Il discorso religioso nella scuola

E l’ora islamica?

Lino Prenna

 Dopo la sentenza del TAR del Lazio sull’insegnamento di religione cattolica, l’ipotesi di attribuire a questa disciplina scolastica la possibilità di esprimere la valutazione degli studenti con un voto numerico e la proposta di introdurre nella scuola un’ora facoltativa di religione islamica hanno il merito di riaccendere un dibattito, molto vivace in passato ma, già da anni, uscito dall’agenda culturale e politica del Paese.

Le due proposte vengono dallo stesso fronte politico e, solo apparentemente, vanno in direzioni opposte, giacché ambedue tendono a rinforzare ed allargare lo spazio del discorso religioso nella scuola di tutti. E tuttavia è significativo, anche se prevedibile, che le bocciature più severe alla proposta della fondazione FareFuturo vengano dall’interno della stessa maggioranza di governo. Dovremmo quindi pensare che si tratti di un altro passo avanti di Fini verso una sua autorevole e credibile dislocazione, ancora dentro il PdL ma distante dalla Lega che, non a caso, ha rispedito sdegnosamente la proposta al mittente, e dagli stessi forzisti che, con argomentazioni più o meno etnocentriche e difensive dell’identità cristiana, hanno bollato la proposta come espressione di un “malinteso pluralismo culturale”.

Queste considerazioni, sia pure appena accennate, portano a ritenere politicamente impraticabile, al momento attuale, la proposta stessa, del resto respinta da alcuni esponenti del governo, perché non è nel programma elettorale della maggioranza! Si tratta, allora, di (ri)aprire un dibattito culturale, libero da logiche di parte e da rigidità ideologiche, per ripensare l’intero assetto scolastico del discorso religioso e intanto, nei prevedibili tempi lunghi di attivazione di una nuova e adeguata risposta della scuola alla “domanda religiosa” della società, qualificare l’attuale offerta scolastica in materia.

Come ho ricordato in un precedente articolo (v. Adista n. 92 del 19 settembre), la normativa attuale riconosce all’insegnamento di religione cattolica dignità formativa e culturale pari a quella delle altre discipline e attribuisce agli insegnanti della materia gli stessi diritti e doveri degli altri insegnanti. Dunque, se l’insegnamento di religione cattolica è impartito nel quadro delle finalità della scuola ed è equiparato alle altre discipline, perché non attribuirgli gli stessi strumenti e momenti valutativi, periodici e finali, di cui dispongono le altre materie? L’attribuzione del voto numerico è un passo avanti verso il riconoscimento de facto della piena legittimazione scolastica, stabilita de iure.

Ritengo che questa “integrazione” possa essere definita in sede amministrativa, mentre occorre un dispositivo di legge per regolare l’ora alternativa. L’urgenza di un intervento regolativo delle attività scolastiche per i non avvalentisi è stata segnalata più volte e ne facevo cenno anche nel ricordato articolo. Poiché tali attività dovrebbero avere attinenza all’area etico-religiosa, potrebbero proporre, quale oggetto di studio, la religione islamica o/e la religione ebraica o/e un etica sociale… Sicché, la proposta di introdurre un’ora facoltativa di religione islamica potrebbe, intanto, contribuire a coprire “l’ora del vuoto” come è stata definita l’ora alternativa. Si tratterebbe di un’ora rivolta non solo agli eventuali studenti musulmani ma anche ai non avvalentisi, che potrebbero scegliere tra le varie opportunità offerte dalla scuola. Mi rendo conto delle difficoltà organizzative che comporta l’attivazione effettiva di un’ora alternativa così concepita ma non è pensabile che uno studente attraversi l’intero arco degli studi senza imbattersi nella problematica religiosa che solleva lo studio delle religioni.

Il presidente della commissione Affari giuridici della CEI ha definito provocatoria ma interessante la proposta dell’ora islamica. Si tratta, allora, di raccogliere la provocazione, sviluppando l’interesse per una soluzione condivisa che, almeno al momento, sia compatibile con l’assetto concordatario e, comunque, rientri pienamente nella natura e nelle finalità dell’istituzione scolastica. L’ora di religione islamica o/e ebraica non può non essere concepita come materia di studio, come sapere religioso, compatibilmente con la natura della scuola, che è il luogo delle conoscenze criticamente organizzate. Sicché, la difficoltà di attivazione di un’ora scolastica di religione islamica o anche ebraica nascerebbe dallo statuto stesso di queste religioni “teocratiche”, nelle quali è faticoso distinguere il sapere dal credere, la conoscenza dall’esperienza, la religione dalla fede. Se fa difficoltà per la scuola la “confessionalità” della religione cattolica (che, tuttavia, riconosce la laicità delle istituzioni pubbliche), a maggior ragione diventa incompatibile con le finalità conoscitive della scuola una religione che si identifica con la propria fede.

Allora, la provocazione della proposta va accolta, per aprire un cantiere di riflessione e di rielaborazione dell’intero assetto del discorso religioso nella scuola. Non risponderebbe alle attese di una educazione interculturale l’attivazione di tante “ore” quante sono le religioni professate nella società, tantomeno se destinate, ciascuna, ai fedeli di quelle religioni. Questo criterio, oltre a selezionare gli studenti sulla base della loro anagrafe confessionale, aprirebbe un processo di “balcanizzazione religiosa” della scuola. Le materie di studio, anche quelle religiose, vanno offerte a tutti gli studenti e devono rientrare pienamente nel curricolo scolastico di ciascuno. Il luogo unitario del confronto culturale delle religioni e dei sistemi di significato è la classe, la stessa che apprende l’italiano, la storia, la matematica…

In questa prospettiva interculturale e interreligiosa trova legittimazione la proposta di attivazione autonoma, da parte della scuola, di un corso curricolare di cultura interreligiosa, per tutti gli studenti, declinato sulle tre religioni del mediterraneo, ebraica, cristiana, islamica, da articolare su base storico-comparata e con impianto fenomenologico-ermeneutico.

Su questa ipotesi mi piacerebbe che si confrontasse la pluralità delle voci culturali, politiche e religiose del nostro Paese.