Cari cattolici, la nostalgia non serve

Nino Labate

Sull’ultimo numero di Reset Massimo D’Alema in un articolo titolato: “La fede è fattore di coesione”, riflettendo sul rapporto tra fede e politica, ha posto il problema della «laicità inclusiva » a cui dichiara di appartenere. Ne hanno poi parlato Castagnetti su Europa e Gennari e Matano sul Riformista. Non è la prima volta che D’Alema si sofferma sulla “risorsa” fede-mondo cattolico. E non è la prima volta che la famiglia politica comunista e postcomunista pone attenzioni alla questione cattolica. Gennari rovistando nella storia del Novecento cita un passaggio chiave della famosa lettera di Berlinguer al vescovo Bettazzi comparsa su Rinascita nel 1977, secondo cui nel Pci opera la volontà di far vivere in Italia un partito ed uno stato «non teista, non ateista, non antiteista ».

E senza riandare a Gramsci potremmo ricordare anche il discorso di Togliatti del 1962 durante il X congresso del Pci. Dopo Fassino e Veltroni, e le rassicuranti aperture di Bersani, l’articolo di D’Alema continua dunque una tradizione. Rimane il dubbio se le sue sollecitazioni riguardino un dibattito intellettuale, oppure attendono risposte e non solo accademiche sistemazioni storiografiche e politiche utili al presente.

Cattolici_democratici_PDSe come lui dice il discorso pubblico non può sottovalutare il «cattolicesimo laico italiano come componente forte e imprescindibile», e se la fede la ritiene una risorsa, mi chiedo allora per quale arcano motivo quella componente cattolico-democratica presente nel Pd avverte invece che «l’ossigeno si riduce», come rileva Castagnetti su Europa e sul suo blog, e come con altro giro di parole sottolinea anche Franco Marini in una recente intervista al Corriere. Franco Marini fa nomi e cognomi e si rivolge alla consapevolezza di Letta, Franceschini, Bindi e Fioroni per uscire fuori dalle secche e così «...recuperare una forte incidenza culturale dell’area ex popolare ». E cita a tale scopo le stesse attese di Pietro Scoppola. Bene.

Castagnetti fa invece capire che si sente rinchiuso in una campana di vetro con un tenue filo d’aria. Sappiamo che Castagnetti e Marini non sono reducisti e nostalgici, e che guardano al futuro. Ma se hanno questi pensieri per la testa vuol dire che qualcosa non torna. Se così, qualche risposta per una respirazione bocca a bocca ci sarebbe. Constatando il fatto che questa componente si è chiusa in difesa , ritengo che sia arrivato il momento di andare per qualche giorno in montagna e farsi una bella respirata di aria pura. Ricordo che Achille Ardigò non se la prendeva mai con la Chiesa per gli spazi che precludeva ai fedeli laici, ma se la prendeva sempre con i fedeli laici che nel dopo Concilio non sapevano responsabilmente prendersi gli spazi propri che gli appartenevano.

C’è allora da rivolgersi a quel manipolo di cattolici-democratici del Pd ridotti collettivamente al silenzio. Non tanto per farli pesare di più all’interno del Pd, quanto per farli pensare di più. La ricerca di una nuova identità (cattolico-democratica) aperta e inclusiva – come afferma D’Alema – tale da costituire una risorsa per tutto il Pd è una operazione squisitamente culturale che non attende la benedizione dei compagni di cammino. È invece una operazione che appartiene alla consapevolezza storica della classe politica ex popolare e al loro responsabile protagonismo. Avvertendo il pericolo di estinzione e la mancanza di proposta culturale, Guido Formigoni sulla rivista Appunti di Cultura e Politica ha su tale silenzio aperto un dibattito: Le scelte urgenti per i cattolici democratici.

A questo Focus titolato “Cattolicesimo democratico: che fare?” hanno sinora preso parte Franco Monaco, Rosy Bindi, Paola Gaiotti e Dario Franceschini. Mentre su analogo filone associativo, Giorgio Campanini, Lino Prenna, Raffaele Cananzi e Alberto Monticone insistono ormai da tempo con Agire Politicamente su una sorta di coordinamento del cattolicesimo democratico. C’è tuttavia da rompere un radicato quanto inspiegabile comportamento.

Il mondo cattolico-democratico è un mondo di soggetti divisi che sembra abbia preso gusto alla solitudine: alla luce della “contaminazione” e della “inclusione”, la testimonianza dei propri principi e dei propri valori, è molto meglio farla da soli. Questo è il convincimento. Mettersi alla ricerca di questa nuova identità culturale aperta e inclusiva significa allora creare gruppo, non solo rete tecnica. E significa dialogare tenendosi a distanza dai mali del correntismo, dei rapporti di forza e delle tessere: una unica fondazione, una sede, un pensatoio aperto che non escluda, un forum, una rivista, un sito web, un quotidiano, ecc. che devono essere con-divisi e partecipati da quanti ancora credono con la loro fede di poter offrire risorse al futuro della politica e del paese. Non solo del Pd. In secondo luogo significa riscoprire il gusto dell’incontro interpersonale e della progettualità comunitaria oggi frantumata in mille rivoli associativi e territoriali. Sul piano dei diritti umani, della giustizia sociale e dell’uguaglianza la tradizione cattolico democratica e popolare non è seconda a nessuno.

Riprendere i suoi principi e confrontarli con i cambiamenti, terribili, sopraggiunti diventa allora un dovere di chi ancora si riconosce in questa area spirituale e culturale. Se c’è da mettere in cantina pensieri e procedure obsolete lo si faccia al più presto. Ma se c’è invece da rinverdire, riproporre e risciacquare nell’Arno della tarda modernità globalizzata qualcosa, si commette un vero peccato di omissione a rimanere in stand-by. Quel lumicino cattolico-democratico ormai a corto di ossigeno, può con le sue notevoli risorse costituire risorsa. Lo può fare con dignità e sapienza. Includendo. Tenendosi ben distante dal nostalgismo. E alimentando speranza.

Da Europa - 19 giugno 2010 – Sez. Commenti