Lettera indirizzata ai Vescovi della nostra Chiesa dopo le elezioni regionali 2010

(recata all’Assemblea Nazionale 2010 di Agire Politicamente da Raniero La Valle - coordinamento dei Comitati per la difesa della Costituzione - e proposta alla sottoscrizione di quanti la condividono)

Raniero La Valle

Reverendi Padri,

 certamente non sarà sfuggito alla vostra attenzione pastorale ciò che è avvenuto la settimana scorsa in Italia. Mentre dagli altari stava per risuonare il lieto annuncio della Pasqua, dalle urne usciva un responso che è stato interpretato dal governo come un encomio per le politiche praticate e come un mandato a perseverare ed anzi accelerare nel perseguimento dei modelli di vita e di società fin qui adottati e proposti.

Ciò significa, come è stato annunciato, che nei prossimi tre anni si accentuerà la pressione per riforme costituzionali favorevoli al potere esecutivo e sfavorevoli al Parlamento- sovrano organo della rappresentanza- e quindi ai diritti dei cittadini, si realizzerà il promesso privilegio fiscale ed economico-sociale a favore delle regioni ricche contro le regioni povere, sarà sguarnito di protezioni il lavoro e saranno indurite le politiche di contrasto all’immigrazione con un grave rischio per le possibilità di vita degli stranieri che già sono con noi ed un aumentato pericolo per i disgraziati che arrivano per mare.

Questo risultato è stato provocato dallo spostamento di pochissimi voti nelle regioni politicamente decisive del Piemonte e del Lazio, che hanno fatto la differenza trasformando per il presidente del Consiglio e nella percezione dell’opinione pubblica una catastrofe in trionfo. Ciò è stato reso possibile dal meccanismo seccamente bipolare con cui attualmente funziona la democrazia italiana, per il quale, come in una roulette russa, anche un solo voto in una regione e una sola regione nell’intero Paese possono determinare il passaggio dall’una all’altra parte della totalità del potere.

È del tutto chiaro che di tale regolamento del sistema politico non si può fare carico ai vescovi. Tuttavia che esso in tal modo funzioni dovrebbe essere ben presente e dettare i comportamenti a tutti quelli che hanno responsabilità nei confronti di questo Paese; infatti il pericolo lamentato dal Papa nel discorso che non gli fu permesso di pronunciare all’Università di Roma, e cioè che gli interessi particolari di maggioranze e partiti prevalgano sulla sensibilità per la verità e sul bene comune diventa molto maggiore nell’attuale sistema e sostanzialmente affidato al caso.

Quattro giorni prima delle elezioni è stato grandemente valorizzato dai media un richiamo del Presidente della CEI, specificamente riferito alla “verifica elettorale”, riguardo alla tutela della vita dal concepimento fino alla morte naturale, principio che nella nostra civiltà giuridica è a tutti comune. Tuttavia questa ed analoghe formule nella deformazione ideologica con cui vengono recepite, nella usura della loro stessa continua ripetizione e nella strumentalizzazione politica che molto volentieri ne viene fatta, perdono qualsiasi riferimento a ciò a cui veramente alludono e diventano dei messaggi in codice che sortiscono tutt’altri risultati. Nel contesto della imminenza del voto regionale, mentre gran parte dei protagonisti della gara non aveva alcun accesso ai mezzi di informazione, e mentre il presidente del Consiglio usava del suo potere e delle sue ricchezze per invadere tutte le televisioni, promettere la guarigione dal cancro e spedire venti milioni di lettere a destinatari a lui sconosciuti ma chiamati per nome, il richiamo del presidente della CEI veniva decrittato e a tutti arrivava nella formula: non votate per la Bonino e per la Bresso, ma per la Polverini, per Cota e quindi per Berlusconi e per la Lega. La Lega ha subito ringraziato promettendo, per bocca dei suoi governatori neo-eletti, non la vittoria sull’aborto ma un intralcio ideologico alla sua banalizzazione farmacologica; un risultato, certo, per i vescovi, ma pari al suo costo?

Il costo a noi sembra pesante non solo per la società, ma per la Chiesa. La candidata sconfitta a Roma ha potuto dire di esserlo stata dalla coalizione Berlusconi-Bagnasco. Il presidente della CEI però non aveva detto questo alla generalità dei fedeli, in un aperto esercizio della sua responsabilità pastorale. Aveva solo parlato all’interno di una ristretta riunione di vescovi, usando un codice che altri avrebbero messo in chiaro. La responsabilità pastorale è però comunque entrata in gioco. È lecito chiedersi allora se era questo risultato che la Chiesa italiana voleva: se vuole essere chiamata a rispondere di ciò che potrà accadere in Italia, per opera del potere, nei prossimi tre anni ed anche oltre.

Si dirà che questa è una preoccupazione di parte, che effettivamente è suscitata in noi da un lato da ciò che sappiamo di chi ci governa e dall’altro dal fatto che le riforme che si profilano vanno tutte nella direzione di un modello di società incompatibile colla nostra Costituzione che amiamo e che rimane quella di tutti gli italiani. Ma la stessa scelta della Chiesa è di parte, e così essa si trova ad includersi in una parte contro l’altra.

Abbiamo ben presente l’obiezione: ma allora vorreste che la Chiesa non parlasse di ciò che è bene per la fede e per la morale? Ma è proprio questo il punto, è proprio perché la Chiesa deve fare questo che noi ci chiediamo che cosa giovi alla fede e alla morale in questo Paese: quando Gesù ha mandato libera l’adultera, lo ha fatto perché non ha voluto giudicare in astratto, ma prendersi cura della vita reale. Dunque la domanda è: dove, come si salvano le vite, e dove ci si fa carico, al di là della vita fisica, della “vera vita” che è l’intera vita delle persone, con il loro spirito e il loro sentire, e del bene generale che al di là degli interessi particolari comprende la qualità del rapporto tra gli uomini, tra i cittadini, tra quanti credono e quanti non credono e tra quanti giudicano con criteri politici diversi? Come si potrebbe essere contenti se, ad esempio,al vertice del sistema mondiale fosse intercettata la generosa corsa di Obama per restituire al mondo la pace, per il prevalere della questione di principio di chi in America debba pagare le spese degli aborti, che comunque si fanno?

Il rischio è che il Paese si perda, per i nostri errori, e perché politicamente anche la Chiesa può sbagliare. Quanti poi condividono la fede della Chiesa, come viene segnalato da più parti , vedono anche il rischio che essa non venga più avvertita come un sacramento di salvezza, ma come un attore sociale che sbaglia tempi e scena, crea pericoli e diffonde amarezza.

Ci piacerebbe, Reverendi Padri, su queste cose avere un aperto e rispettoso scambio di pensieri, non in codice, tra pochi, ma in chiaro e tra tutti in un dialogo rasserenante.

Con deferente ossequio