5a Lettera da "Economia Democratica"

Roma, 17 luglio 2012

Cari Amici,

1) cominciamo da due notizie, che sono a tutti note, ma che citiamo qui da due fonti recenti.

La prima la prendiamo da una nota di Alfiero Grandi pubblicata il 27 giugno scorso nel sito dell’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra (di cui è Presidente), e dice che la finanza internazionale in poco più di due decenni è passata dall’essere inferiore al PIL mondiale fino a diventare oggi almeno dieci volte tanto. In un successivo articolo del 16 luglio lo stesso autore spiega come la mostruosa mole del capitale finanziario (pari a 600.000 miliardi di dollari) che gira per il mondo, senza alcun rapporto con l’economia reale e unicamente proteso alla produzione di capitale finanziario mediante il capitale finanziario, ha effetti pervasivi e totalizzanti. Esso invade e assoggetta ormai anche la sfera dei consumi, nonché quella “delle abitudini, perfino dei valori e dell’etica. Soprattutto rappresenta un poderoso vincolo sull’esercizio della democrazia moderna ed in particolare sulla possibilità di esercitare, nel suo ambito, le scelte politiche.

La seconda notizia la riprendiamo da una recensione del cardinale Gianfranco Ravasi a un libro di Craig L. Blomberg (“Né povertà né ricchezza”, edizioni Gbu, Chieti) uscita su “Il sole 24 ore” del 15 luglio scorso; egli denuncia lo “scandalo” del “dato statistico di base”per il quale “il 2 per cento della popolazione adulta del nostro pianeta possiede più della metà della ricchezza mondiale”.

Queste due notizie dicono una cosa sola: che all’origine della crisi economica che aggredisce la vita e la pace del mondo, c’è una spaventosa diseguaglianza che rovescia la ricchezza in povertà. Esse dicono altresì che, negli ultimi decenni, all’origine del precipitare delle vecchie e nuove disuguaglianze e quindi quale vera causa della crisi, c’è una rinunzia della sfera pubblica a governare l’economia, e c’è una rinunzia dell’economia, consegnata alla sfera privata, a perseguire il proprio fine di soddisfare i bisogni umani, per consegnarsi invece all’economia monetaria e mettersi al servizio della speculazione finanziaria.

Ciò non è avvenuto per caso ma è il frutto di scelte ideologiche e politiche che sono state compiute negli anni da tutte le classi dirigenti dell’Occidente (ma ormai egemoni anche in Oriente) con risultati che rivelano clamorosamente la fallacia di tutte le loro promesse elettorali.

Se questa è la dimensione reale della crisi, ciò significa che la sua soluzione non può essere trovata nell’ambito dei singoli Stati e nemmeno, per quanto ci riguarda, nel pur imprescindibile spazio europeo, ma va perseguita e costruita sul piano mondiale, a livello dell’economia globale, come si cominciò a fare dopo la seconda guerra mondiale, col tentativo keynesiano degli accordi di Bretton Woods, una delle “rivoluzioni interrotte” del Novecento.

Promuovere un’“economia democratica” vuol dire riprendere questo cammino nelle nuove condizioni della comunità mondiale. I due binari sui quali instradarsi sono di fare dell’eguaglianza la bussola dell’economia e di fare della democrazia internazionale la casa (oikós) di un’economia al servizio dei bisogni umani.

 

2) Il Senato in quattro e quattr’otto, nel silenzio mediatico e nel disinteresse generale, ha votato il 12 luglio a favore della ratifica del Fiscal Compact. Hanno votato a favore tutti e tre i partiti della coalizione di governo (tranne il senatore Vito del PD), contro la Lega, astenuta l’IDV: 216 sì, 24 no, 21 astenuti, una maggioranza schiacciante. Il Fiscal Compact è il patto europeo di stabilità che ci obbliga a dimezzare il nostro debito pubblico in venti anni e a mettere in Costituzione i vincoli decisi in sede europea. E’ stato calcolato che ciò comporterà un aggravio per l’erario di 40-50 miliardi all’anno per venti anni, che aggiunti a crescenti interessi per il debito, immobilizzeranno ingenti risorse, drenando denaro, riducendo la domanda e provocando recessione e deflazione, con altissimi costi sociali. Ciò però non sembra far parte del dibattito pubblico. Il significato del Fiscal Compact (accusato di essere recessivo dallo stesso relatore di maggioranza sen. Morando) è di rendere irreversibile l’attuale linea di politica economica e finanziaria che prevale in Europa, che è sostenuta dalla Germania ed è gestita dai tecnici di Bruxelles. Porre in essere scelte definitive e fatti compiuti è funzionale alla perpetuazione della linea Monti e probabilmente della stessa formula politica che la rappresenta, anche dopo le elezioni politiche del 2013, secondo la tesi sostenuta dai “continuisti”. Ciò che appunto deve essere discusso.

 

3) Mentre al Senato si decide in questi giorni delle riforme costituzionali, sono in corso le trattative, sollecitate dallo stesso Presidente della Repubblica, per la nuova legge elettorale. Nella circostanza i Comitati Dossetti per la Costituzione hanno riproposto, e inviato a tutti i parlamentari, un appello lanciato già nel novembre scorso, contro l’esibizione di un nome di persona nei simboli elettorali: ciò per scoraggiare il culto della personalità ed evitare il protagonismo dei leader di turno i cui amari frutti si sono manifestati negli ultimi venti anni. “Economia Democratica” fa proprio questo appello dei Comitati Dossetti e aggiunge che nella nuova legge elettorale dovrebbe essere proibita qualsiasi compensazione finanziaria e qualsiasi forma di contrattualizzazione del rapporto tra i singoli candidati e i partiti che li mettono in lista: norma che dovrebbe essere superflua ma che purtroppo è suggerita da molti casi occorsi in questi anni, in aperta violazione dell’art. 67 della Costituzione che vieta ogni vincolo di mandato.

 

Con i più cordiali saluti.

 

Economia Democratica

------------------

Vedi Dossier: Economia Democratica

------------------

P.S.: vi mandiamo in allegato un documento lanciato nel marzo scorso dal Forum CGIL dell’economia e firmato da settanta autorevoli economisti (tra i primi firmatari Acocella, Amato e Andriani) in cui sono contenute molte valutazioni e proposte che potranno entrare nel nostro dibattito e formare oggetto di riflessione e di scelte politiche nei prossimi mesi e l'appello promosso dai Comitati Dossetti "Contro il culto della personalità nei simboli elettorali".