Per costruire la città

… una proposta di cattolici democratici …

Bologna, Aprile 2010

Premessa

Salutando la città di Milano, con un discorso in consiglio comunale il Card. Martini ebbe a dire: ” la città è il luogo di una identità che si ricostruisce continuamente a partire dal nuovo…….. La paura urbana si può vincere con un soprassalto di partecipazione cordiale, non di chiusure paurose; con un ritorno ad occupare attivamente il proprio territorio e ad occuparsi di esso; con un controllo sociale più serrato sugli spazi territoriali e ideali, non con la fuga e la recriminazione.”

Se questa considerazione può valere per qualunque città, sembra che in modo del tutto particolare possa valere per la nostra città di Bologna, e possa porsi come base per un rinnovato impegno volto a tradurre la situazione di crisi che la città sta vivendo in una opportunità.

Opportunità di partecipazione attiva ed efficace dei cittadini a costruire una idea di città dove essi siano soggetti attivi della pubblica amministrazione e non semplici amministrati.

Opportunità per le forze che hanno il compito costituzionale di organizzare la partecipazione alla politica di rigenerarsi, uscendo dalla autoreferenzialità che da qualche tempo li caratterizza fino ad asfissiarli in una sorta di pulsione suicida.

L’ispirazione a cui si riferiscono le nostre associazioni si fonda sul personalismo e ed il solidarismo cristiano, intesi come volontà di uscire dal proprio privato per incontrare gli altri; come volontà propriamente politica di dilatare il proprio “io” nel “noi”, per inverare una politica capace del gesto gratuito del servizio non solo e tanto alla propria parte, quanto al bene comune.

Questa ispirazione ci ha non da oggi portato ad affondare le radici culturali della nostra azione nella esperienza sociale e politica del cattolicesimo democratico.

Stiamo parlando di “cultura” cattolico-democratica e di conseguente assunzione di responsabilità in quanto laici cattolici “nelle cose del mondo” secondo l’insegnamento del Concilio, prescindendo, qui, dagli strumenti con i quali ciascuno rende conto delle proprie coerenze.

La cultura cattolica nella quale  affondano le nostre radici, sembra oggi volersi tenere lontana da una laica elaborazione dei cambiamenti in atto, così da apparire quasi schiacciata dal “peso” quotidianamente attribuito esclusivamente ai cosiddetti “valori etici”, quasi che questi fossero isolabili da una etica complessiva che sia a supporto della ricerca del bene comune.

Sia chiaro, non vogliamo qui sostenere che problemi quali quelli della tutela della vita in ogni suo momento, della famiglia fondata sull’unione stabile fra uomo e donna, della disponibilità della propria vita e della propria morte, non siano problemi di primaria, fondamentale, importanza; semplicemente pensiamo che possano essere più efficacemente affrontati in un quadro di “etica della convivenza” che realizzi una organizzazione sociale, economica e politica fondata sul primato della persona e dei suoi inalienabili diritti.

La vita, la famiglia, non si tutelano con prediche moraleggianti e tanto meno con strumentali ed elettoralistici inchini alla “sacra pantofola” (magari con spudorata incoerenza rispetto ai comportamenti personali.

L’esperienza sociale e politica da cui deriviamo è quella che, insieme ad altre esperienze, ha concorso in modo determinante fin dalla stesura della Carta Costituzionale ad evitare che le categorie di ordine morale fossero ridotte immediatamente a categorie politiche; riduzione che impedisce alla morale di svolgere il compito che le è proprio di formazione delle coscienze.

Perché non possiamo tacere

Ci siamo formati secondo l’esortazione di Paolo VI° ad “amare la politica che è misura minima della giustizia che è misura minima della carità”. E’ quindi per noi assolutamente impensabile il sottrarci al dovere civico, prima ancora che politico, di opporci al dilagare della volgarità nei comportamenti pubblici e privati, all’affermazione di un sempre più aggressivo darvinismo sociale, ad una azione che dal governo stesso, una destra eversiva e clerico-reazionaria attua mirando alla demolizione ed allo sfascio della nostra Costituzione.

E’ ogni giorno più a rischio la nostra libertà di vivere in una Italia serena, non sottoposta a continue emergenze (magari da sfruttare cinicamente a favore degli amici da un punto di vista biecamente affaristico, o, altrettanto cinicamente, a fini di propaganda elettorale con la complicità di mezzi di comunicazione asserviti).

