Cittadinanza: o attiva o inesistente

(Lezione rivolta ai giovani scout)

Maurizio Millo
Magistrato

Gennaio 2011

1. È bene fare subito una riflessione, prima ancora di parlare della Costituzione e della legalità. Fa infatti riflettere che molti vivono e si comportano come se essere cittadini di uno Stato moderno fosse una posizione di rendita nella quale è sufficiente esserci per avere garantiti diritti e servizi da parte della società e pensano che lo Stato, per essere avanzato e moderno deve garantire ogni tutela ai propri cittadini senza necessità di impegno da parte loro.

Sbagliano per almeno tre motivi e credo proprio che gli scout si debbano preoccupare di spiegarlo, a se stessi ed agli altri.

Primo motivo: non è sufficiente un atteggiamento passivo, perché solo se ciascuno si impegna ed è attivo nell’adempiere i propri doveri si può sperare che i diritti di ciascuno vengano soddisfatti. Infatti solo pochi diritti possono realizzarsi con un semplice  atteggiamento passivo da parte degli altri (per esempio è sufficiente che nessuno mi aggredisca perché sia realizzato il mio diritto all’integrità fisica oppure basta che nessuno entri nella mia proprietà affinché io possa goderla senza disturbi), ma la maggioranza dei diritti richiedono invece per essere realizzati un comportamento attivo da parte degli altri (ed anche una collaborazione attiva da parte mia). Ad esempio per realizzare il mio diritto a non essere emarginato ed anzi ad essere valorizzato – a cui tengo molto di più delle mie proprietà – è necessario che gli altri mi accolgano positivamente e che io mi impegni nelle relazioni con loro. Oppure, per soddisfare il mio diritto a crescere e sviluppare la mia persona (già da ragazzo, ma anche da adulto ed anziano) è necessario che vi siano altri personalmente impegnati nell’educazione (l’AGESCI può insegnarlo!) o nel sostegno di chi ha limiti fisici o problemi collegati all’età avanzata e non basta per questo il lavoro professionale di insegnanti, infermieri, dottori, assistenti sociali, che possono fare molto, ma non possono realizzare alcuni degli aspetti più importanti dello sviluppo della personalità, che sono legati alle relazioni umane (per l’educazione è evidente, ma è facile capirlo anche per tutte le necessità di assistenza collegate a limiti fisici o malattie) e d’altra parte l’impegno di tutti gli altri risulta certamente inutile senza un mio personale impegno nella mia autoeducazione.

 

Secondo motivo: molti dei diritti fondamentali della persona si possono realizzare solo se la persona interessata si fa carico dei doveri corrispondenti e si impegna nelle sue responsabilità e più è attivo questo impegno, più si realizza il diritto, mentre se è scarso l’impegno dell’interessato il diritto si atrofizza e le aspettative appassiscono. Come esempio si può pensare al diritto a formare una famiglia ed essere genitore. Normalmente tutti tengono moltissimo alla loro realizzazione personale attraverso le relazioni affettive e ad un certo momento della vita quasi tutti vogliono crescere come persone diventando genitori (basta vedere ciò che si è disposti a fare per avere un figlio con la fecondazione assistita o con l’adozione, ecc…), ma basta poco per comprendere che questi diritti non possono realizzarsi neppure un po’ se non impegnandosi moltissimo nei corrispondenti doveri. Ad esempio una madre o un padre, pur stanchi per aver già lavorato durante tutta la giornata, sapranno alzarsi durante la notte per occuparsi del figlio che chiama perché malato e realizzeranno il loro diritto ad essere genitori e sentiranno di crescere come persone solo se ce la faranno ad alzarsi davvero. E saranno alla fine sempre più soddisfatti, quanto più riusciranno a sacrificare, almeno in parte, altri loro diritti – come quello di riposarsi, o quello di fare vacanze interessanti per loro come adulti, o rendere compatibili le loro carriere professionali con le esigenze dei figli – per assolvere i loro doveri di genitori. Tutto quanto appena detto può essere applicato a tanti aspetti della nostra vita che sentiamo molto importanti e che consideriamo un diritto poter realizzare al meglio, ma non possiamo riuscire a farlo se non percorrendo la strada che passa attraverso l’assunzione dei corrispondenti doveri e responsabilità. Per convincersene si può pensare anche alla realizzazione personale attraverso la professione che ci piace scegliere, ma che può dare soddisfazioni solo se ci si impegna molto sul lavoro. Ma anche le attività più creative, come suonare uno strumento musicale o darsi alla pittura, daranno frutti e realizzazione personale solo se praticate con grande impegno e fatica.

