Fini ha avuto coraggio, i cattolici democratici si sono dispersi

di Nino Labate

Al di là delle conclusioni illiberali del suo partito, Gianfranco Fini ha avuto il merito e il coraggio di rispolverare il termine di corrente politica. Che era stato messo in soffitta e depositato tra i ferri vecchi del Novecento per l’uso ricattatorio e spartitorio con cui veniva inteso e adoperato.

Il suo significato originario invece non è negativo. Quando non è una istanza conservatrice e nostalgica, racchiude spesso un pensiero politico innovativo, delle idee, un cammino condiviso, un progetto. La degenerazione del termine è sopraggiunta quando si è identificato con gruppi di potere.

Con il correntismo o con la correntocrazia dei pacchetti di tessere. Debordando addirittura all’esterno per creare partitini personalizzati che grazie a sistemi elettorali ultraproporzionali hanno polverizzato la rappresentanza in differenze insignificanti.

Una volta avviati verso il bipolarismo italiano con due grandi partiti in competizione, la paura di una frammentazione interna ha frenato qualsiasi dissenso e qualsiasi discussione.

Ma con ciò si è sacrificato sull’altare dell’omologazione il diritto alle divergenze e alla pari dignità di proposta. Mettendo a tacere il pensiero critico e il dibattito che sono alla base della democrazia dei partiti, come ci ricorda l’articolo 49 della Carta. In una concezione padronale e aziendale del partito politico, come quella di Berlusconi, è chiaro che le correnti rappresentino un pericolo. Ma se il Fini antileghista non è in preda ad una crisi di astinenza di leadership e al nostalgismo della destra sociale almirantiana ed evoliana, e se non chiede posti, allora a me pare che vada ringraziato perché ha proposto la dialettica politica nella destra italiana da quindici anni inesistente. Quella dialettica eccessivamente presente invece nella sinistra del dopo “Muro”.

Nel frattempo Berlusconi ha messo in agenda l’inizio del suo declino avvertendo col suo noto fiuto il tramonto della sua leadership carismatica. Si può dunque giustificare il suo pensierino sulle elezioni anticipate che Fini dialogando con Lucia Annunziata identifica però col fallimento del Pdl. La corrente di Fini si presenta sulla scena della dialettica politica interna ai partiti nella veste più dignitosa. Leale e trasparente. Non nasce come un fungo. E non chiede poltrone: anzi inizia ad abbandonarle con Bocchino. Questa corrente ha alle spalle una Fondazione che ha immaginato “Futuro”. Cercando una nuova idea di stato, di welfare, di Mezzogiorno, di coesione sociale, di immigrazione, di legge elettorale, ecc. Ha realizzato un sito web, una rivista; possiede un quotidiano; ha organizzato convegni e dibattiti per socializzare quanto si andava producendo. Se poi tutto ciò è stato pensato in funzione di quel terzo polo di cui Rutelli guardando a Casini e a Montezemolo è “in attesa”, lo sapremo presto.

Rimangono tuttavia sospesi alcuni interrogativi. Quello principale riguarda il riconoscimento e la difesa della nostra Costituzione frutto dell’incontro incredibile tra cattolici, social-comunisti e liberali, che ha escluso i suoi antenati postfascisti. Dobbiamo dunque dare un bentornato alle correnti? Il punto non è questo. Perché dobbiamo invece dare un bentornato alle differenze, utili alle sintesi e alla mediazione. E dobbiamo rallegrarci per la ricomparsa del diritto di parola in un partito bonapartista.

Se ci soffermiamo sulla storia di quella parte riformista del cattolicesimo politico che definiamo cattolicesimo-democratico, osservandola nella sequenza “sinistra Dc”, Ppi, Margherita, Pd, dobbiamo dare atto che dopo la sparizione del Ppi, una presa di posizione netta come quella di Fini non c’è mai stata. Nonostante la nascita formale di una Associazione.

Grande gratitudine dunque. Ma anche, sul piano della cultura politica, colpevole superficialità e grave miopia che hanno fatto disperdere un patrimonio di umanesimo democratico e di laica spiritualità lasciato nel migliore dei casi alla singola testimonianza individuale e all’amarcord.

Ufficialmente da questi cattolici non sono mai nate correnti organizzate, sia nella Margherita quanto nel Pd, passando dalle esperienze uliviste e unioniste. Tentativi ce ne sono stati (Chianciano, Assisi) ma si sono rivelati tentativi di correntismo, più che incontri di “corrente di pensiero” aperti anche ad “esterni” per studiare e progettare futuro alla luce di una comune ispirazione. Sono anche nate due o tre fondazioni. Ma senza risultati. È in questo modo che si è disperso un pensiero non secondario per la democrazia del nostro paese e che troviamo fuso nei valori della nostra Costituzione.

La delicata fase che attraversa la Chiesa cattolica, quella del “perdono” di Ratzinger e quella dell’esaurirsi del “Progetto culturale” di Ruini, fa toccare con mano l’assenza di un laicato associativo all’altezza di questo particolare e delicato momento della storia cattolica ma anche politica italiane, che chiede ad alta voce “rinnovamento e collegialità”.

Forse non è troppo tardi. Il cigno della cultura politica cattolico democratica canta da un poco di tempo. Ma, parafrasando Pietro Scoppola, prima di farlo morire è un dovere cercare più che «…una casa per i cattolici democratici», «la casa dei cattolici democratici». Senza nostalgia. Senza correntismo. Aperta e trasversale.

Da “Europa” - Sei in commenti - 1 maggio 2010