Una domanda di senso

Dott. Pietro Lacorte

Vice presidente della Società Italiana di

Bioetica e Comitati Etici (SIBCE)

Ostuni, 25/02/2011

Si discute da tempo fra opposti modi di vedere, tutti pervasi dalla presunzione di possedere la verità, della legge sulla cosidetta “Dichiarazione Anticipata di Trattamento” (DAT) senza che a nessuno venga in mente di porsi nei panni di chi, in condizioni di vita molto precarie, avrebbe il diritto di dire la sua, ove potesse sul modo di andare incontro alla morte a colui che di lui si prende cura in quel particolare momento in un rapporto di estrema fiducia, definito “alleanza medico-paziente”.

Quanti intervengono nei dibattiti in corso, parte convinti di quello che sostengono, parte solo desiderosi, per opportunità politica, di apparire sostenitori della vita e parte infine sostenitori ad oltranza del principio di poter disporre della propria vita sempre e comunque, tutti presumono di avere diritto e competenza per fissare norme di comportamento a chi, per dovere professionale, è posto nelle condizioni di servire al meglio chi gli si affida in stato di completo abbandono.

È bene sottolineare che l’etica non è un insieme di norme astratte, sia pure chiaramente codificate nel tempo, da applicare uniformemente in ogni particolare situazione di vita; essa offre solo criteri di valutazione per comportamenti da applicare caso per caso da parte del medico che, in piena condivisione empatica, deve far fronte ad un particolare stato di sofferenza esistenziale.

Fra quanti intervengono nel merito, a proposito o con presunzione, a chi è venuto mai in mente di rimettersi alla decisione libera e responsabile di chi, in ragione del proprio stato e di un giuramento fatto, è tenuto a difendere la vita dal concepimento fino alla morte naturale?

Si domanda qualcuno se può essere definita morte naturale quella che può essere procrastinata sine die grazie alle tecnologie rianimatorie di cui si dispone attualmente? o quella che può essere ottenuta mediante la semplice interruzione del sostegno vitale dell’alimentazione e dell’idratazione?

Nel dibattito politico in corso vi è chi dichiara di voler sostenere la vita in qualunque condizione, ritenendo la morte come un evento da rimuovere sempre e comunque, e chi invece ritiene che la morte possa o debba essere agevolata in quanti non versano in condizioni di vita accettabili.

Nessuno si pone nelle condizioni di chi, in uno stato terminale, vorrebbe essere solo aiutato a non soffrire ed accompagnato ad affrontare serenamente il suo trapasso naturale verso una “buona morte”, la quale per un credente è un valore come la vita.

Questo è il problema da affrontare, ponendo da parte ogni ideologia ed offrendo al medico curante ogni sostegno e considerazione per porlo nelle condizioni migliori di operare da “buon samaritano”, sempre ed in qualunque circostanza, fidandosi della decisione che dovrà assumere liberamente in scienza e coscienza.