Proprio la stessa dinamica è alla base della cittadinanza: la nostra cittadinanza ci aiuterà a realizzarci e darà frutti buoni per noi e per tutti quelli che vivono intorno a noi solo se ci impegneremo molto nell’essere cittadini attivi. È invece impossibile sentirsi contenti semplicemente rimanendo in attesa che l’organizzazione sociale faccia qualcosa per noi. Ciò anche perché l’atteggiamento passivo dei cittadini finirebbe per rendere vuoto il “serbatoio” delle risorse sociali cui tutti sperano invece di poter attingere per ricavare qualcosa, ma non solo. Prima di tutto perché le nostre attese di realizzazione e felicità come persone e come componenti di una società umana si realizzano proprio mentre rispondiamo ai nostri doveri di partecipazione e attraverso l’assunzione delle responsabilità verso gli altri.

In questi casi diritti e doveri – e perciò da una parte attese di realizzazione e di ricevere dagli altri, dall’altra impegno nel dare agli altri – possono svilupparsi solo contemporaneamente perché non sono separabili.

Terzo motivo: per sentirmi realizzato come persona devo riuscire ad aderire ad una qualche proposta di valori che dia senso e contenuto alla mia vita. Ciò comporta un atteggiamento attivo nei confronti delle scelte di identità e appartenenza che ho fatto ed un impegno di coerenza per la realizzazione dei valori cui ho scelto di aderire. Questo vale per tutte le scelte di fondo della vita e perciò anche per la scelta di appartenenza alla società e di cittadinanza all’interno di questa. In questa prospettiva, un atteggiamento passivo non ha senso ed anzi è certamente controproducente e finisce per allontanare dall’obbiettivo.

Ho detto prima che ci sono almeno tre motivi per i quali è un errore immaginare che sia possibile un comportamento di cittadinanza da passivo usufruitore di diritti e servizi, mentre è necessario al contrario un costante impegno di partecipazione. Si possono perciò trovare altri motivi e può essere un interessante lavoro di gruppo cercarli insieme. Per esempio si può riflettere su un’affermazione fatta a suo tempo da Erich Fromm, uno dei padri della psicanalisi moderna, il quale sottolineava come nella vita non si può mai scegliere di rimanere fermi e si può in concreto scegliere soltanto tra continuare sulla strada del miglioramento o imboccare quella del peggioramento.

 

2. Avviata la riflessione su cosa può comunque identificare un vero cittadino moderno, possiamo continuare pensando in concreto alla nostra vita di cittadini italiani.

La nostra (bellissima) Costituzione è stata fatta da persone diventate sagge perché avevano attraversato un lungo periodo di sofferenze ed umiliazioni personali e collettive. Avevano perciò lungamente riflettuto per cercare di comprendere come era potuto succedere che Hitler – che, oltre ad avere provocato milioni di morti in tante nazioni del mondo, aveva anche calpestato i diritti degli stessi cittadini tedeschi – aveva raggiunto il potere con mezzi legali e con regolari elezioni e l’aveva mantenuto con l’appoggio di così tanti tedeschi e come era stato possibile che anche Mussolini – che pure aveva poi instaurato una dittatura che aveva cancellato le libertà dei cittadini italiani e non solo – aveva raccolto la maggioranza relativa dei voti ed aveva goduto molto a lungo del consenso di tanti italiani (cosa successa più tardi anche in vari degli Stati dell’est europeo dove i regimi comunisti – progressivamente altrettanto minacciosi per i diritti dei cittadini e delle nazioni vicine – erano stati inizialmente avviati da regolari elezioni e poi sostenuti da molti dei loro cittadini).

