Art. 41 - Però è in contrasto con l’ordinamento europeo

Art. 41 , manifesto solidale

Flavio Felice

9 Febbraio 2011

Va riscritto solo in parte, «tagliando» la prescrizione di interventi di Stato e inserendo invece la tutela attiva dei consumatori e della libera concorrenza

Nel clima malsano dell’attuale politica italiana, consapevoli del 'disastro antropologico' denunciato dal cardinal Bagnasco, a molti sono parse quanto meno surreali le parole del presidente del Consiglio sulla proposta di riforma dell’articolo 41 della Carta costituzionale evocata dal ministro dell’Economia. Tale articolo rappresenta un architrave della cosiddetta 'Costituzione economica' del nostro Paese e consta di tre commi. Perché si possa cogliere fino in fondo il significato di questo articolo , compresi i limiti, credo sia necessario sottolinearne il retroterra culturale. In breve, gli articoli 41 , 42 e 43 della Costituzione risentono di una cultura economica quanto meno scettica nei confronti del sistema di libero mercato.

Tale cultura venne scossa dal processo di unificazione europea. È opinione diffusa che la concezione 'ordoliberale' dell’economia sociale di mercato tedesca influenzò significativamente la filosofia di fondo dei Trattati istitutivi della Comunità economica europea. Entrò, dunque, in Italia, per via europea, il principio di concorrenza, la consapevolezza che il processo di mercato non rappresenta tanto un possibile disvalore da contenere, quanto un valore da far crescere e maturare. Negli articoli 81, 82 e 86 del Trattato che istituisce la Comunità europea del 1992 si afferma il principio di concorrenza come principio ermeneutico che esprime l’identità economica dell’Europa.

Sono vietati gli accordi tra le imprese, tra le associazioni, così come sono proibite tutte quelle pratiche che pregiudichino il mercato e che ne restringano o ne falsino la libera concorrenza, enunciando altresì l’irriducibile inconciliabilità tra la presenza di imprese che abusino della loro eventuale posizione dominante e il principio di concorrenza. Sulla base di quanto scritto, è possibile ipotizzare una riforma dell’articolo 41 , conservando tutto ciò che merita di essere conservato, in buona sostanza il primo comma, che sancisce la libera iniziativa economica, e il secondo, che stabilisce i limiti entro i quali ciascun privato è tenuto ad operare. Il secondo comma, in particolare, ci rinvia a un’affermazione di principio inderogabile, che per i cristiani significa riconoscere le condizioni minime affinché si possa cominciare a parlare di 'bene comune'. Non è un caso che proprio in questo articolo , e in particolare in questo comma, s’intraveda l’influenza esercitata dagli estensori del Codice di Camaldoli, alcuni dei quali poi divennero padri costituenti.

Qualche problema è posto dal terzo comma: «La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali». Qui andrebbe ricordato che proprio all’interno della Democrazia cristiana si confrontarono due anime, quella dossettiana, che vedeva nella Costituzione non uno strumento con il quale porre un limite al potere, bensì un piano di ingegneria sociale, e quella di Alcide De Gasperi (e invero di don Luigi Sturzo), per il quale nessun principio guida per la politica è migliore del noto aforisma di lord Acton: «Il potere tende a corrompere, il potere assoluto corrompe in modo assoluto».

Con il Trattato di Roma del 1957 e quello di Maastricht del 1992, l’Italia ha fatto propria la prospettiva dell’economia sociale di mercato, in forza della quale si assume il carattere funzionale dello Stato alla costruzione dell’ordine sociale e non finalistico, in nome di un tanto meritorio quanto indefinibile concetto di 'utilità sociale'. In sintonia con i principi di sussidiarietà e di poliarchia, in materia economica, alla Stato spetterebbe il compito – non esclusivo – di stabilire le regole che consentano all’autonoma e creativa capacità delle singole persone e delle comunità di contribuire al perseguimento del bene comune. Un bene comune che consta di una pluralità di condizioni (beni), per i quali è necessaria una pluralità di istituzioni: è anche questo un modo per concretizzare l’invito del pontefice a guardare la politica come «la via istituzionale della Carità», avendo a cuore i principi di sussidiarietà e di poliarchia.

Per questa ragione, come centro studi Tocqueville- Acton, abbiamo pensato di offrire un contributo alla riflessione, proponendo una revisione dell’articolo 41 che lasci intatti i primi due commi e sostituisca il terzo con altri due commi. Questi ultimi riprendono letteralmente parti degli articoli 81 e 82 del Trattato di Maastricht. L’articolo verrebbe così riformulato:

«L’iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge garantisce la tutela dei consumatori e la fornitura dei servizi di interesse generale in regime di libera concorrenza, sanzionando chiunque operi per impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza.

È incompatibile con il mercato in regime di libera concorrenza lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato nazionale o su una parte sostanziale di questo ».

Chi scrive, da anni sostiene l’opportunità di modificare l’articolo 41 , recependo i suddetti articoli del Trattato di Maastricht, ma altresì mette in guardia da coloro che presentano tale riforma come 'la frusta' che provocherà la ripresa economica. Non scherziamo! Si tratta di un chiaro 'articolo manifesto’, figlio di un’epoca e di una cultura politica. Una cultura politica alla quale va tutto il nostro rispetto, insieme alla stima nei confronti di uomini che eroicamente ci restituirono alla libertà e alla democrazia. Lo sbandieramento di una riforma costituzionale, in questa fase surreale della politica italiana, rischia di nascondere le ragione autentiche di una riforma auspicabile, offuscando le ragioni che spinsero Sturzo a lottare una vita intera per un mercato disciplinato – e per questo più libero e aperto – contro le «tre male bestie della democrazia»: «Partitocrazia, statalismo, abuso del denaro pubblico».

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