Il PD, partito della nazione? 

 

Pubblichiamo un'interessante recensione degli interventi di Franco Monaco, Lorenzo Guerini e Gianni Cuperlo pubblicati (secondo l’ordine di arrivo alla redazione) sul numero di gennaio della rivista dei Gesuiti di Milano Aggiornamenti sociali con il titolo”Il PD, partito della nazione?”. La recensione è pubblicata tra gli editoriali del giornale online UmbriaDomani. Chi avesse interesse a leggere interamente gli interventi, può richiedermeli con lo stesso mezzo.

 

Alvaro Bucci

5 Febbraio 2015

Riferendosi alla formula “partito della nazione” usata di recente da Alfredo Reichlin, storica figura del PCI, la rivista dei gesuiti di Milano Aggiornamenti sociali pubblica sul numero di gennaio un interessante articolo su “Il PD, partito della nazione” raccogliendo la voce di tre autorevoli parlamentari di tale partito: Franco Monaco, Lorenzo Guerini e Gianni Cuperlo. Che offrono, tutti,  preziosi contributi al dibattito sulla “forma partito” avviatosi da qualche tempo all’interno del Partito Democratico.

 Franco Monaco, fra i più stretti collaboratori di Romano Prodi ai tempi dell’Ulivo, rammenta in primo luogo le caratteristiche fondamentali del progetto dell'Ulivo, un modello di stampo maggioritario, in cui la ricerca del consenso avveniva attraverso la formazione di una coalizione aperta e inclusiva. E spiega come, prima Walter Veltroni, che impresse “un’inopinata accelerazione in direzione di una velleitaria autosufficienza del PD”, e poi Matteo Renzi si siano progressivamente allontanati dall'idea originaria che portò al governo Romano Prodi:«Nonostante Renzi si professi figlio politico dell’Ulivo- scrive -,la sua politica si discosta da quella ulivista: il progetto ulivista non forzava verso il partito unico, faceva perno sulle alleanze». 

Monaco sottolinea in particolare le insidie legate al mutato assetto del sistema politico, sempre meno bipolare, e rileva il rischio che, se il PD restasse l'unico partito con vocazione maggioritaria «inevitabilmente da partito unitario del centrosinistra finirebbe per diventare un “partito unico”, centrista ed egemone, con buona pace del prezioso traguardo di una democrazia competitiva e dell’alternanza» su cui era basata la visione ulivista. 

Lorenzo Guerini,  portavoce e vicesegretario del PD, molto vicino al premier Matteo Renzi, avvia la sua analisi evidenziando innanzitutto come il senso della politica “di ieri, di oggi e di domani” debba ricondursi ad una affermazione di Aldo Moro secondo cui si tratta, “in aderenza alla realtà”, di “dominare con intelligenza gli avvenimenti”, parole che indicano chiaramente la responsabilità fondamentale dell’azione politica.

Ed osserva di seguito come i partiti tradizionali di massa, dopo essersi a lungo considerati come unica ed esclusiva  forma di partecipazione per cambiare il mondo, siano andati in crisi, non riuscendo più a «dominare con intelligenza gli avvenimenti», come chiedeva Aldo Moro. Dentro questa crisi, rivendica il vicesegretario, il PD è oggi l'unico soggetto politico «che ha ancora il coraggio di chiamarsi "partito" e di qualificarsi come "democratico"(...), un partito per un tempo nuovo: (...) uno strumento, etimologicamente una parte, che tende, attraverso il suo progetto e le sue proposte politiche, a pensare, agire, operare per il tutto, in favore del tutto. Un partito per il governo». 

Per questo l'espressione «partito della nazione», individuata da Reichlin, appare del tutto adeguata se intesa correttamente: «Un “partito della nazione” è chiamato alla responsabilità di rilanciare la capacità della democrazia italiana di essere adeguata a rispondere alle sfide della contemporaneità». 

Gianni Cuperlo, avversario di Renzi alle primarie del 2013 e membro della Direzione nazionale, esordisce definendo l’espressione Partito della nazione come una “formula scivolosa” ancorché lanciata da quello che lo stesso definisce il suo maestro, ovvero Alfredo Reichlin, storica figura del PCI.

 Cuperlo non nasconde il suo timore che il nuovo modello rappresenti «il viatico per un adattamento tardivo del riformismo italiano al modello di partito “pigliatutto”, capace di marginalizzare due ali radicali o estremiste, a destra come a sinistra, e di posizionarsi saldamente al centro del campo con una volontà di identificazione tra se stesso e il destino del Paese». 

L'ex presidente del PD afferma di continuare «a credere nel progetto del mio partito come la risposta che una sinistra rinnovata nelle sue politiche, forme e linguaggio è in grado di offrire a un’opinione pubblica attraversata, mai come oggi, da pulsioni e sentimenti che registrano e amplificano la fragilità della nostra democrazia». E spiega: “La critica che muovo al “mio” Governo non è di correre troppo, ma l’andatura da passeggio”.

Riconosce tuttavia che il Governo “ha scelto in questi mesi due vie di buon senso. Sussidi  a una parte delle famiglie, leggi gli 80 euro, e sgravi parziali alle imprese. Effetto anticiclico anche in questo caso limitato”.Ma se per aumentare occupati e produttività le sole componenti private non bastano, “va ripensato il bilancio pubblico” perché nelle grandi crisi compito di Stati e Governi è “fare quello che nessuno fa, e oggi quello che nessuno fa è investire”. Quindi “Investimenti pubblici come leva di quelli privati”.

Cuperlo si pone poi provocatoriamente una domanda connessa alle recenti inchieste giudiziarie in corso a Roma: “Che cosa ha reso una forza dotata di consenso, iscritti, radicamento e potere così permeabile a infiltrazioni di carattere criminale e persino mafioso?”. E conclude: “serviranno la cura e la fatica di una selezione più rigorosa delle classi dirigenti di un partito e delle sue espressioni di governo a tutti i livelli”.

 

 

 

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