E’ ogni giorno sempre più a rischio la nostra libertà di vivere in un paese dove l’interazione fra persona e collettività funzioni, dove la produttività conosca un gesto gratuito, dove il capitale che si produce sia “capitale sociale”, fatto di fiducia, senso civico, lealtà fra cittadini e istituzioni.

Crediamo sia doveroso uscire da una cultura di governo fondata sull’individualismo e su un decisionismo che rifiuta un sistema di garanzie istituzionali, sempre più concentrato in poche mani e che mistifica una profonda attitudine antidemocratica dietro un presunto efficientismo.

Non è che da questa ubriacatura collettiva della presunta modernità del fare siano rimasti indenni i partiti del centro sinistra.

Ben altra politica avrebbe a nostro parere richiesto l’opporsi alla balcanizzazione del mercato del lavoro, alla privatizzazione ancora incalzante della sanità, della scuola, dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni, di servizi quali l’acqua, attività che per loro natura non debbono diventare risorse per produrre un profitto privato.

Perché non possiamo non scegliere

Da motivazioni culturali, prima ancora che politiche nasce il nostro impegno:

  • cultura dei diritti inalienabili di ogni persona;
  • cultura della pace senza se e senza ma;
    • cultura della solidarietà e dell’uguaglianza;
    • cultura della difesa delle ragioni della storia attraverso la difesa intransigente della Costituzione della Repubblica nata dalla Resistenza;
    • cultura del lavoro come mezzo di autorealizzazione degli uomini e delle donne del lavoro;
    • cultura della vita e della famiglia da concretizzare attraverso scelte economiche, politiche e sociali fondate sulla coerenza fra comportamenti sociali e convincimenti interiori;
    • cultura dell’accoglienza che non considera i lavoratori extra comunitari solo come merce da importare al bisogno.

La politica, come noi la intendiamo, è la trasposizione in esperienza civica, senza integralismi e dogmatismi, dei valori che hanno ispirato l’azione dei padri costituenti, cattolici e laici, quando hanno formulato la Legge Fondamentale improntata all’etica della solidarietà, della partecipazione democratica, della promozione dei corpi sociali intermedi, della valorizzazione delle rappresentanze della volontà popolare, della ricerca dello sviluppo integrale della persona, di ogni persona.

Per tutto questo, e per ciò che ne deriva, non da oggi abbiamo fatto la nostra “scelta di campo” anche se la nostra concezione della politica ci ha portato più volte ad esprimere critiche all’azione dei partiti del centrosinistra, alcuni dei quali hanno preferito fare i conti con la cronaca, piuttosto che con la storia, mostrando un frettoloso rincorrere il “mercato”, l’efficientismo, la modernità del decidere in pochi perché così si è più efficienti, rischiando con ciò di non risultare più punto di riferimento per il tradizionale blocco sociale e di non essere convincenti per coagulare le nuove istanze; altri si sono fatti schiacciare dal peso di tatticismi dettati dalla paura della insignificanza politica e dalla incapacità di mitigare la logica della tecnocrazia e del fare.

Bologna tra passato e futuro

La situazione che si è creata nella città di Bologna non è dovuta solo ad un infortunio di percorso o ad una contingenza negativa, quanto piuttosto essa rappresenta l’ultimo segno di un progressivo degrado che ha appannato la capacità della città di progettare e costruire un proprio futuro credibile.

In nome dell’efficientismo e della modernità del fare, anche Bologna ha affievolito il desiderio, la capacità di vivere una effettiva democrazia partecipata e la speranza che questa possa produrre una convivenza migliore. Si sono anche qui tentate “vie brevi” solo apparentemente risolutive dei problemi

  • Le trasformazioni del P.C.I. in P.D.S. e D.S. a partire dalla storica “svolta della Bolognina”, seppur sono state compiute con onestà intellettuale, non hanno prodotto, se non in minima parte e comunque sempre e solo in termini di confronto “numerico”, il superamento del concetto di “egemonia” proprio di un partito che in città raccoglieva il 50% dei consensi.
  • La struttura “leggera” tipica dei partiti intesi come “macchine elettorali” più che come centri di elaborazione politica, che si è voluta praticare con l’accompagnamento di riti di cui i celebranti predeterminavano l’esito, come le “primarie” che abbiamo conosciuto (finendo con l’indebolire l’indubbia carica democratica che lo strumento può contenere se correttamente usato); la conseguente valorizzazione del “partito degli amministratori” assolutamente inidoneo a colmare il vuoto del Partito partecipato.

