Cattolici d’Italia?

Giorgio Armillei

22 luglio 2013

da LANDINO.IT

L’insuccesso della lista Monti, l’emorragia di voti berlusconiani, la fallimentare egemonia bersaniana nel PD hanno per un verso certificato e per l’altro dato visibilità alla quasi integrale scomparsa del cattolicesimo politico dal panorama italiano. Qualunque sia il campo semantico di questa formula, dal più stretto al più largo, dal più soggettivo – che parte cioè dalla rappresentazione dei protagonisti - al più oggettivo – che tenta una ricostruzione delle dinamiche delle relazioni tra organizzazioni religiose e organizzazioni politiche. Complice anche l’esordio del pontificato di Bergoglio, parlare oggi di un’elaborazione cattolica della crisi del berlusconismo appare, nei fatti, quasi improponibile. Certo, al riparo dei clamori della politica e delle vicende ecclesiastiche, il laicato cattolico prosegue nel suo impegno quotidiano, elabora schemi di lettura, consolida pratiche di comportamento, continua a votare per partiti diversi. Manca però quello che si sarebbe un tempo chiamato quadro di riferimento o anche un confronto tra più quadri di riferimento. Al quale agganciare schemi, comportamenti e voto. I vecchi ancoraggi sono ormai sbiaditi, si mescolano, non riescono più a emergere da una specie di indistinto scenario. Individualismo religioso e deriva spiritualista sono forse le etichette che meglio descrivono la situazione. E’ il concetto stesso di laicato a essere in discussione, se non dal punto di vista normativo – a proposito del quale il dibattito non è tuttavia secondario, ma si tratta di un dibattito per addetti ai lavori – quantomeno dal punto di vista empirico. Chi sono i laici cattolici in Italia?

L’esaurimento del modello democristiano e il parziale insuccesso di quello bipolare che, nel bene o nel male, ha retto gli ultimi 20 anni di vita politica italiana, hanno per la verità generato un insieme di elaborazioni e di pratiche alternative, benchè certo assai esili rispetto alla imponente coerenza di quelle che le hanno precedute. Si sono affacciati sulla scena almeno quattro modelli, in qualche modo alternativi anche se tutti incamminati, più o meno rapidamente, verso l’esaurimento della loro iniziale spinta propulsiva. Ha cominciato il conservatorismo liberale e bipolarista di Ruini – ruolo della Chiesa nello spazio pubblico, salda dottrina pluralista della società contemporanea, libertà religiosa al posto della vecchia laicità ma, allo stesso tempo, formidabile accentramento organizzativo intraecclesiale, presenza episcopale sostitutiva di quella del laicato e… la sinistra non sarà mai un interlocutore – a dare cattiva prova di sé non appena tramontata la forza centralizzatrice e mediatica del suo leader. E’ infatti riuscito a istituzionalizzare ben poco di quanto messo in moto. E tramontato il leader è sfiorito anche il modello. E’ stata poi la volta del neo sturzismo della Settimana Sociale di Reggio Calabria del 2010, un esempio coerente di cultura teologica e politica, denso di proposte non convenzionali sul laicato post conciliare e sulla cultura politica cattolica. Anch’esso nettamente bipolarista, poliarchico, per una piena apertura dello spazio pubblico alle visioni religiose del mondo, nel suo genere aperto a sinistra e convinto di un ruolo politico organizzato del movimento cattolico, fatto di contenuti e di strategia. E tuttavia irrimediabilmente debole, nonostante un certo interesse intraecclesiale di base: lasciato solo dai vertici della CEI di Bagnasco, guardato con scetticismo dai possibili partner politici e non ultimo anche dall’associazionismo amico. Quasi contemporaneamente al neo sturzismo, e chiaramente ad esso alternativo, si è poi affacciato il clerico moderatismo dei cattolici di Todi, quelli per cui l’importante è esserci, i contenuti sono secondari e si tratta di vedere quali sono e cosa chiedono i possibili alleati. Essenzialmente antibipolare, il clerico moderatismo si è mosso secondo la strategica lobbistica del gruppo di interesse e, se nel breve periodo ha portato a casa un buon risultato in termini di patronage, è poi evaporato, vuoi per la permanente forza delle sfere di attrazione bipolare, vuoi per la sua estraneità ai grandi numeri del cattolicesimo italiano. Non è infine mancato il costante riproporsi dello schema dossettiano, sempre infarcito di quelli che appaiono dogmi ideologici anche a dispetto di alcune posizioni dinamiche dello stesso Dossetti, quelle per cui la nostra costituzione è la più bella del mondo, la politica non può perdere il suo primato, la personalizzazione è figlia della televisione berlusconiana, il mercato va bene, però è la politica e lo stato che assicurano il bene comune. Il dossettismo ha spesso contribuito ad una radicalizzazione della sinistra e, da ultimo, del PD, e rappresenta forse la tendenza intellettuale più influente del cattolicesimo politico italiano. Ma si tratta di un’influenza fatta di biografie ormai ingiallite, legate a una generazione post conciliare ferma ai dibattiti degli anni sessanta. Più si esaurisce la coorte generazionale, più aumentano gli istinti conservatori, a tutela di una democrazia politica italiana che sembra venir data come nata nel 1948 e morta nel 1994.

