Sul "patto di riscossa repubblicana”

Vincenzo Ortolina

Coordinatore di A.P. per la Lombardia

12 gennaio 2010

Il buon Casini ha dunque proposto una sorta di “pacificazione” nazionale (subito benedetta, guarda caso, dai “berlusconiani”), che passi attraverso il sostegno, in Parlamento, a iniziative serie del governo.  Qualcosa di simile ripete oggi Fini, in un’intervista a Repubblica.  Ma se l’esecutivo da sostenere in una logica “patriottica” è l’attuale, ciò ha poco senso.  Perché la pacificazione è possibile se l’accordo coinvolge perlomeno il maggior partito di opposizione, e il PD, per quanto entrambi i citati leader affermino di pensare al paese, e non agli interessi di Berlusconi, non accetterà mai, ovviamente, di stringere patti impegnativi con l’attuale premier.  Del quale ritiene anzi ci si debba liberare al più presto, proprio per salvare l’Italia.  Antiberlusconismo stantio, questo, come talvolta si sussurra anche in ambienti “democratici”? Come risposta, basterebbe ricordare le lucide e grevi accuse politiche contro il capo del PdL e il suo sistema lanciate dallo stesso presidente della Camera (che, certo, poteva “svegliarsi” prima) negli ultimi mesi.  Accuse che non divergono molto dal pensiero di quanti, nel centrosinistra, ritengono che l’era dell’uomo di Arcore al governo abbia prodotto, come ha ben scritto su Europa un esponente piddino, “un disfacimento della nazione d’ordine essenzialmente morale”.  Gli esempi sono tanti e noti, e non è qui il caso di enumerarli.  Lo stesso, ultimo tentativo del premier, tuttora in corso, di salvarsi con l’arrivo dei “voltagabbana” (altro che responsabili!) finisce con l’aggravare la crisi, aumentando in particolare la disaffezione alla politica dei cittadini.  L’opinione di molti (e mia), dunque, è che Berlusconi non è più in grado di governare seriamente il paese, se mai l’ha fatto.  Stupisce, così (e, per quanto mi riguarda, un poco mi turba), il fatto che una parte delle gerarchie cattoliche continui a pensare di offrirgli, invece, una qualche sponda.  Ha provato a spiegarne le ragioni, anche ultimamente, Alberto Melloni, sul “Corriere”, e non sono parse tutte convincenti.  Perché “questo premier non è soltanto il male minore (come sembrano pensare, appunto, le suddette gerarchie), ma è l’uomo del disastro, e la sua continuità potrà portare solo disgrazie”, è stato autorevolmente affermato.  Tornando al terzo polo, esso è ancora in “gestazione”, in verità, ma nascerà, nonostante il goffo tentativo del direttore di Avvenire (e dei suoi referenti?) di provare a impedirlo.

