“ Perdono... per dono ”

Quale risorsa per la società e la famiglia

di Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese

Editrice Effatà

 10 Aprile 2011

Recensione a cura di

Michele Giovannetti - Presidente Circolo Società Libraria ACLI Rimini

Carlo Pantaleo - Responsabile provinciale Funzione Formazione e Progetto Famiglia - ACLI Rimini

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Giulia Paola Di Nicola è docente presso l’Università di Chieti. Dirige con Attilio Danese la rivista di cultura «Prospettiva Persona». Ha pubblicato numerosi testi sulla donna, sull’antropologia e sulla politica.

Attilio Danese, docente all’Università di Chieti, è direttore del Centro Ricerche Personaliste (Teramo) e della rivista «Prospettiva Persona». Ha pubblicato numerosi testi sulla filosofia personalista e sui temi della politica.

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Volevamo parlare di relazioni in famiglia e nella società, e ci siamo trovati la proposta di questo interessante libro su un tema quale il perdono. Ebbene quale migliore convergenza visto che nel perdono non solo la relazione compromessa può rinascere, ma presuppone anche la giustizia e la completa. Sentiamo questa come una sfida e ci accorgiamo di ritrovarci pienamente in ciò che è detto nella presentazione da Mons. Sergio Nicolli: per noi perdono suona desueto e lontano perché distante da una cultura come l'attuale della rivendicazione e dell'individualismo.

Vi si legge che perdono è “più e meno del dono: è meno solo apparentemente” dato che non si dona un oggetto, ma in realtà è più perché sacrifica l'essere di chi è stato offeso e, grazie a questo sacrificio, si scioglie il gelo dei rapporti.

Certo tutto ciò è da considerarsi nei rapporti tra persone, ma anche “ad intra e ad extra degli Stati” perché “non basta alla convivenza seguire le regole della giustizia e dello scambio”. Una società si regge se c'è un di più di generosità che ne alimenta lo spirito e il senso di appartenenza, una specie di “corrente calda”. Si legge nel libro che certo vi è dialettica tra giustizia e perdono, perché non si può esigere per legge. Tuttavia senza la giustizia si tramuta in strumento di oppressione e ingiustizia. Illuminante in tal senso la citazione riportata del prof. Roberto Mancini in esistenza e gratuità: “Il perdono crea futuro perché è anticipazione reale e propulsiva di un tempo liberato dalla spirale della violenza”. Di certo il dono è più dello scambio come invece pensava Mauss sia perché non riguarda delle cose ma delle persone, sia perché quando diviene perdono non si può dare un compensativo che sostituisca il male ricevuto. A questi fondamenti tutto il libro è teso, perché è a fondamento e attraversa la convivenza umana e la stessa formazione educativa della persona. “Di questa corrente fa parte il perdono che, nel suo senso pieno, eccede la giustizia e appartiene ad un tipo di economia spirituale che oltrepassa le leggi dell'irreversibilità del tempo e dell'equilibrio dello scambio”. Di certo le relazioni in famiglia diventano modello per quelle sociali, e quindi, inevitabilmente, impattano in quelle con se stessi. Non solo. Anzi queste considerazioni trovano la sorgente nella relazione con Dio stesso e al senso religioso umano. Ciò avviene attraverso una risultante fondamentale che è nell'esplicazione biblica della fenomenologia del perdono legata all'insegnamento di Cristo. E' un invito a provare a considerare veramente il perdono in un'ottica essenziale alla Vera Giustizia, poiché non può esservi Giustizia sulla Terra, senza Misericordia, la medesima che il Padre ci ha concesso con la Croce. Bellissimo il passaggio, nel capitolo "Il Perdono Socialmente Virtuoso" dove si parla di una società che senza il perdono giudiziale (non identificabile come una soluzione unitaria applicata dalle istituzioni, ma spontanea, quasi come un premio reciproco per l'offeso e l'offensore) rimarrebbe arteriosclerotica e concentrata sui torti, sull'immutabile e stantio. Una società che non perdona, è una società immobile e senza Speranza, votata all'autodistruzione. Forse è questo il Mistero più grande, al quale difficilmente troviamo una risposta, ma di fatto rispondiamo con un atto di Fede. Questa fiducia, che è necessaria anche in chi perdona e chi chiede di esser perdonato, nasce dall'evidenza dei fatti che ne indicano la necessità per ritrovare il coraggio di ritessere legami e non può non avvenire attraverso l'avvenimento di un incontro significativo. In Dio Figlio ciò avviene nella carne e nella quotidianità, fino alla sua passione, morte e resurrezione.

E' evidente in tutto il libro l'approccio personalista ma di certo siamo ben oltre una teoria chiusa che nasce nel vuoto delle idee. Si è giustamente rimarcato l'aspetto generativo di relazioni, e quindi di vita civile, che comporta il perdono. Il 70 % del libro è un elenco di azioni-reazioni fra i soggetti che perdonano e sono perdonati. Ci troviamo nel pieno mare dell'esistenza attraverso l'esperienza diretta degli stessi autori, perché di ciò se ne deve tacere se non si vive ciò di cui si parla. Come insegna Beccaria, l'opinione non può e non deve essere il solo cemento della società. Ed è qui che il libro apre non solo ad una visione della persona ma dell'intera società che diviene relazionale. Quest'ultima si caratterizza per avere come propria modalità di essere la continua generazione di processi di differenziazione e di reintegrazione delle relazioni sociali, sia inter-soggettive (come le reti primarie), sia generalizzate (come le secondarie, impersonali e organizzative). Anzi queste ultime diventano espressione del metodo che riconosce le primarie. Ci troviamo dunque oltre alla società aperta di Popper, perché quella a misura di persona è aperta su di essa e per essa. In questo modo si supera la semplice mutua tolleranza che procede tentativi ed errori in istituzioni autoriformabili. Si procede invece per processi che riconoscono la persona come dono, anche con i suoi limiti, anche con la sofferenza provocata ad altri, ma anche “confidando nel progetto d'amore intrapreso, interrotto ma che si può riprendere”.

“Il perdono è il giogo sotto il quale tutti devono passare, prima o poi, se vogliono costruire rapporti di pace. Ciò vale a maggior ragione per il matrimonio, quando è inevitabile che ciascuno dei due, anche involontariamente, ferisca l'altro”.

Valga l'insegnamento e la testimonianza di Chiara Lubich: “Qualcuno pensa che il perdono sia una debolezza. No, è l'espressione di un coraggio estremo, è amore vero, il più autentico perché il più disinteressato."Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? - dice Gesù – questo lo fanno tutti. Voi amate i vostri nemici" ”.

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