I laici cattolici lontani dalla politica. I cattolici politici lontani dalla realtà

Raniero La Valle

10 Marzo 2011

da Arcoiris

Nel momento più tragico della storia civile d'Italia il vuoto accompagna cinque anni di un potere incontrollato. Danni irreparabili per chi erediterà il disastro favorito dal clericalismo che gioca con la politica

Qual è il ruolo dei cittadini, e dei laici cristiani, nella politica d’oggi? La prima domanda è: dove sono nati i laici?

I laici sono nati nel Mediterraneo. Essi infatti sono nati nel momento stesso in cui gli uomini delle civiltà mediterranee sono usciti dall’involucro del sacro, e hanno conosciuto la libertà dei figli di Dio. Ciò è avvenuto in Palestina, nel momento preciso del passaggio da Giovanni Battista a Gesù. Giovanni Battista è ancora nell’orbita del sacro, parla a un popolo eletto da Dio, è tormentato dal pensiero dell’inguaribile peccato, è un predicatore apocalittico che annuncia la distruzione di questo mondo (“la scure è già posta alla radice dell’albero”), perché un altro mondo possa venire. È l’ultimo profeta della “storia sacra”, della vecchia “economia”. Gesù è il nuovo e vero profeta, il Padre lo manda a tutti gli uomini senza distinzione di persone, entra nella storia di tutti, ascoltando Lui tutti avranno salvezza, il regno di Dio non è al di là del mare o al di là dei cieli, non è rinviato a un tempo escatologico, ma è qui, in mezzo a noi, in questo mondo amato da Dio.

Gli ebrei erano un popolo, un “laós”, ma certamente non erano laici, erano un popolo sacro, separato dai popoli comuni, eletto e messo da parte per Dio, e la loro vita, in quanto sequestrata da una sacra promessa che non si realizzava, era – come dicono i sapienti ebrei, come Scholem – una vita vissuta nel “differimento”, nel rinvio. I Gentili, i laici, invece, sono molti popoli, i popoli della storia ordinaria e comune, a cui sono estese, senza discriminazione alcuna, l’elezione e le promesse di Dio; vivono nell’attesa della pienezza dei tempi, ma non nel differimento, non nel rinvio, perché la loro vita è già partecipe del regno, la loro laicità sta già nell’oggi di Dio. Gli ebrei dovevano purificarsi, perché erano contaminati dal sacro, e il sacro era profanato da loro; i laici non devono purificarsi, perché Dio è in mezzo a loro, senza contaminarli e senza esserne profanato. Le leggi di purità sono esaurite, e non c’è né sacro né profano che possa separare gli uomini dall’amore di Dio; se Gesù risorge dai morti, non c’è più niente di impuro.

Questi cenni bastano a dire che “laico” non si contrappone a “religioso”, ma a “sacro”; e che laico è ciò che è comune, mentre sacro è ciò che è messo da parte, separato per Dio.

Questo passaggio dal sacro al laico, dal sacro pericoloso e contaminante al laico salvato e salvifico, è la novità di Gesù, è l’insegnamento di Paolo, è la fede delle prime comunità cristiane. E tutto avviene da un capo all’altro del Mediterraneo: alla Pentecoste sono tutti lì, ebrei e proseliti, cretesi ed arabi; Paolo va in Grecia e a Roma; Pietro è un extracomunitario che viene ucciso a Roma; Chiese d’Oriente e d’Occidente si sposano attraverso il Mediterraneo, da Alessandria a Gerusalemme, da Antiochia ad Ippona, da Costantinopoli a Roma; e anche le spoglie di San Nicola arrivano a Bari, e quelle di San Marco a Venezia.

Che fare col Mediterraneo

Come diceva l’altra sera in Tv Andrea Camilleri, “il Mediteranno è una vasca”, e noi siamo seduti sui bordi, e ci stiamo tutti insieme, laici e preti, rabbini ed imam, maestri e discepoli.

Dunque l’aver fatto del Mediterraneo una specie di fossato che divide due mondi opposti, europei ed arabi, cristiani e musulmani, Occidente ed Oriente, “asse del bene” e “asse del male”, come diceva Bush, è una cosa contro natura, ed è contro la nostra stessa identità come nazione, che è una nazione mediterranea.
Ed oggi questa natura, questa nostra identità, ci presenta il conto: che fare con le migliaia di profughi che arrivano dalla Tunisia e dalla Libia? Che fare con i popoli arabi che insorgono contro le dittature finanziate e baciate dallo stesso Occidente? Che fare con Israele che torna a rivendicare un diritto sacro di conquista su tutta l’antica terra di Palestina, che fare con i palestinesi abbandonati da tutti, offerti in sacrificio come prezzo del risarcimento di Israele? Che fare per la pace del mondo, che comincia proprio qui, da noi?