Tutto ciò aveva fatto comprendere che la democrazia, comunque da considerare il miglior sistema di governo di una nazione, se si vogliono garantire e realizzare i diritti dei cittadini non può dirsi che sia veramente sicura e garantista per i diritti solo perché il governo viene eletto e sostenuto dai cittadini. Servono anche altri strumenti.

I nostri costituenti hanno cercato di evitare ai loro figli e posteri (cioè a noi) i lutti, le sofferenze e le tragedie che loro hanno dovuto attraversare ed hanno perciò pensato da una parte di utilizzare due principali strumenti di “ingegneria costituzionale”, dall’altra di utilizzare anche la strada costituita da una proposta educativa ai cittadini.

Gli strumenti costituzionali sono rappresentati prima di tutto dall’apposizione di un limite all’esercizio diretto del potere del popolo, che pure nelle democrazie è “il sovrano”. Per questo si dice, non a caso proprio nell’art. 1 della Costituzione, che la sovranità appartiene al popolo, ma questo la deve esercitare nelle forme e nei limiti della Costituzione. Si voleva evitare che futuri capi-popolo, utilizzando gli strumenti della demagogia (proprio come hanno fatto Hitler e Mussolini) potessero approfittare del consenso popolare per confiscare i diritti dei cittadini. Oggi, per comprendere quali rischi si corrano, basta pensare alla possibilità che qualcuno voglia governare attraverso (ad esempio) il televoto o i sondaggi o il sostegno di social-network o altri strumenti ancora, magari affascinanti per la loro immediata vicinanza al cittadino, ma dominati dall’emotività del momento e privi di qualsiasi garanzia circa la correttezza e completezza delle informazioni date a chi è chiamato a votare (nella migliore delle ipotesi, perché si possono fare ipotesi ben peggiori collegate alle manipolazioni e strumentalizzazioni di strumenti del genere).

In collegamento con questo principio, altri fondamentali strumenti per una vera democrazia sono rappresentati dalle “istituzioni di garanzia”. Essenzialmente il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale e la magistratura. In questi casi la legittimazione non viene dall’elezione diretta, ma dai meccanismi di selezione e scelta istituzionale e ciò proprio per evitare che chi viene eletto dal popolo non si limiti a governare (legittimamente), ma sia tentato di superare i limiti e le garanzie poste dalla legalità costituzionale a difesa dei diritti dei cittadini. Per comprenderne l’importanza basta riflettere sul fatto che una maggioranza parlamentare potrebbe, con meccanismi del tutto legali (e magari con l’approvazione della popolazione) approvare di nuovo, ad esempio, leggi di persecuzione razziale (in questo i rom non sono diversi dagli ebrei) o comunque discriminatorie rispetto al diritto di eguaglianza. Potrebbe farlo persino superando un rinvio della legge alle Camere fatto dal Presidente della Repubblica (primo stadio della garanzia in questo caso, ma superabile con una seconda votazione). Dovrebbe allora un magistrato – la cui legittimazione proprio per questo motivo non viene direttamente dal popolo, ma dal meccanismo istituzionale – sollevare eccezione di legittimità costituzionale prima di applicare quella legge e spetterebbe poi alla Corte Costituzionale verificarne la legittimità costituzionale e casomai cancellare quella legge.

