REFERENDUM RESPINTO

ORA SERVE LA POLITICA, TOCCA AL PARLAMENTO!

Domenico Rogante

16 Febbraio 2022

Nella giornata di ieri la Corte costituzionale ha giudicato inammissibile il referendum sulla depenalizzazione dell’art. 579 del Codice penale che disciplina il reato di omicidio del consenziente; una soluzione che, secondo il comitato promotore, avrebbe aperto le porte all’eutanasia legale. In attesa di conoscere le motivazioni integrali, la Corte ha respinto il quesito referendario affermando che “non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili.” D’altronde, questo esito era prevedibile in quanto il quesito referendario per come era stato concepito, se approvato, avrebbe dato il via ad una norma estrema che non si preoccupava di fare distinzioni tra malati e sani e in assenza di specificazioni e paletti ben definiti avrebbe rischiato di violare i diritti inviolabili delle persone, specie quelli dei più fragili, sulla quale il nostro ordinamento si fonda.

Nella giornata di ieri la Corte costituzionale ha giudicato inammissibile il referendum sulla depenalizzazione dell’art. 579 del Codice penale che disciplina il reato di omicidio del consenziente; una soluzione che, secondo il comitato promotore, avrebbe aperto le porte all’eutanasia legale. In attesa di conoscere le motivazioni integrali, la Corte ha respinto il quesito referendario affermando che “non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili.” D’altronde, questo esito era prevedibile in quanto il quesito referendario per come era stato concepito, se approvato, avrebbe dato il via ad una norma estrema che non si preoccupava di fare distinzioni tra malati e sani e in assenza di specificazioni e paletti ben definiti avrebbe rischiato di violare i diritti inviolabili delle persone, specie quelli dei più fragili, sulla quale il nostro ordinamento si fonda.

E’ tuttavia importante che questa sentenza non venga utilizzata come alibi per la politica per continuare a ignorare il problema come avviene colpevolmente da decenni, ma questa ultima decisione della Corte che rimanda ai chiari solleciti fatti dalla stessa con l’ordinanza 207/2018 e la sentenza 242/2019, deve servire a spronare il Parlamento ad intervenire tempestivamente con una legge che tenga insieme il diritto alla vita e la libertà di ciascuna persona di decidere, in particolari condizioni, di terminare la propria esistenza.

A mio parere, in questa direzione va la proposta di legge Bazoli (nome del deputato primo firmatario) che seguendo le indicazioni della Consulta nella sentenza 242/2019, ammette la possibilità per i soggetti maggiorenni, capaci di intendere e di volere, adeguatamente informati e che abbiano rifiutato esplicitamente un percorso di cure palliative, di richiedere l’assistenza medica per porre fine autonomamente e volontariamente alla propria vita, in presenza di una condizione clinica irreversibile e/o a prognosi infausta che provoca intollerabili sofferenze fisiche e psicologiche. La proposta di legge prevede anche che chi fa richiesta per la morte assistita deve trovarsi nella condizione di essere tenuto in vita da un trattamento sanitario la cui cessazione provocherebbe il decesso. Per definire ancor meglio questa ultima condizione sarebbe opportuno specificare ulteriormente cosa si intende per “trattamento sanitario di sostegno vitale” per evitare interpretazioni “dilatate” che possano contrastare i principi costituzionali.

Sarebbe opportuno che questa discussione sia accompagnata da un dibattito che approfondisca le ragioni che spingono un malato a decidere di terminare la propria vita, ragioni riconducibili sicuramente all’estrema sofferenza e al dolore ma molto spesso anche ad una condizione di solitudine e al pensiero di non voler “pesare” sui famigliari e le persone che verrebbero coinvolte da tale condizione. Lo Stato dovrebbe preoccuparsi in maniera prioritaria di abbattere gli ostacoli che danno al malato la percezione di un sistema sanitario di assistenza inaccessibile e che lascia indietro le persone più fragili; fermo restando la libera scelta di chiedere l’assistenza per terminare autonomamente la propria vita in determinate condizioni, è fondamentale assicurarsi che questa scelta sia davvero libera e non condizionata dalla considerazione di uno Stato incapace di far fronte alle esigenze di un malato nel lungo termine.

L’auspicio è che i nostri rappresentanti in Parlamento, non si facciano sfuggire l’opportunità di dare finalmente una risposta alle persone che sono direttamente coinvolte su questo tema e che per troppo tempo sono rimaste inascoltate. Se anche questa discussione dovesse concludersi con un nulla di fatto, come già avvenuto con il DDL Zan, sarebbe l’ennesimo fallimento in una legislatura che rischia di essere ricordata per le occasioni perse, a causa di una classe politica incapace di prendere decisioni in un quadro politico - istituzionale avvilente che non dimentichiamo essere stato determinato dal voto di noi elettori, complici.