cardinale Martini alla Milano 1999 annunciando la catastrofe che sta umiliando il popolo dei credenti. A cosa si riferiva? Paura di perdere gli affari, il potere politico che li permette, comparsate e obbedienze televisive. La speranza della fede è un’altra, avvertiva Martini, ma nella Milano da bere di Craxi la folla dei cattolici-cash si preparava a cercare la gloria dei rotocalchi nelle stanze di Arcore

Aldo Maria Valli

07 Marzo 2011

da domani.arcoiris.tv

La vicenda del Rubygate e dintorni quale sfida comporta per chi partecipa alla politica secondo un’ispirazione cristiana? Ho pensato di poter dare un contributo rifacendomi a una pagina del cardinale Carlo Maria Martini che risale al 1999. Era la vigilia della festa di sant’Ambrogio e quel giorno, nel tradizionale discorso alla città di Milano (intitolato Coraggio, sono io, non abbiate paura!) l’arcivescovo parlò dell’accidia politica, o pubblica accidia, definendola come l’esatto contrario di quella che la tradizione classica greca e il Nuovo testamento chiamano parresìa, ovvero la libertà di chiamare le cose con il loro nome. “Si tratta – disse il cardinale – di una neutralità appiattita, della paura di valutare oggettivamente le proposte secondo criteri etici, che ha quale conseguenza un decadimento della sapienzialità politica”.

Ecco qua spiegato, in poche righe, un fenomeno al quale abbiamo assistito con grande dolore in questi anni. Da parte di molti, di troppi, dentro la Chiesa c’è stata una mancanza di parresìa. Chierici e laici, politici e intellettuali troppo spesso, pur fregiandosi con ostentazione dell’etichetta di cattolici, sono caduti nell’accidia politica, arrivando a coprire, giustificare, relativizzare. L’espressione più clamorosa sta nello sciagurato commento di monsignor Fisichella alla bestemmia pronunciata da Berlusconi, quando l’alto esponente vaticano invitò a “contestualizzare”. Su questa strada si perde tutto: credibilità, profezia, testimonianza.

“Normalmente – diceva il cardinale Martini in quel discorso di dodici anni fa – lo scadimento etico della politica, in un corpo sano, dovrebbe essere rilevato e punito da un calo di consenso”. Già: normalmente. Se da noi questo non è avvenuto vuol dire che il corpo non era, e non è, sano. Aristotele diceva che il male è destinato a distruggersi da sé, ma oggi non sembra più così. Perché? E’ questo il terreno sul quale i credenti (preferisco usare questa espressione rispetto a quella, troppo abusata e strumentalizzata, di “cattolici”) devono interrogarsi seriamente.

Martini già nel 1999 dava una risposta. Sosteneva che se il degrado etico della politica non viene chiamato con il suo nome e “punito consequenzialmente” (diceva proprio così: punito) ciò avviene a causa della mancanza di un’opinione pubblica degna di questo nome. Laddove questa opinione, questa capacità di elaborazione critica dei dati politici, è debole o non esiste quasi più, la politica è svincolata da ogni limite. Se al posto di una sana opinione pubblica, capace di esprimere una “resistenza condivisa e critica”, la politica trova davanti a sé solo individui, ognuno mosso da interessi particolari, il gioco è fatto: il male può dilagare.

Ecco l’operazione tentata dal berlusconismo: far morire l’opinione pubblica riducendola a massa formata da individui ispirati soltanto da un tornaconto personale. Ed ecco perché il berlusconismo non può tollerare le manifestazioni come quella del 13 febbraio: quel mare di donne, ma anche di uomini, è per il berlusconismo il pericolo mortale, la dimostrazione che, per quanto ci abbia provato a lungo e tenacemente, il mondo di plastica del Silvio’s show non ha ancora soppresso e sostituito del tutto il mondo vero.

Martini diceva che il livello d’allarme lo si raggiunge quando “lo scadimento etico della politica non è neppure più percepito come dannoso per la polis“. Diciamo che il berlusconismo è arrivato a un soffio (stavo per dire un pelo, absit iniuria verbis) da questo traguardo: riuscire a non far percepire più il male come tale. Non c’è riuscito, c’è ancora un margine di manovra, ed è su questo che occorre lavorare.

Cito ancora Martini, veramente profetico: “Non dovremmo più aspettare decadenze dolorose per aprire gli occhi”. Ma i credenti dove sono? Che cosa fanno? Come reagiscono?

Il cardinale invitava a invocare lo Spirito (che per i credenti è l’aiuto, il difensore, l’avvocato, il rappresentante della giustizia). Bisogna invocarlo “perché guidi a mettere le ragioni del consenso al di sopra dell’ansia del consenso”, è perché, là dove lo scoraggiamento si fa strada “scatti un sussulto di profezia pieno di speranza, che faccia aprire gli occhi a quella visione di futuro che in linguaggio filosofico si può chiamare utopia”.

E’ un vero parlare da pastore che guida il suo gregge. E trovo bellissimo il riferimento all’utopia, la meta che va considerata non come irraggiungibile ma come stimolo continuo.

Ma state a sentire che cosa aggiungeva il cardinale. I cattolici, diceva, vanno spesso incontro a un grande rischio, quello di lasciarsi adulare. Lo spiegava già sant’Ambrogio: “Dobbiamo stare attenti a non prestare ascolto a chi ci vuole adulare, perché lasciarsi snervare dall’adulazione non solo non è prova di fortezza, ma anzi di ignavia”. Non è formidabile? Noi sappiamo come Dante sistemò gli ignavi. Poiché in vita non agirono mai in base al principio di bene e di male, limitandosi ad adeguarsi alle convenienze, il poeta li piazza nell’antinferno, una specie di non luogo che non è paradiso, non è purgatorio e non è nemmeno inferno, qualcosa di neutro e incolore, come neutri e incolori furono loro in vita, incapaci di parlare chiaramente e di prendere posizione. Ecco, dice Martini, quando ci viene detto che la posizione dei cattolici in politica deve essere ispirata alla moderazione, io sento puzza di ignavia. E’ vero, c’è certamente una moderazione buona, che si esprime nel rispetto dell’avversario, ma (sentite bene!) “l’elogio della moderazione cattolica, se connesso con la pretesa che essa costituisca solo e sempre la gamba moderata degli schieramenti, diventa una delle adulazioni di cui parlava Ambrogio, mediante la quale coloro che sono interessati all’accidia e ignavia di un gruppo, lo spingono al sonno”.

Mi sembra che ce ne sia a sufficienza per riflettere e discutere. Ma non prima di aver aggiunto che Martini, in quello scritto, esortava i credenti a essere non moderati, ma audaci. Rappresentanti di “una socialità avanzata che non scollega mai la libertà dalla responsabilità verso l’altro”. Meditate gente, meditate.