La malafede di Formigoni e gli onorevoli del partito cattolico

Raniero La Valle

10 Ottobre 2011

Ha detto mons. Crociata, segretario generale della CEI, che “la Chiesa non fa i governi né li manda a casa”. Non è sempre stato così, ma è giustissimo oggi affermarlo. Tuttavia quando la Chiesa vuol mandare un messaggio forte dovrebbe evitare di farlo in modo che ciascuno ci possa vedere quello che vuole. Ad esempio è stato evidente a tutti che quando nella sua prolusione al Comitato permanente dei vescovi il cardinale Bagnasco ha denunciato i comportamenti contrari al pubblico decoro e intrinsecamente tristi e vacui su cui “si rincorrono” doviziosi racconti, quando ha lamentato la mancanza di misura, sobrietà, disciplina ed onore e i comportamenti licenziosi e le relazioni improprie di “attori della scena pubblica” che la collettività guarda con sgomento e che fiaccano pericolosamente l’immagine del Paese all’esterno, si riferiva al presidente del Consiglio: perché, per quanto ci siano peccatori, non ci sono oggi altri “attori della scena pubblica” che sono guardati con sgomento dalla collettività, che sono capaci di umiliare l’immagine del Paese all’estero, e sui quali “si rincorrono racconti” che rivelano “stili di vita difficilmente compatibili con la dignità delle persone e il decoro delle istituzioni e della vita pubblica”; né c’è altri che, per rimediare a tutto ciò, potrebbe essere “chiamato a comportamenti responsabili e nobili”, ossia ad andarsene, ciò di cui la storia stessa prenderebbe atto.

Naturalmente in questo identikit mancava il nome di Berlusconi, ma tanto è bastato ai patiti del premier per dire che l’accusa del cardinal Bagnasco riguardava tutti, e non poteva essere usata contro il presidente del Consiglio. C’è stata anche una citazione infedele – questa sì strumentale – delle parole del cardinale da parte di alti esponenti cattolici del PDL, da Formigoni a Lupi a Quagliarello, che in una lettera all’Avvenire attribuiscono a Bagnasco una critica ai giudici per un’eccessiva attività investigativa “nei confronti di un’unica persona quando altri restano indisturbati”, mentre il riferimento personale nel discorso del cardinale non c’era ed egli non aveva parlato di singoli imputati, ma dei diversi “versanti” su cui non ugualmente si eserciterebbe l’azione punitiva della magistratura.

La vicenda è incresciosa, perché troppo alta era la posta (rispondere all’ “attonito sbigottimento del Paese, all’ “oscuramento della speranza collettiva”, al “cinismo” rassegnato di “un Paese disamorato, quasi in attesa dell’ineluttabile”) per lasciare spazio alle ambiguità e al gioco interessato degli equivoci. Meglio sarebbe stato il “sì sì, no no” dell’ evangelo e dire che l’innominato coincideva con la presidenza del Consiglio. Del resto non si capisce perché la Chiesa ha il coraggio di dire nome e cognome dei preti pedofili, e ha perfino deposto vescovi dai comportamenti censurabili, ma poi non osa sollevare il velo che nasconde l’impuro sacrario del potere politico.

Un’altra cosa importante ha detto il cardinale Bagnasco in quel consiglio della CEI: che ai fini di una presenza riconoscibile ed “efficacemente organizzata” dei cattolici nella società, si sta lavorando a un nuovo “soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica”: cioè, se non si tratta di una Fondazione come quella di D’Alema, un partito.

Ma quale partito? Nei partiti i cattolici ci sono già, a destra e a sinistra, e sono riconoscibilissimi (basta guardare la Televisione); se poi si tratta di fare un partito tra destra e sinistra, di fattura quasi esclusivamente cattolica, questo partito c’è già, ed è inutile che i vescovi ci lavorino: è il partito di Casini e forse, se riesce a portarsi dietro un po’ di parlamentari del PDL, di Pisanu. Se la CEI vuole ora un altro partito (o un’altra “interlocuzione” con la politica) di marca cattolica, non può trattarsi che di un partito confessionale; i suoi membri sarebbero infatti lì riuniti in forza della loro confessione, e non delle loro idee politiche, e i suoi contenuti sarebbero anzitutto quelli che la Chiesa presenta loro come “non negoziabili”, che però un partito o dovrebbe negoziare o dovrebbe imporre, scordandosi democrazia e laicità. Ma questo non va troppo d’accordo con il monito che negli stessi giorni Benedetto XVI rivolgeva ai cattolici tedeschi, quando diceva loro che il vero problema della Chiesa è di “distaccarsi dalla mondanità del mondo” e che questo riguarda anche i discepoli di una Chiesa “demondanizzata” e “liberata dal suo fardello materiale e politico”.

Ciò vuol dire che il problema di una efficace presenza dei cattolici “per rendere politicamente più operante la propria fede”, si pone in tutt’altro modo. Prima di tutto nel pluralismo, perché pluralistica è la società e molteplici sono le percezioni del bene comune e le vie per conseguirlo. Poi con responsabilità propria e senza rinvii ad autorità superiori; ma tutto questo è già spiegato nella Gaudium et Spes.

C’è però un problema specifico per l’Italia: questo pluralismo, e perciò anche quello dei cattolici, non è possibile nell’attuale sistema bipolare. Se tale sistema dovesse perpetuarsi, la Chiesa mal sopporterebbe che i cattolici non stiano tutti dalla stessa parte; e quelli che non ci stanno, nella riaffiorante tentazione dell’unità politica dei cattolici, soffrirebbero di una emarginazione come cristiani. Ci vuole invece pluralismo, sistema rappresentativo e proporzionale; allora i cattolici ci potrebbero essere, in vari modi, perfino con una “Sinistra cristiana”.