Anche perché, comunque sia, la distanza non solo di Fini, sopra accennata, ma anche di Casini, da Berlusconi, sembra ormai irrecuperabile, nonostante le aperture alla maggioranza, che D’Alema definisce, io credo saggiamente, “schermaglie”.  I due capi del terzo polo (a proposito: Rutelli, dove sei?), ha affermato giustamente Bersani, non potranno allora menare a lungo il can per l’aia.  Dovranno, dunque, rendersi conto definitivamente che non si esce dal berlusconismo restando nell’ambito del centrodestra.  Che non potranno mai condizionare, attuale padrone del PDL imperante.  Per quanto appaia inusuale, è positivo, perciò, nella situazione data, l’appello del segretario PD “a tutte le opposizioni, di centro e di centrosinistra”, per un patto di “riscossa repubblicana”, che non mi sembra precisamente la stessa proposta dei neocentristi.  Aveva echeggiato qualcosa di simile, settimane fa, lo stesso Franceschini, a conferma di una linea che si sta imponendo nel maggior partito di opposizione, o quantomeno all’interno della sua maggioranza, e che sarà discussa nella direzione di domani (quella “parallela” di oggi dei giovani “rottamatori” non mi pare una gran trovata).  Veltroni, capo, “popolari fioroniani” permettendo, della minoranza, si è dichiarato disponibile, se ho ben compreso, a collaborare col segretario, in ragione dello stato di emergenza.  Anche se la linea di Movimento democratico resta quella di ridefinire l’identità del PD, il progetto politico e i programmi, perché “le alleanze vengono dopo”.  L’esigenza dell’accentuazione politico-programmatica credo non sia certo disconosciuta da “bersaniani” e “franceschiniani” (e loro supporter), pur considerando che l’elettore medio raramente approfondisce, in vista del voto, i programmi elettorali dei partiti, e sceglie in base anche ad altre motivazioni.  Ma se oggi il problema, come detto, è di superare l’emergenza e di chiudere l’epoca (nefasta) del berlusconismo, la questione delle alleanze resta fondamentale e urgente.  E’ dunque giusto chiamare a raccolta tutte le forze del centro e della destra disponibili, col centrosinistra, a una battaglia che davvero è nell’interesse obiettivo della nazione.  Si tratterebbe di un’alleanza (comunque venga declinata) basata soltanto su un comun denominatore “minimo”, e dunque sbagliata, come obietta qualche nostro amico, qualora fosse troppo allargata? Consideriamo, allora, i contenuti di questo possibile denominatore: la strenua difesa del presidente Napolitano, le cui recenti, apprezzabili prese di posizione sulla vicenda del 150° anniversario dell’“Unità d’Italia” e sull’affaire Battisti hanno molto infastidito il PDL da una parte e la Lega dall’altra; come anche della sua posizione sulle prerogative del capo dello Stato in caso di crisi di governo; la volontà di costruire un’ipotesi di governo “straordinario” o di transizione prima delle elezioni – pur nella consapevolezza che l’attuale capo dell’esecutivo non mollerà mai spontaneamente -, oppure dopo.  Un esecutivo presieduto da un premier di garanzia che difficilmente, credo, potrà rispondere al nome di Tremonti.  E che si occupi di poche questioni, dettate, appunto, dall’emergenza.  In primis, la ridefinizione delle “regole del gioco” (legge elettorale compresa), in qualche misura “truccate” dal berlusconismo.  Compresa la soluzione del conflitto d’interessi, al cui riguardo ho personalmente considerato che forse non è esagerato definire l’attuale un semiregime guardando il TG5 serale dell’ultimo dell’anno: infiniti minuti di filmati con l’”Unto del Signore” in tutte le pose e situazioni.  Roba alla “Gheddafi”, vien da dire.  Per non parlare delle molteplici comparsate del premier, al momento opportuno, sulle reti sue o “amiche”, TV pubblica compresa, sulla quale, comunque vada, c’è chi lo supplisce bene, se necessario.  Le connesse riforme istituzionali, con attenzione primaria alla grave questione degli ormai insopportabili costi della politica, che non riguardano soltanto il Parlamento.  Un inciso a proposito delle Regioni, cui la Costituzione affida una funzione prevalentemente di pianificazione e di programmazione, mentre le funzioni amministrative sarebbero tutte, salvo eccezioni, degli enti locali: ho capito, stando in Lombardia, come si può governare un tal ente a vita: colonizzando la sanità (che è sostanzialmente “il”bilancio” della Regione), e distribuendo direttamente, dall’alto, ogni anno, decine e decine e decine di migliaia di “bonus” di tutti i tipi: sono 330 mila le quote di “dote scuola” erogate l’anno passato, si vanta Formigoni, in proposito! Bisognerebbe, poi, affrontare seriamente il tema “giustizia”, e magari anche approntare leggi che impediscano il nascere e lo svilupparsi delle “cricche”, diventate “di moda”, con questa maggioranza.  Argomenti, quelli sopra evocati, ai quali non può non essere sensibile il terzo polo.  Ho invece molti dubbi, nonostante UDC e FLI insistano nel pretendere il confronto anche in tal senso, che siano possibili significative convergenze, su queste materie, con l’attuale maggioranza, finché il dominus resterà Berlusconi.  Certo, vi sono poi: la necessità di aggiustamento della linea economica in direzione dello sviluppo, la questione fiscale, quella sociale, che ricomprende anche gli argomenti della disoccupazione giovanile, del precariato, della rappresentanza dei lavoratori nelle fabbriche cui ci rimanda la vicenda Fiat.  E, su queste stesse questioni, difficile pensare che le visioni di centrodestra e centrosinistra collimino.  Per cui credo non sarebbe possibile mettere troppa carne al fuoco, in ogni caso.  Anche perché stiamo parlando di un governo di transizione, che porti il sistema alla “normalità”, chiudendo l’epoca del berlusconismo.  Dopo, ciascuno ritorna ai propri, distinti ruoli.  C’è, infine, il tema “federalismo”, sul quale il Partito democratico sembra sollecitato a chiarire la propria posizione anche prima dell’eventuale show down definitivo con Berlusconi: non so se Casini voglia barattare davvero (e impropriamente) il suo voto favorevole con il quoziente familiare. Per quanto riguarda il PD, Europa ha scritto che le leggi in approvazione, per come formulate, cambiano il paese più in male che in bene; che i decreti, per come sono fatti, sono inattuabili o peggiorano la situazione degli enti locali.  E ha ricordato che i democratici hanno già votato contro il decreto sui costi standard.  Quale scambio mai, perciò? In conclusione: un possibile governo “straordinario” o di transizione tra progressisti e moderati, che veda insieme, da questa parte, PD e Terzo Polo, come auspica apertamente Fioroni, e chiuda la porta a sinistra? E lasci fuori, cioè, i “giustizialisti” alla Di Pietro e i “sognatori utopici e profetici” alla Vendola, che assommati potrebbero raccogliere (facendo il “pieno” a sinistra, tanto più se esorcizzati) una percentuale non lontana da quella di Casini più Fini (più Rutelli)? Personalmente mi chiedo se abbia senso escludere da un’alleanza che, quale ne sia, come già detto, la formula, punta anche a ripristinare il senso di legalità, una forza come l’IDV, pur carica di errori e di esagerazioni.  E, circa la necessità di mettere insieme sensibilità che abbiano cultura di governo, mi domando: il capo di SEL non sta forse amministrando bene (a quanto sappiamo), pragmaticamente, la sua Regione, e non è dunque, di fatto, uomo di governo? Ma PD più Terzo Polo più Italia dei valori più Sinistra e libertà è semplice utopia, si dirà.  Può darsi.  Forse, però, non più del semplice accordo tra il PD e la nuova formazione “centrista”.  E in ogni caso sarebbe davvero un gran botto!