Per questo non è affatto tranquillizzante che in questo periodo troppi uomini pubblici lancino – forse per ignoranza, forse per convenienza, forse per servilismo – vere e proprie aggressioni contro le istituzioni di garanzia. Non è tranquillizzante né quando lo fanno uomini vicini alle maggioranze, ma neppure se lo fanno personaggi di opposizione (è successo ad esempio quando la Corte Costituzionale ha bloccato delle proposte di referendum delle opposizioni). Criticare e discutere le decisioni è sempre possibile e legittimo, ma lo stile con cui lo si fa ed i ragionamenti che si usano risultano fondamentali per comprendere se si vuole aiutare la crescita di una democrazia reale e genuina o se si cerca invece di dare una spallata alla democrazia sostanziale usando la demagogia contro i meccanismi di garanzia studiati a difesa dei nostri diritti di cittadini comuni.

3. L’altro pilastro ideato dai costituenti per dare speranza di vera democrazia e progredire è stato quello di lanciare un appello ai cittadini perché aderiscano ai valori della Costituzione.

Non è affatto vero che la Costituzione sia neutrale di fronte ai valori e che le istituzioni – poiché viviamo in uno Stato pluralista – debbano rimanere neutrali ed indifferenti rispetto alle scelte di valori. Al contrario, basta leggerla, la Costituzione, per vedere emergere la proposta fatta ai cittadini. Lo si capisce già nell’art. 2 dove, nello stesso periodo, senza alcuno stacco linguistico, si collegano immediatamente i diritti inviolabili garantiti ed i doveri inderogabili di solidarietà di cui è richiesto l’adempimento (e inderogabili significa da adempiere in ogni situazione e senza eccezioni). Ancora nell’art. 4 dove subito dopo il riconoscimento del diritto al lavoro si richiede ai cittadini di impegnarsi comunque in un’attività (magari di volontariato, se si può vivere di rendita) che concorra al progresso, materiale o spirituale, della società.

Si potrebbero fare molti altri esempi, ma può essere più interessante e più costruttivo scoprirli da soli.

Si può senz’altro rileggere in quest’ottica l’art. 32, dove si presenta la tutela della salute non solo come diritto del singolo, ma anche come interesse della collettività; o l’art. 34 dove si parla di diritto, ma anche di obbligo di istruzione; o l’art. 41, comma 2 quando si parla dei limiti all’iniziativa economica privata perché rimanga un bene per l’interesse pubblico; o l’art. 42, comma 2, dove si parla di funzione sociale della proprietà privata. E così via percorrendo le numerose norme che indirizzano il cittadino verso l’impegno sociale e la partecipazione (spesso sembra quasi di sentir parlare B.P. quando presenta la sua figura di scout, buon cittadino).

Le istituzioni e chi le rappresenta hanno perciò non solo il diritto, ma prima di tutto il dovere di proporre e sostenere questi e gli altri valori costituzionali, tra i quali certamente il pluralismo, ma questo diventa così non un limite ed un impedimento al fare la proposta, ma semplicemente un importante contenuto di questa, da proporre insieme a tutti gli altri.

Purtroppo la confusione è grande riguardo a questi temi ed agli atteggiamenti che i cittadini – per primi quelli che rappresentano le istituzioni – devono assumere a questo riguardo. Perciò diventa davvero essenziale ed anche urgente che gli scout si approprino di questi temi e comprendano cosa significa essere buoni cittadini qui ed ora in Italia, prima che sia troppo tardi.

Tra l’altro si può e si deve riflettere su un’errata concezione del pluralismo che porta molti a pensare che per essere accoglienti si debba procedere “per sottrazione” nel parlare di valori e di simboli (esempio la vicenda del crocifisso nelle aule), rendendo asettica, fredda e senza valori espressi ed emozionanti la proposta educativa pubblica da fare ai giovani. Finendo però in questo modo per portarla ad un sicuro insuccesso, perché una proposta educativa che non scalda il cuore non sarà mai ascoltata seriamente e seguita. Al contrario si può invece pensare eventualmente ad una proposta “per sommatoria”, nella quale i valori si possano aggiungere, ricordandosi sempre però di riuscire a distinguere con attenzione quelli che siano eventualmente incompatibili tra loro, nel qual caso le istituzioni devono ovviamente privilegiare quelli costituzionali, senza fare pericolose confusioni.