Queste sono le domande brucianti di oggi; e a queste domande, cari amici, dobbiamo rispondere noi, non possiamo certo lasciare che a queste domande rispondano La Russa o Maroni. È la coscienza e l’identità del nostro popolo che sono in gioco; e nemmeno, come laici, possiamo lasciare che a rispondere siano i dicasteri della curia romana col dialogo interreligioso. Occorre una invenzione culturale e politica nuova, che potrebbe essere quella di una grande comunità politica mediterranea, consorziata con quella europea, in cui tutti i popoli mediterranei vivano con un diritto comune e con istituzioni comuni.

Promuovere un’Unione mediterranea che abbracci i popoli rivieraschi dell’Italia e della Libia, del Maghreb e della Francia, dell’Egitto e della Grecia, di Israele e della Palestina, della Croazia e del Libano, può essere un passo decisivo per ricomporre l’unità del mondo su uno dei confini più accesi delle famose “guerre di civiltà“, e per avviare un nuovo ordine geo-politico nelle relazioni internazionali, non più solo modellato dalla potenza e dal denaro, ma plasmato dalla politica e dal diritto.

Purtroppo però non c’è nessuno oggi che possa avanzare così grandi progetti, tanto meno in Italia. Purtroppo i laici italiani sono ridotti senza strumenti, senza voce, sono ridotti al silenzio sia nello Stato che nella Chiesa.

L’attacco allo Stato

Lo Stato italiano attraversa uno dei periodi più gravi della sua storia, certamente il più grave dalla fondazione della Repubblica. Incautamente negli ultimi vent’anni è stato creato un sistema elettorale e politico che allontanandosi dalla Costituzione repubblicana ha creato le condizioni per l’installarsi di un potere incontrollato, che si proclama irreversibile per almeno cinque anni, quanti ne passano tra un’elezione e l’altra. Ma cinque anni di un potere incondizionato possono fare danni irreparabili; in nessuna democrazia del mondo c’è un sistema per cui in nessun modo si possono mettere alla porta un primo ministro e un governo divenuti lesivi della reputazione, della pace sociale e degli interessi generali del Paese; in nessuna democrazia del mondo c’è un sistema in cui non c’è altro da fare che chiedere o aspettare che, almeno per decenza, un primo ministro sotto accusa dia le dimissioni.

Ciò accade solo nelle dittature. Se accade in Italia è perché la principale istituzione di garanzia, il baluardo delle pubbliche libertà, l’organo investito di un potere ispettivo e critico nei confronti del governo, il Parlamento, è stato del tutto snaturato nella sua funzione e distolto dai suoi fini. Il Parlamento trae la sua legittimità dal fatto che i suoi membri siano eletti e non nominati, e che la loro ripartizione tra i gruppi politici corrisponda sostanzialmente al rapporto di forza esistente tra le famiglie politiche nel Paese. In Italia questo non c’è più. Solo adesso ci accorgiamo che la legge elettorale vigente, la legge Calderoli, sbeffeggiata dal suo stesso autore fin dal suo nascere, ha in realtà distrutto il principio rappresentativo. Con il suo alto sbarramento ha escluso dal Parlamento importanti forze politiche di minoranza; con la nomina dei parlamentari su liste bloccate ha trasferito l’origine del loro potere dagli elettori ai potentati partitici o padronali che fanno le liste; con il premio di maggioranza assegnato al migliore perdente, istituisce una maggioranza schiacciante capace di tenere in vita, contro ogni ragionevolezza, un governo cui sia venuta meno la fiducia del Paese.

La legge elettorale infatti funziona così: essa mette in palio un trofeo di 340 deputati e del 55 per cento dei senatori in ogni regione, ciò che vuol dire una maggioranza inattaccabile dai voti di sfiducia. Se nessuno riesce a vincere aggiudicandosi la posta, cioè se alle urne nessuno riesce a conquistare coi suoi voti quel numero stabilito di parlamentari, questa somma di seggi viene data in premio (cioè come premio di maggioranza) al migliore perdente, cioè alla maggiore delle minoranze; e a questo punto il riparto dei seggi non è più proporzionale, perché la minoranza premiata si prende, per raggiungere la quantità di parlamentari assegnatale, i seggi già attribuiti alle altre minoranze, alle quali essi vengono tolti.

