Cattolici più incisivi in politica

Antonio Nizzi

24 Giugno 2011

È il nuovo richiamo dei vescovi italiani. I cattolici tornino a battersi con coraggio per essere più presenti in politica. Escano dalla latitanza e dal silenzio che li hanno resi subalterni agli attuali schieramenti sopraggiunti col maggioritario. Prendiamo sul serio l’appello e riflettiamo su alcune questioni: la marginalità dei cattolici, la qualità della loro cultura politica, il tipo di sostegno delle gerarchie ecclesiastiche a quanti lavorano per il bene comune, la capacità di dialogo nella Chiesa quando ci si confronta su questi problemi.

I cristiani impegnati in politica si trovano ormai presenti in tutti gli schieramenti e la gerarchia cattolica scrive che “non è compito della Chiesa formulare soluzioni concrete – e meno ancora soluzioni uniche – per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero e responsabile giudizio di ciascuno”. Non sono però mancate in Italia, dentro e fuori la Chiesa, preoccupazioni per un eccessivo intervento delle gerarchie in talune questioni, come se si volessero sostituire all’azione diretta dei laici credenti o dare loro l’agenda politica nel momento della diaspora.

Di certo, a Sturzo e a De Gasperi non mancarono ostacoli da parte del mondo cattolico e delle gerarchie che volevano gestire la politica “in proprio”. E anche in anni più recenti – da Fanfani a Moro, da Prodi alla Bindi e allo stesso Scalfaro – non sempre sono emersi eccessi di comprensione e di appoggio ai cattolici che volevano essere incisivi in politica. Idem a livello locale. Forse una nuova stagione dei cattolici avrà bisogno di più spazi di dialogo e di confronto nella Chiesa, di più capacità di servizio alla società, di un’idea di democrazia più protesa a includere e dare rappresentanza a chi ne è privo. Il problema di oggi non è la mancanza di visibilità o di potere, o il rischio che si voglia chiudere la bocca ai cattolici in politica, piuttosto è l’appannarsi della vocazione e dell’identità del laico credente, è la povertà di formazione al valore della partecipazione politica. Da troppo tempo questa formazione manca nei gruppi ecclesiali, i quali, se avvertono talvolta l’estraneità della politica e della cultura ai valori del cristianesimo, non per questo possono sentirsi estranei a questo mondo. Si ha invece l’impressione di una formazione spirituale che non educa all’esercizio della propria responsabilità nella vita della Chiesa e che cerca di preservare i cattolici dai mali della politica di oggi, mobilitandoli al massimo su specifiche questioni etiche. Ma la partecipazione politica in democrazia esige dai cattolici la capacità di uscire dai propri recinti, di vivere il primato della coscienza in modo responsabile quando traducono la fede nella pluralità delle scelte politiche. L’impegno politico è una delle più alte espressioni della carità cristiana. I cattolici non possono ridursi a supporto di equilibri politici in cambio di benevole concessioni: il clerico-moderatismo non ha mai reso un buon servizio né alla chiesa né alla democrazia. È sui valori che si deve tornare a riflettere e sulla capacità di coerenza nell’autonoma responsabilità delle mediazioni politiche.