E’ proprio l’assenza di luoghi di elaborazione politica partecipata attraverso il confronto e la conseguente sintesi, che mette a rischio di emarginazione l’apporto di culture indispensabili come quella dei cattolici democratici e che può indurre a giustificazioni frustranti della propria rappresentatività con conseguenti approdi politici impropri.

  • La mancanza di una adeguata elaborazione del mutare del concetto di “rappresentanza” cambiando il sistema elettorale con l’introduzione della elezione diretta del sindaco.
  • L’inaridirsi della partecipazione democratica dei cittadini, cui ha non poco contribuito la dissennata scelta di modificare i confini territoriali dei quartieri, nonché i criteri di attribuzione delle deleghe.
  • La “guerra per bande” che ha portato alla amministrazione di centro-destra.
  • Il rapporto non proprio fluido, spesso conflittuale che ha caratterizzato l’amministrazione Cofferati.

Sono alcuni dei motivi che hanno finito per ridurre la capacità di interpretare la città, i suoi vissuti, le istanze vecchie (modello di sviluppo, viabilità, grandi infrastrutture, ruolo del centro storico, università) e nuove (immigrazione, nuove povertà, crisi economica, disoccupazione, precariato, condizione giovanile, degrado, sicurezza, politiche famigliari) e di elaborare una proposta politica complessiva che desse una certezza di novità e adeguatezza e non sembrasse solo una rincorsa alla modernità della destra, magari con qualche attenzione in più alla sostenibilità sociale (privatizzazioni: dalle farmacie alle grandi S.p.A di gestione dei servizi con particolare riferimento all’acqua, alle liberalizzazioni generalizzate di cui si sono sottovalutate le ricadute sulla convivenza sociale).

L’azzardo di una proposta

Siamo convinti che oggi occorra un di più  di presenza democratica in città sia oggi per interloquire col commissario, sia per scongiurare il rischio, narcotizzante per lo sviluppo della vita democratica della città, che in fin dei conti il commissariamento possa essere un fatto positivo.

Siamo altresì convinti che non esiste democrazia senza partiti politici; siamo convinti che a loro competa di elaborare la proposta politica per il futuro di Bologna e che a questa elaborazione possa portare un qualche valore aggiunto il contributo della cosiddetta “civicità”, quando non sia un cialtronesco espediente per mascherare uno schieramento politico.

Ma proprio per evitare di aumentare il rischio di autoreferenzialità dei partiti occorre che la loro elaborazione sia fortemente ispirata dall’ascolto della città e corroborata dalla mediazione politica con le istanze che la città esprime.

A questo proposito vorremmo qui avanzare la proposta di avviare un percorso di costruzione di una “costituente per Bologna”, in grado di recuperare il valore evocativo del termine costituente. Noi, per parte nostra, pensiamo di rivolgerci al mondo dell’associazionismo ed ai movimenti esterni ed interni ai partiti per verificare le possibili convergenze su alcuni contenuti a nostro avviso prioritari quali: il Welfare locale ed il passaggio da un sistema di “stato sociale” ad un sistema di “società sociale”, il lavoro, la partecipazione ed i suoi strumenti efficaci, il ruolo del centro storico, l’immigrazione, la condizione giovanile; nonché su questioni di metodo per inverare il fatto che democrazia non è andare a votare alle scadenze previste, ma è soprattutto partecipare alle scelte, decidere chi meglio può concretizzarle e verificare la loro attuazione.

Siamo convinti che alle prossime, speriamo vicine, elezioni cittadine sia necessario vincere per impedire che lo “stile di governo nazionale” si affermi anche nella nostra città, ma siamo ancora più convinti che sia necessario vincere per governare nella ricerca del bene comune, per riportare i cittadini da “governati” a popolo sovrano, per dare a tutti l’occasione di partecipare alla realizzazione del sogno di una città ancora capace di cercare l’armonia fra le esigenze dei singoli e le esigenze collettive, di proporre alle nuove generazioni l’opportunità di una vita vissuta come un viaggio avventuroso dello spirito capace di dilatare ogni singolo “io” in un “noi” solidale perché non condizionato dalle nevrosi del successo e del potere.

Forse tutto ciò può sembrare utopistico, ma siamo convinti che oggi il massimo di concretezza possibile stia proprio nel perseguire l’utopia.