In questo modo il Parlamento non è più un potere “altro” rispetto al governo, ma è in sostanza lo stesso governo nella sua proiezione parlamentare, mentre le opposizioni sono ridotte a un cosiddetto diritto di tribuna, cioè possono parlare ma non fare nient’altro. Quando oggi si accusano le opposizioni di non fare abbastanza per far cadere il governo Berlusconi, la realtà è che esse non possono fare proprio niente, se non protestare ed aspettare, come facevano i cattolici al tempo del “non expedit”, quando protestavano aspettando la caduta dello Stato liberale, che però non cadeva mai.

E mentre, nonostante gli attacchi a cui sono sottoposte, le istituzioni di garanzia reggono, dal Presidente della Repubblica alla Corte Costituzionale, la vera anomalia italiana è oggi rappresentata dal fatto che il sistema politico istituzionale non è più in grado di provvedere a un normale ricambio di governo, e non ha armi per difendersi dai colpi che lo stesso governo gli infligge. Il Parlamento nella sua maggioranza, nonostante la pur importante defezione di Fini, non è in grado di acquistare una sua autonomia dal potere da cui trae origine, cioè dallo stesso Presidente del Consiglio che dovrebbe sfiduciare, e si è trasformato in un collegio di difesa del Premier e in un bivacco di avvocati.

La situazione è quindi molto grave; siamo in una condizione di democrazia interrotta, con un antistato che si è insediato al governo; esso infatti è in lotta con la magistratura, con la Corte Costituzionale, con il Quirinale, con la scuola di Stato, con la presidenza della Camera, e anche con il fisco, perché dipinge le tasse come un furto e lo Stato come un borseggiatore; inoltre istituisce come reato la categoria di straniero, mentre al suo interno non è nemmeno d’accordo con l’unità d’Italia.

Per questi motivi è compito dei cittadini denunciare lo scandalo di un Parlamento alienato dai suoi fini istituzionali, e fare appello a quei parlamentari che a ogni richiesta votano la fiducia, perché non interpongano più il loro voto a impedire la parlamentarizzazione della crisi e, con il venir meno del governo, permettano nei tempi più rapidi lo scioglimento delle Camere e la restituzione del potere al popolo sovrano. Qui la proposta sarebbe di promuovere una petizione popolare per esporre alle Camere questa necessità a norma dell’art. 50 della Costituzione.

L’eclisse politica dei cattolici

Qui si pone però il problema specifico dei cattolici. Oggi c’è un silenzio dei laici nella Chiesa, che inevitabilmente diventa anche un silenzio dei laici cristiani nella vita pubblica.

Da quando è venuto meno il cosiddetto partito cristiano, i cristiani si sono infatti eclissati dalla politica. Non la fanno più, la subiscono, non ne sono più soggetti ma oggetti. Certamente ci sono dei cattolici in tutti i partiti, e alcuni siedono perfino in Parlamento. Ma se pure essi agiscono in politica cercando di essere fedeli in segreto a una coscienza cristiana, nulla di tale ispirazione appare visibilmente nella vita pubblica, e in nessun modo il movente cristiano, nella laicità dell’agire politico, appare produttivo di specifiche proposte e percepibili risultati.

C’è invece, questo sì, un clericalismo nella vita politica, di chi prende atteggiamenti plateali e produce decisioni politiche volte a soddisfare questa o quella richiesta della Chiesa; ma qui non è questione di ispirazione cristiana, lo fanno infatti anche molti che non sono affatto cristiani; lo fanno i cosiddetti atei devoti, lo fanno i dirigenti pagani della Lega e lo fa persino Berlusconi, nonostante l’harem mantenuto a Milano.

Ma la cosa più grave è che nella situazione attuale, nonostante gli appelli per l’ingresso di una nuova generazione di cattolici nella politica, non si dà alcuna possibilità che si ripristini una tale presenza cristiana, fino a che non siano rimosse le cause che la impediscono. Perciò dobbiamo cercare di individuare queste cause.

