Il cristianesimo ha ancora una rilevanza pubblica in italia?

Dott. Pietro Lacorte

Presidente Diocesano MEIC di Brindisi-Ostuni

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5856, resa pubblica il giorno 11 marzo u.s., ha ritenuto di non applicare, nel caso del ricorrente, le norme previste dall’art. 3 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, accolta dallo Stato italiano con legge n. 176/1991, esprimendo un parere difforme da quello già pronunciato nella sentenza n. 823 del 20.01.2010.

I giudici hanno ritenuto quindi che la difesa delle frontiere dello Stato italiano sia preminente rispetto alle esigenze di tutela del diritto allo studio dei minori interessati, non riconoscendo nella fattispecie una situazione di emergenza che determini gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico dei minori stessi.

All’atto dell’emanazione delle disposizioni governative sulla sicurezza in molti avevamo ritenuto di richiamare per quanti nella maggioranza parlamentare si professano credenti i dettati dei Sacri Testi, i quali prescrivono accoglienza e condivisione di coloro che versano in stato di bisogno. E’ scritto in­fatti che “quando uno straniero busserà alla tua porta non gli farai torto”, e che siamo tutti “stranieri e pellegrini” nella terra in cui ci è dato nascere e vivere.

I nostri fratelli nella fede invece non hanno ritenuto di porre in dubbio il loro assenso a norme che prevedono di respingere chi osa affacciarsi alle nostre frontiere, ritenendolo perseguibili per legge.

Se tale è la rigidità di un dettato legislativo, quale sorpresa è consentito esprimere sul­l’in­ter­pretazione  data dalla Suprema Corte di Cassazione?

Sorge allora la necessità di una seria riflessione da parte di ogni cittadino di buona volontà allo scopo di rendere meno restrittive norme legislative quando è in gioco il bene supremo della dignità e dei diritti inalienabili di ogni essere umano, specie se di minore età. Ma per un tale intento è indifferibile ed inderogabile il dovere da parte di ogni cittadino che si professi credente del­l’attenzione costante verso l’Altro, i cui bisogni vanno condivisi in nome della Carità.

La compassione non è un invito all’eroismo o alla santità straordinaria;…essa vuole essere alla portata di tutti, virtù quotidiana, virtù di base dei cristiani”, ha scritto un grande teologo come Johann Baptist Metz, il quale aggiunge che “il cristianesimo dovrebbe oggi testimoniare nei processi di globalizzazione: compassione, coinvolgimento come espressione vivente del suo appassionamento a Dio, una mistica della compassione assolutamente politica”, perché “non c’è dolore nel mondo che non ci riguardi”. Il teologo invita ancora a riflettere che “il cristianesimo prese avvio come comunità di memoria e di narrazione nella sequela di Gesù, il cui primo sguardo fu rivolto al dolore altrui, quando affermò l’unità indivisibile tra amore di Dio ed amore del prossimo”.

Se così stanno le cose per i credenti, e stanno proprio così, quale giustificazione può essere ormai data a quei politici che professano una fede e continuano ad esercitare il mandato parlamentare senza porsi problema alcuno di fronte a manifeste sofferenze dei fratelli?

In un mondo globalizzato, a fronte di tante sofferenze ed indigenze, i cristiani hanno il dovere di proclamare chiaramente e senza mezzi termini la loro fede e di offrire testimonianza coerente nel loro essere nel mondo; altrimenti il loro destino è quello della progressiva insignificanza.

Cristo non si è incarnato invano; non ha sposato inutilmente la storia di noi uomini!

E’ bene che riflettiamo seriamente tutti una volta per sempre, prima che qualche nuovo Nietszche proclami di nuovo “la morte di Dio”.

Ostuni, 13 marzo 2010