Anche in questa direzione può essere molto stimolante riflettere su eventuali aggiunte di valori che rispettino quelli costituzionali e non entrino in conflitto con loro e quali invece impongano delle scelte.

 

4. I discorsi fatti finora portano ad una riflessione ulteriore sulla democrazia e ad un parallelo tra la legge scout ed i pilastri del nostro sistema di legalità.

Per garantire un effettivo clima democratico bisogna ricordare che ci sono scelte alle quali si può aderire o no, ma non consentono comunque di discutere e di modificare gli aspetti fondamentali della scelta. Quando si decide di diventare scout, ad esempio, lo si fa del tutto liberamente, ma non si può chiedere di modificare la Promessa o la Legge scout. Si può invece democraticamente provvedere a modificare gli aspetti e le decisioni attraverso cui si cerca di realizzare in concreto i principi della Legge e della Promessa. Analogamente quando si decide coscientemente di sentirsi cittadini italiani non si può immaginare di modificare i fondamenti della Costituzione, mentre si può del tutto legittimamente lavorare per modificare parti dell’ingegneria costituzionale che non incidano sui principi fondamentali. Tanto per chiarire questa problematica, non si potrebbe con coerenza ed onestà intellettuale impegnarsi per modificare il principio di uguaglianza in modo che una qualche religione (o razza o cultura, ecc.) sia meno uguale delle altre. E bisogna ricordare che i principi fondamentali non sono solo quelli indicati nella prima parte della Costituzione, perché ad esempio, per i motivi già accennati, non si potrebbero modificare le regole che riguardano le istituzioni di garanzia in modo da snaturane il funzionamento e l’indipendenza senza sconvolgere uno dei fondamenti della Costituzione.

La garanzia di una vera democrazia, rispetto ai principi fondamentali della Costituzione non può essere data dalla possibilità di modificarli, ma anzi al contrario dalla garanzia che non siano modificati e che perciò chi viene scelto per governare e per ricoprire gli incarichi di garanzia sia un convinto sostenitore e difensore dei principi fondamentali stessi. Pericolosissimo il contrario: come affidare armi potenti a chi non si è impegnato a difendere la comunità e non ne sia convinto e capace di coerenza.

Anche a questo riguardo sembra urgente una responsabilizzazione degli scout.

5. A questo punto vale la pena di sottolineare che i valori contenuti nella Legge Scout sono sostanzialmente gli stessi che i nostri costituenti hanno voluto proporre a tutti i cittadini per costruire una democrazia efficace ed effettiva.

Si tratta esattamente dei valori dell’impegno per migliorare noi stessi e l’ambiente che abbiamo intorno (umano e naturale); dell’affidabilità; della formazione del carattere; della crescita spirituale ed interiore; della capacità e preparazione per affrontare le situazioni difficili senza scoraggiarsi; della solidarietà; della capacità di lavoro di squadra; della cura della salute per poter essere utili. Tutti questi valori, certamente fondamentali nella proposta scout, emergono con evidenza dalla lettura della Costituzione come la speranza che i costituenti avevano per il futuro di tutti i cittadini.

A questo proposito può essere interessante ricordare che quando B.P. ha cominciato a lanciare lo scautismo pubblicando i fascicoletti di “Scouting for Boys”, ha deciso di far uscire prima di tutto il fascicolo intitolato “what scouts are” (chi sono gli scout) e solo come secondo quello intitolato “what scouts do” (cosa fanno gli scout). Ha evidentemente pensato che prima di ogni cosa non venissero le attività, ma venisse il senso di identità e la qualità interiore delle persone che sceglievano di diventare scout.

Proprio nello stesso modo i costituenti hanno pensato che non si potesse fondare una nazione nuova e realmente democratica se non chiedendo ai cittadini di aderire attivamente alla loro proposta di ideali e valori di cittadinanza. Insomma di essere e sentirsi cittadini attivi, pur lasciando ovviamente liberi i singoli di aderire o meno alla proposta, perché cittadini si diventa normalmente per nascita e non per scelta. Per questo però da adulti si dovrebbe riscoprire una adesione per scelta alla identità di cittadino. È questo ciò di cui stiamo parlando.