  • 1) La prima causa è il sistema di bipolarismo selvaggio che è stato introdotto in Italia, che trasforma il confronto politico in una lotta ad oltranza tra amico e nemico. Questo stile di lotta non si addice ai laici cristiani. Pensate a uomini come Sturzo, Moro, De Gasperi, Dossetti, La Pira, gettati nella fornace dell’attuale massacro televisivo che si ripete ogni sera.
  • 2) La seconda causa che preclude un’efficace presenza dei cattolici è legata alla prima. Il sistema è fatto solo per chi sia o pretenda di essere maggioranza. Chi non ha una “vocazione maggioritaria”, come viene chiamata, ma ha uno spirito di profezia o una proposta politica che oggi è di minoranza ma che può diventare di maggioranza domani, è in via di principio escluso dal sistema. Il sistema bipolare e maggioritario esclude le minoranze o ne pretende l’assimilazione all’una o all’altra parte contendente. Ora è a tutti noto che i cristiani sono una minoranza. Lo erano anche ai tempi della Democrazia Cristiana, ma allora il sistema politico permetteva che essi, al di là della loro forza numerica, esercitassero un’egemonia o almeno un’influenza culturale e politica su molte altre componenti della società italiana, e perciò potevano governare. Oggi l’assimilazione dei cattolici nell’uno o nell’altro blocco non può avvenire che attraverso patti compromissori e subalterni, come furono il Patto Gentiloni nel 1913 e le alleanze clerico-moderate e clerico-fasciste dei primi decenni del Novecento, contro cui combatté con la tattica dell’ “intransigenza” Luigi Sturzo, dando così un’identità politica all’elettorato popolare cattolico e dando inizio alla stagione del cattolicesimo politico democratico, oggi interrotta.

Perciò solo con il ritorno alla proporzionale ci può essere un ritorno dei cattolici alla politica, da realizzarsi attraverso l’autonomia di partiti laici in cui sia possibile elaborare e promuovere contenuti evangelici nelle scelte politiche, in dialogo con le proposte di altre culture e nel libero confronto con gli altri partiti.

Il problema ecclesiale

Ma ci sono altre ragioni che attengono più direttamente alle scelte della Chiesa. Anche questo è un discorso da fare con gravità, ma non si può tacere, tanto più se il tema da affrontare è quello della responsabilità dei cristiani nella società e nella Chiesa; meglio perciò è parlare di queste cose con sincerità, anzi con parresia, e sempre con amore.

C’è in effetti una ragione ecclesiale per la quale i cattolici non possono tornare alla politica. E la ragione è che il loro compito se lo è attribuito la stessa Chiesa, che tratta direttamente con lo Stato per ottenere ciò che giudica utile al bene comune e “non negoziabile” sul piano dei principi.

Ora, dove si esercita un potere diretto della Chiesa gerarchica, una “potestas indirecta”, come si diceva una volta, esercitata attraverso gli stessi poteri politici statali, non può esserci spazio per la mediazione di istanze laicali (come le ACLI, le Caritas, Pax Christi e simili), né può esserci spazio per una azione politica autonoma dei laici cristiani. E infatti se dei laici cristiani si dichiarano cattolici adulti, e dunque non soggetti in politica alle direttive ecclesiastiche, vengono considerati disobbedienti e abbandonati al loro destino.

Per preservarsi l’autonomia Sturzo decise che il Partito Popolare di tutto doveva occuparsi tranne che della “questione romana”, perché di quella si occupava direttamente la Chiesa che rivendicava “i diritti imprescrittibili della Santa Sede”, e non avrebbe potuto un partito laico fatto da cattolici avere in materia alcuna autonomia politica. Tuttavia questa rinunzia non bastò a salvarlo quando la Chiesa di allora tra lui e il fascismo, scelse la conciliazione col fascismo.
Una situazione analoga potrebbe aversi oggi quando la Chiesa dei vescovi e della Segreteria di Stato fa delle scelte di priorità e di “principi non negoziabili” che a suo parere dovrebbero essere obbliganti per tutti, cattolici e no. Per la stessa loro necessaria parzialità, si tratta tuttavia di scelte opinabili.

La Chiesa può ritenere ad esempio prioritario opporsi a una legislazione sulle coppie di fatto, ma altrettanto legittimamente laici cristiani possono ritenere prioritario opporsi a una legislazione che criminalizza gli stranieri. La Chiesa difende il Concordato, che non è oggi in pericolo, i laici cristiani prima ancora potrebbero preoccuparsi della Costituzione, che è in pericolo, e da cui del resto anche il Concordato dipende. La Chiesa lotta per l’incremento delle scuole cattoliche, i laici potrebbero sentire piuttosto l’urgenza di lottare per salvare quanto resta della scuola di tutti e perché non sia spenta la scuola di Stato. La Chiesa al di sopra di ogni altro interesse politico sostiene oggi i cosiddetti “movimenti pro-vita”, che difendono soprattutto la vita non nata; i laici cristiani hanno oggi l’assillo di salvare l’uomo vivente, stracciato dalla politica e immiserito dal mercato, e di promuovere la qualità della vita, a cominciare dal lavoro; i vescovi americani contrari alla riforma sanitaria che medicalizza l’aborto, preferiscono un’America senza Obama, i laici cristiani hanno molte ragioni per volere un’America governata da Obama.

