Uno strano modo di interpretare il significato di “Cittadinanza Attiva”


Lettera aperta a Marco Tarquinio, Direttore Responsabile di “Avvenire”


Pietro Lacorte

Ostuni, 03/06/2011

Il Dottor Sergio Soave, nell’editoriale apparso in prima pagina di “Avvenire” del 26 u.s. dal titolo: “Questioni di merito”, sostiene che “non partecipare al voto in caso di referendum abrogativo è una forma di espressione di una volontà politica, quella di preferire che su materie complesse e controverse si cerchi una soluzione parlamentare invece di un verdetto ovviamente semplificatore come quello che nasce da un «SI» o da un «NO», esaltando in tal modo il ruolo di un parlamento il quale sarebbe unico in grado di esercitare un sano discernimento su “materie che alludono a problemi complessi e nodi istituzionali che hanno una loro corposità oggettiva”.

Al sottoscritto sembra che l’istituto del referendum è stato previsto dai padri costituenti per offrire al popolo sovrano il modo di poter esprimere il proprio parere su deliberati dei suoi rappresentanti eletti in parlamento. Questo sta a significare che i cittadini hanno il diritto-dovere di esprimere un loro giudizio di merito su quanto viene deciso negli organi di rappresentanza istituzionale.

Sostenere invece, come fa il Dottor Soave, che in tema di “materie complesse e controverse”, come quella della opportunità o meno di costruire nuove centrali nucleari, i cittadini, nella loro maggioranza, non siano in grado di decidere nel modo libero e giusto le loro scelte “sull’onda emotiva che si è sviluppata nel mondo dopo il disastroso tsunami giapponese”, significa negare la loro capacità di poter operare scelte che assicurino una crescita che, oltre al benessere, prevedano anche una sicurezza di vita.

Il Dottor Soave ignora che il voto nei referendum viene espresso alla fine di una campagna di dibattiti ampi fra opposti modi di vedere, volti a stimolare una ponderata riflessione, sia pure sull’onda di emozioni, le quali però costituiscono uno stimolo efficace per tenere nella dovuta considerazione la materia oggetto di scelta.

Le emozioni sono il sale della vita. Senza emozioni non vi sarebbe alcuno stimolo per pensare e per agire.

Una scelta referendaria, generata da un’emozione soppesata e valutata nella giusta portata, non è la conseguenza di un «impulso» immediato, privo di riflessione.

Se poi si vuole entrare nel merito di quello che attualmente sono le istituzioni parlamentari, bisogna avere l’onestà di riconoscere che esse sono l’espressione di rappresentanti designati dai vertici dei partiti e nominati dagli elettori senza alcuna possibilità di scelta preferenziale, se non quella di schieramento; tali rappresentanti quindi non avrebbero titolo di ritenersi autentici rappresentanti del popolo.

È onesto allora continuare a sostenere il ruolo e la legittimità di istituzioni siffatte, a scapito di quanti desiderano esercitare le prerogative di una “cittadinanza attiva”, la quale costituisce l’espressione più alta di esercizio di un dovere civico a difesa della dignità delle persone e del bene comune?

È giusto allora che una persona che scrive un’editoriale sul quotidiano ritenuto come il giornale dei Vescovi, si ponga una domanda del genere, alla luce di quanto chiaramente sancito nella dottrina sociale della chiesa.


Vedi dossier "Referendum 2011"