Alcune associazioni scout per festeggiare i loro anniversari hanno scelto un motto interessante: “sugli scout puoi contare” (“you can count on them). Si tratta proprio della stessa aspettativa che chi ha scritto la Costituzione sperava di poter nutrire nei confronti dei cittadini. La società tutta andrebbe in crisi se non potesse contare su ciascuno di loro. E proprio di questo in realtà dobbiamo oggi avere preoccupazione. Ma speriamo di poter contare sugli scout italiani.

Quello che i cittadini italiani hanno bisogno di riscoprire è ciò che molti sociologi e psicologi hanno già sottolineato: una buona squadra – e perciò anche una comunità ed una nazione – rappresenta un insieme il cui valore è certamente superiore alla somma dei singoli valori individuali perché si deve aggiungere alla somma dei valori dei componenti l’importantissimo valore dato dallo spirito di collaborazione e dalla valorizzazione di ciascuno dovuta al gioco di squadra. Tutto ciò è certamente vero (e su questo si basano, tra l’altro tutti i più recenti tentativi di insegnare capacità manageriali), ma è possibile solo se tutti e ciascuno interpretano in modo attivo il proprio ruolo e si impegnano realmente nel partecipare alle imprese comuni.

6. A questo punto è forse necessaria una riflessione finale. Tutto quanto detto sulla grande importanza di una cittadinanza attiva e tutto quanto sottolineato sulla essenzialità di proporre i valori costituzionali ai cittadini e tutto quanto si può aggiungere sulla grande importanza di una educazione alla legalità – prima di tutto costituzionale, ma non solo – ebbene tutto questo non deve far dimenticare che la legalità di per sé e da sola non può essere strumento di salvezza. È la legge che deve essere fatta per l’uomo e non l’uomo per la legge, come sappiamo bene, da quando, duemila anni fa, questo problema si pose discutendo dell’applicazione della legge del rispetto del Sabato, così importante per gli ebrei perché garantiva il corretto rapporto tra la vita pratica ed il rapporto con Dio che, attraverso Mosè era anche il loro legislatore.

D’altra parte la società, soprattutto quella moderna, ha un grandissimo bisogno di legalità, anche per lo sviluppo dell’economia e prima di tutto per garantire la crescita personale dei suoi cittadini nel rispetto reciproco e nella pace. Per riuscire a raggiungere questo alto obiettivo i cittadini – e per primi gli scout – devono però saper mettere ordine tra le varie leggi e norme che sono chiamati a rispettare.

Non è appunto un problema nuovo quello di trovarsi in dubbio se rispettare una legge perché ci appare ingiusta. È anzi un problema che va sottolineato, se si vuole affrontare con serietà il problema della legalità.

È famosa la tragedia di Sofocle intitolata Antigone, che già nel 442 a.c. pose il problema di quale legge, tra quella statale e quella morale (in quel caso personale e familiare) debba prevalere. Antigone scelse quella morale, ma, dopo secoli di riflessioni, nel 19° secolo emerse la tendenza a privilegiare la scelta opposta (il più famoso sostenitore di questa scelta è stato, come noto, Hegel).

Attualmente è divenuto lecito il dubbio che questo problema non venga più posto seriamente alle giovani generazioni perché la confusione dei principi e delle lingue risulta talmente alta che l’unica soluzione concretamente possibile sembra rimanere quella della pura scelta individuale secondo criteri soggettivi che appaiono tutti ugualmente validi.

In questo modo, in realtà si finisce per cadere nel relativismo assoluto e nel giustificare qualunque scelta perché tutte sembrano fatte “in buona fede” ed ugualmente giuste.