E’ come se sul campo non rimanesse quasi nulla dal punto dal punto di vista che stiamo qui affrontando. La prossima Settimana Sociale di Torino sulla famiglia appare come malinconica conferma. Una riproposizione di alcuni punti dottrinali, nei quali per altro l’insistenza sul necessariamente mutevole quadro sociale della famiglia finisce con il mettere in secondo piano il ben più radicale discorso sul matrimonio come sacramento, in un clima di sostanziale chiusura nel quale il protagonismo laicale appare spento. Siamo dunque destinati ad una sorta di cattolicesimo politico anonimo, fatto di elaborazione e testimonianza individuale, i “cattolici d’Italia”? Legittimamente privi di un unico progetto politico ma inesorabilmente disarmati di fronte all’equazione per cui la politica è essenzialmente organizzazione e senza organizzazione non c’è influenza politica? Oppure non si è ancora esaurito, tra individualizzazione della fede ed esaurimento delle grandi narrazioni politiche, lo spazio teorico e pratico per un moderno riformismo di ispirazione cristiana, attraverso cui dare rilevanza collettiva alla fede nello spazio pubblico? Attraverso cui operare quel discernimento ecclesiale dei segni di tempi, esercizio fondamentale del giudizio morale e dell’azione pratica, personale e comunitaria?

Il punto essenziale di questa fase mi sembra proprio qui. Prima ancora del come si daranno, nel contesto attuale di sfinimento della ragione pubblica secolare, forme di articolazione collettiva del fatto religioso nell’ambito della sfera politica, il punto è l’ineluttabilità dottrinale ed empirica della transizione individualistica del cattolicesimo italiano, l’ineluttabilità del passaggio dal movimento cattolico, al mondo cattolico, ai cattolici d’Italia. L’impraticabilità di quel discernimento ecclesiale raccomandato da ultimo nel Convegno ecclesiale nazionale di Verona del 2006 come ulteriore scoperta del cammino post conciliare. Un discernimento che non è né solo individuale, né solo dottrinale ma anche pratico e, inevitabilmente, politico. La questione è dunque comprendere quanto sia ineluttabile, dal punto di vista empirico e dottrinale, la transizione individualistica del cattolicesimo italiano, quanto sia ineluttabile il passaggio dal movimento cattolico, al mondo cattolico, ai cattolici d’Italia. Dobbiamo dare per definitivamente impraticabile quel discernimento ecclesiale raccomandato da ultimo nel Convegno ecclesiale nazionale di Verona del 2006 come ulteriore scoperta del cammino post conciliare?


Nino Labate risponde a Giorgio Armillei