Cattolici tra CL e Vendola

Massimo Faggioli

23 luglio 2010 – da Europa

Nichi Vendola ha recentemente elevato il meeting di Rimini di Comunione e Liberazione al rango di «più importante incubatore di nuove culture e di nuovi pezzi di classe dirigente».

Il meeting di Rimini, la kermesse politica che dal 1980 offre una passerella mediatica a figli e figliastri del cattolicesimo italiano e adesca quanti si illudono di poter fare appello all’elettorato cattolico intransigente dei seguaci di don Giussani, non aveva bisogno di una promozione di questo genere, fatta nel tentativo di fare delle Fabbriche pugliesi di Nichi Vendola l’alternativa di sinistra al meeting.

Ma l’inseguimento del modello Cl è ormai parte della storia del cattolicesimo italiano, come ben sanno i cattolici democratici sopravvissuti alla pace di Loreto siglata tra Cl e Azione cattolica nel 2005 sotto gli auspici delle gerarchie ecclesiastiche. Tuttavia, la sfida di Vendola al Pd rappresenta il lato politico di una sfida che sta davanti al cattolicesimo italiano.

Una sfida che va compresa all’interno di un dato storico, vale a dire la forza dell’anima sociale – di destra come di sinistra – della cultura dei cattolici italiani di fronte alla debolezza della componente liberale prima e conciliare poi. Tutto questo fa parte della storia della teologia, ma anche della storia della politica italiana. Il movimentismo di base del cattolico Vendola da una parte, e la penetrazione di Cl nei ranghi della politica di centrodestra dall’altra sono le spie dello stato di crisi non solo del cattolicesimo liberale e conciliare, ma anche della cultura democristiana.

L’articolo di Ceccanti di qualche giorno fa su Böckenförde e Bazoli giustamente metteva al centro la questione della statualità nel pensiero politico-economico cattolico. Ma è una questione che sia Cl sia Vendola hanno già risolto, e non nella direzione indicata da Böckenförde: Cl con una concezione pre-liberale e anti-liberale dello stato (e il suo inquadramento nel Popolo della libertà non è contradditorio rispetto alle origini del movimento); il movimentismo antagonista con una visione postliberale e anti-liberale (prossima, se non costitutiva dell’antagonismo sociale). Questi opposti estremismi della presenza cattolica nello spettro politico aprono per il Pd la questione che Cundari ha definito della «eredità rimossa, e apparentemente incontesa», vale a dire quella della concezione dello stato di radice democristiana.

Due questioni sono evidenti. Dal punto di vista della cultura politica del cattolicesimo italiano si apre la questione dello stato e della società. Di fronte a questo Zeitgeist politico ed economico (ma anche teologico), il Pd ha la scomoda funzione di difendere la parte dello stato di fronte a due ali estreme del cattolicesimo italiano (peraltro non totalmente identificabili con le sigle di Cl da una parte e del cattolicesimo di base e dissenziente dall’altra) che pescano nella retorica della società antistatuale e post-statuale: un comunitarismo classista a destra, una post-politica antiglobalista a sinistra. Dal punto di vista storico, invece, si riapre la questione di quali siano stati i frutti del ‘68 all’interno della chiesa, della società e della politica italiana. Sia Cl sia i movimenti del dissenso cattolico vengono dal Sessantotto; ma di fronte a quei cattolici che si entusiasmano per Nichi Vendola come frutto maturo del dissenso cattolico degli anni Settanta, bisogna ricordare che il periodo successivo al Sessantotto ha significato, anche per il cattolicesimo italiano, il blocco del riformismo della prima metà degli anni Sessanta e del Vaticano II.

Il Pd deve farsi carico di questa eredità politico-culturale complessa, che ha conseguenze enormi e dirette sull’approccio alle questioni della democrazia, dello stato, del ruolo dei partiti, dell’economia, del valore della persona. Sono geneticamente distanti dal cattolicesimo liberale e conciliare tutti e due i modelli che oggi fanno prepotentemente appello alla cultura dei cattolici italiani – il modello Cl e il modello Vendola. La visione dello stato di entrambi è figlia del pensiero intransigente del cattolicesimo sociale di fine Ottocento. Però Cl lo sa.