Va allora ricordata la risposta (per un cristiano vincolante, ma per chiunque interessante) data a questo problema da San Pietro, quando “inventò” il criterio di fondo per regolare l’obiezione di coscienza e spiegò perché gli apostoli avevano deciso di disobbedire all’ordine – giuridicamente, ma anche moralmente vincolante per un cittadino giudeo di quei tempi – che era stato loro dato dal Sinedrio di non predicare Cristo. Pietro disse (At 4, 19-20): “se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto ed ascoltato”. E poco dopo in At 5, 29 ribadisce: “bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Ma lo stesso Pietro nella sua prima lettera (1^Pt 2, 13-25) insegna che bisogna obbedire alle autorità (e quelle di quei tempi non erano certo favorevoli ai cristiani e benevoli con loro) e persino ai “padroni” prepotenti.

Sarebbe superficiale pensare che si tratta di cose ormai superate dalla storia e scritte solo per ricordare momenti e situazioni particolari del passato.

In realtà si tratta invece di insegnamenti fondamentali e permanenti che aiutano a trovare il giusto orientamento in queste problematiche ricordando che il Padre dei cristiani, che va da loro ascoltato prima e più di tutto il resto, insegna che l’Autorità civile va rispettata e le leggi obbedite, perché sono normalmente poste per il bene della comunità ed è un dovere posto dalla coscienza il rispettarle, ma ciascun cittadino (prima di tutto se cristiano) deve però mantenere sveglia ed attiva la sua capacità di accorgersi quando una singola legge risulti in contrasto con quella superiore di Dio e perciò contraria alla coscienza, che è la voce di Dio in noi, ed in questo caso (solo in questo) obbedire alla legge superiore.

Questo però significa che prima di tutto ci si deve abituare a fare un ordine tra le varie leggi cui siamo chiamati ad obbedire. Si deve imparare a fare ordine nella vita e riuscire a costruire un’unità interiore in noi. Solo in questo modo si saprà a cosa obbedire ad esempio tra le leggi morali e le cosiddette leggi dell’economia. Solo lungo questa via si riuscirà progressivamente ad imparare a quale delle leggi umane si deve obbedienza ed a quali è invece legittimo opporre obiezione di coscienza. Questa non  può essere seriamente e responsabilmente opposta da chi non abbia una coscienza formata e non si sia seriamente e lungamente applicato a questi problemi. La coscienza non  va confusa, come oggi si tende purtroppo a fare, con l’opinione. È invece una cosa maledettamente seria: la Coscienza obbliga a fare quello che indica (persino se fosse erronea), ma a condizione che sia davvero formata, altrimenti diventa solo un comodo alibi per chi voglia fare semplicemente ciò che è più comodo per lui o magari ciò che è conforme alle sue abitudini mentali e di vita.

7. Il criterio che, prima di qualsiasi altra operazione, impone di fare ordine tra le leggi e norme che ci richiedono obbedienza e ci spinge a fare unità nella nostra personalità e perciò nella nostra vita vale ovviamente per chiunque, anche per chi non si senta cristiano. Darà forse un diverso ordine ai suoi valori ed alle sue priorità (forse condividerà invece lo stesso), ma dovrà comunque cercarne uno e soprattutto dovrà riflettere sulla profonda differenza tra semplice opinione (importante, ma non vincolante) e dovere di coscienza.

Tutto questo aiuta poi anche a fare ordine nelle leggi umane tra loro.

È infatti certamente vero nella nostra società che le leggi costituzionali sono superiori a quelle ordinarie e che è perciò un obbligo del cittadino impegnarsi non solo a conoscere (e comprendere) la Costituzione, ma anche a ricordarsene in modo prioritario quando viene chiamato a fare scelte di tipo politico (come votare, ma non  solo) ed a verificare come cittadino il comportamento delle Autorità.

A volte, persino se è chiamato ad impegnarsi e lottare affinché le Autorità civili rispettino i principi costituzionali e siano richiamate a non trasgredirli ed anche a non svalorizzarli quando ne parlano perché sono frutto di grande saggezza umana ed anche spirituale e sono state poste dopo grandi sofferenze per cercare di garantire il bene di questa società.