Il bene comune e i “valori non negoziabili”

Lino Prenna

Coordinatore nazionale di Agire Politicamente

da Adista – Segni Nuovi - N. 70 - 1 Ottobre 2011

Mentre l’associazione di cattolici democratici Agire Politicamente concludeva la settimana di riflessione sulla «mediazione, virtù della politica», nell’annuale seminario estivo, a Sutrio (Ud), “presepe della Carnia”, il card. Angelo Bagnasco, lo scorso 4 settembre, apriva i lavori della Summer School, promossa dalle fondazioni Magna Carta di Gaetano Quagliariello e Italia Protagonista di Maurizio Gasparri, esponenti di prima fila del partito di Berlusconi [v. Adista n. 65/11].

Cosa c’entri un vescovo, anzi il presidente dei vescovi italiani, con una scuola di partito, per noi è difficile spiegare, tanto meno giustificare, anche se Bagnasco non è nuovo a tali frequentazioni. Ma non è di questo, almeno qui, che vogliamo parlare. Ce ne occupiamo, invece, per confrontarci con un passaggio della sua relazione, che vorrebbe avere una impegnativa autorevolezza, tanto da essersi proposta quale lectio magistralis.

Afferma Bagnasco: «Certi valori, anche se sono illuminati dalla fede, sono anzitutto bagaglio della buona ragione. Per questo sono detti “non negoziabili”. Si dice che la politica è l’arte della mediazione: è vero per molte cose, e speriamo che si raggiungano sempre le mediazioni migliori, ma vi sono dei principi primi che qualunque mediazione distrugge!».

Non è nuova questa affermazione, che ripropone l’ambiguità di una espressione infelice (“valori non negoziabili”) e include la diffidenza verso l’esercizio della mediazione culturale. Già alcuni anni fa, in un documento che presentammo a Roma, presso la Camera dei deputati, con il compianto Pietro Scoppola, parlavamo di «mediazione necessaria», intesa come «attività mediana di tradizione e di traduzione, declinazione e incarnazione dell’assoluto etico nel relativo politico». E ricordavamo che Giuseppe Lazzati aveva già notato che gli equivoci nati sul termine «mediazione» lo rendono sospetto, pur in presenza di motivi teologici, storici, esistenziali, che ne mostrano la validità sul piano culturale e dell’agire umano. Anzi, Lazzati ricordava che l’identità cristiana, proprio perché derivante da Cristo, il mediatore per eccellenza, consiste nell’essere mediazione.

Perciò, anche per queste ragioni fondative, consideriamo la politica, che impegna tanta parte dell’agire umano, il “luogo elettivo” di una paziente e tenace mediazione, finalizzata a tradurre i valori in beni concreti e strumenti fruibili da tutti, nella consapevolezza della parzialità di tale traduzione, che non è riduttiva, tanto meno distruttiva, del valore assoluto ma è l’esito che si può legittimamente perseguire, mediando il bene assoluto dell’intenzione con le limitate condizioni storiche dell’azione.

La riflessione del nostro seminario estivo, nel confrontare le identità proprie dei tanti versanti della mediazione (assoluto-relativo, spirito-materia, infinito-finito, Vangelo-cultura, fede-politica, Chiesa-Stato…) si è inoltrata a considerare la suggestiva affinità e perfino l’identificazione tra l’arte della mediazione e la virtù della temperanza, intesa come coscienza del limite e ricerca del possibile.

In questa prospettiva è risultata decisiva la funzione mediatrice del diritto, per cui la mediazione può proporsi come “temperatura” della politica, attività regolativa e orientativa, che promuove le attese e modera le pretese, mentre la legge, a sua volta, diventa lo strumento parziale ma necessario che regola le libertà e ne favorisce l’espressione, pone limiti al potere e ne rappresenta la condizione di esercizio, riconduce gli interessi particolari nell’orizzonte dell’interesse generale che, nel vocabolario del cattolicesimo politico, ormai ampiamente mutuato, prende l’impegnativo nome di “bene comune”.

A questo, cioè al bene di tutti e di ciascuno, tende l’esercizio politico della mediazione che, in quanto virtù, cioè habitus operativo del bene di tutti, distingue l’etica della laicità.