Dove va il Partito democratico?

Agire Politicamente

Roma, 28 febbraio 2021

A questa domanda, rivolta in passato ai vari segretari che si sono succeduti alla guida del partito in nome di un presunto cambiamento, stentiamo a trovare una risposta da parte dell’attuale dirigenza. O meglio, con amaro disappunto, dovremmo dire che non va da nessuna parte, perché naviga a vista, nell’assenza totale di un progetto di partito e di società.

Forse un progetto c’è, almeno nella mente di Bettini, e di Zingaretti, che parla sotto dettatura del suo spin doctor: ed è quello di perimetrare il partito sulla componente social comunista, lasciando fuori le altre due componenti, quella liberale e quella cattolico democratica, che pur furono costitutive del progetto originario.

Lo si è visto nella designazione dei nomi fatti arrivare sul tavolo di Draghi per la formazione del governo. Si dirà che Franceschini e Guerrini vengono dalla tradizione cattolico democratica. Ma riteniamo che siano rimasti al loro posto non per la cultura politica che dovrebbero esprimere ma perché viaggiano nello stesso treno di Zingaretti, almeno fino alla prossima fermata!

Del resto, come spiegare l’esclusione della Zampa, storica portavoce di Prodi, dal ministero della salute, dove aveva ben lavorato, come sottosegretario, con il ministro Speranza? E a questa logica che, con un eufemismo, definiremmo “correntizia”, risponde anche la canditatura di Gualtieri, dalemiano doc, a sindaco di Roma.

Questi ed altri comportamenti che potremmo elencare sono indicativi dell’accresciuta verticalizzazione della gestione interna e di una autoreferenzialità, divenuta esclusiva dei mondi vitali, delle reti sociali, della vita della città. Ed è sorprendente che il segretario, ostinatamente imballato dall’alleanza strutturale (e ormai subalterna) con la compagnia farsesca di Grillo, continui a dichiarare che il Partito democratico è al centro de cambiamento del Paese, non accorgendosi che, intanto, il baricentro è scivolato altrove e che la sua sintassi non coincide con quella della società civile.

Che dire, poi, della rinuncia ad esprimere un proprio esponente quale leader della coalizione, a favore di Conte, promosso federatore del patto con i pentastellati e l’appendice di sinistra?

Per ultimo, ma solo in questa breve nota, ricordiamo che nel pieno delle consultazioni per la formazione del nuovo governo, Zingaretti ha detto che chi pensa al congresso è un marziano, forse suggestionato dalla spedizione su Marte, programmata in quei giorni! Ma perché? Teme il congresso, come occasione di regolamento interno dei conti? E invece, ne rivendichi il profilo statutario e lo calendarizzi quanto prima, come cantiere di riprogettazione del partito e apertura alla società, per una stagione di più alta speranza politica.