L’altra ragione per cui i laici cristiani sono oggi lontani dalla politica, è per il disorientamento che pervade molti di loro di fronte a quello che percepiscono come un appoggio della Chiesa al premier Berlusconi. Essi sono turbati nel vedere che la Chiesa ancora sostiene e fornisce credenziali a un Presidente del Consiglio che, al di là delle sue pratiche di vita e di governo, sta corrodendo alla radice l’anima del Paese. Egli si pone infatti come modello, si pone come esempio di vita; con mezzi potentissimi prende il posto di ogni altro Maestro, e perciò della stessa Chiesa; e in questa veste egli si pone come il più grande diseducatore di massa che questo paese abbia mai avuto. Eppure la Chiesa tace su di lui, e anzi ogni critica gli viene risparmiata, con l’argomento che essa sarebbe viziata da moralismo politico; e se gli scappa una bestemmia, si dice che essa deve essere contestualizzata, cioè non presa sul serio; purtroppo però il contesto è quello dell’idolatria, idolatria del potere, da non lasciare a nessun costo, idolatria del denaro, con cui comprare tutto, cose, istituzioni e persone; idolatria del piacere, rivendicato come legittimo sia in pubblico che in privato.

Ma perché la Chiesa gli mantiene il suo appoggio? Questa scelta pesa sull’animo di molti cittadini, e rischia di compromettere altri beni non politici molto più importanti, a cominciare dalla predicabilità stessa del Vangelo, che da una Chiesa in perdita di credibilità potrebbe trovare maggiore difficoltà di ascolto. Si deve pensare pertanto che le ragioni della Chiesa siano molto serie, e motivate dal bene comune; ci sono alcuni però, tra gli osservatori esterni, che arrivano ad accusare la Chiesa di simonia, perché dal mantenimento della situazione attuale essa trarrebbe vantaggi anche economici. È un’accusa bruciante, che la Chiesa potrebbe pensare di non dover neanche raccogliere. Credo invece che essa non la debba ignorare, né limitarsi a respingerla come falsa, ma dovrebbe argomentare le sue ragioni e avere l’umiltà di dare una prova della sua buona fede, per non far dubitare di sé.

E la via c’è, ed è suggerita dal Concilio quando al n. 76 della Costituzione pastorale “Gaudium et Spes” dice che “la Chiesa si serve di strumenti temporali nella misura in cui la propria missione lo richiede. Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall’autorità civile. Anzi essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni”. Il consiglio che si potrebbe dare alla conferenza dei vescovi italiani è che, finché si mantenga l’appoggio al presente governo, per evitare che ciò possa essere interpretato anche minimamente come legato ad interessi materiali, essa rinunzi provvisoriamente e unilateralmente all’esenzione dall’ICI e ai finanziamenti alle scuole cattoliche, e ciò anche per sottrarre al governo la materia con la quale esso volesse tentare anche con la Chiesa una delle sue opere di corruzione.

Perché la politica?

Ma perché occuparsi di politica? Io trovo la risposta in quella che è stata la mia esperienza del Novecento. Come ho detto altre volte, esso ci ha lasciato tre grandi eredità da cui a mio parere bisogna partire per costruire il mondo futuro. La prima eredità è quella del costituzionalismo, la seconda il Concilio Vaticano II, la terza il Sessantotto. Queste sono le tre grandi cose che restano del Novecento. Ma nessuna di queste cose potrà sopravvivere, se non sarà assunta con amore, così come per amore sono state compiute. Non c’è dubbio che alla Costituente uomini come Moro, Dossetti, Basso, La Pira, Lazzati, Calamandrei, e donne come Laura Bianchini, Angela Gotelli, Teresa Mattei, operarono per amore. Non c’è dubbio che Giovanni XXIII ha osato il Concilio per amore. E il ’68 è stato l’utopia dell’amore come alternativa al potere.

Sicché, riecheggiando una vecchia parola, potremmo dire così: queste sono le tre cose che rimangono: il diritto, la fede, la libertà; ma di tutte più grande è l’amore.