RICORDANDO RUFFILLI, UCCISO DELLE BR

UN RIFORMATORE SERIO DEL SISTEMA ELETTORALE

Luigi Bottazzi

Aprile 2015

Ventisette anni fa, il 16 aprile 1988, le Brigate Rosse uccidevano nella sua abitazione a Forlì il senatore democratico cristiano Roberto Ruffilli, studioso delle trasformazioni dello Stato moderno e contemporaneo e consigliere in materia di istituzioni del Segretario della Dc De Mita.

Alcuni mesi prima – allora capogruppo dc in consiglio provinciale - avevo accompagnato Roberto, che frequentavo con altri amici emiliani del “giro “ di Ermanno Gorrieri, ad un incontro in montagna con giovani appartenenti a diverse associazioni cattoliche, proprio per la presentazione del suo libro, fresco di stampa, “ Il cittadino come arbitro.La DC e le riforme istituzionali“, che trattava appunto di riforme elettorali in tempi non sospetti e con grande competenza. La motivazione delle BR per quel vile assassinio fu che le riforme istituzionali alle quali lavorava avrebbero razionalizzato e reso più oppressivo lo Stato. Pensate ! Forte nelle sue convinzioni - come ricordava Gianfranco Pasquino suo collega ed amico all'università e al parlamento - Ruffilli era tutto meno che incline a opprimere. Anzi la sua inclinazione era al ragionamento e alla persuasione come modalità di elaborare qualsiasi riforma. Più che un democristiano, era un moroteo, paziente e disposto a pagare il prezzo di tempi lunghi per approvare riforme buone, largamente, non unanimemente, condivise. Non “prestato alla politica” per sempre dall’Università, come spesso diceva, alla quale sarebbe sicuramente tornato alla fine del suo secondo mandato, ma disposto a rendere quel servizio che solo persone come lui potevano svolgere. Ruffilli infatti era stato il capogruppo della Dc nella commissione bicamerale per le riforme istituzionali nota come Commissione Bozzi. Un gruppo parlamentare di alto livello, era quello democristiano di allora, soprattutto se guardiamo ai deputati dell'oggi, nel quale si trovavano personalità come Nino Andreatta, Pietro Scoppola, Mario Segni! In questi ultimi anni nei quali, di tanto in tanto, appare na fiammata riformatrice, mi sono spesso chiesto che cosa avrebbe pensato l'amico Roberto, il prof. Ruffilli, dei tentativi di riforma, annunciati, approfonditi o stiracchiati, come le proposte dei famosi “saggi “ nominata da Napolitano. Ruffilli seppe proporre a suo tempo una articolato normativo che, senza alterare l'equilibrio costituzionale, come la riforma Bianchi-Renzi attuale, coniugava sapientemente l'esizenza della rappresentatività con quella della governabilità, dando una giusta misura al rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio. Si badi bene, non per una esigenza meramente leaderistica, come vuole l'attuale segretario-premier, ma per conseguire le condizioni elettorali e istituzionali di una vera democrazia dell’alternanza. Il professore di Forli ,innestava la sua visione su quella che più volte definì “la cultura della coalizione”,( altro che premio di lista ?....come si vuole oggi ) vale a dire la necessità democratica che i partiti coalizzatisi distribuissero poteri e cariche, proprio come fanno i governi di coalizione in tutte le democrazie parlamentari europee, in base ai voti ottenuti da ciascun partito. Se ricordiamo che, alla fine dei lavori, nel febbraio 1985, la Commissione Bozzi approvò un ordine del giorno a favore del sistema elettorale tedesco, rappresentanza proporzionale personalizzata, firmato da lui, da Augusto Barbera in rappresentanza del Pci, da Andreatta,Segni, Scoppola , Pasquino,ecc. Per citare solo le personalità di maggior caratura culturale, che sostenevano quella tesi,possiamo misurare le distanze del suo pensiero istituzionale rispetto a quanto avviene oggi. Con un filo di ironia,non si è lontani dal pensare che Roberto Ruffilli sarebbe oggi molto critico degli sviluppi in corso, guardando proprio al testo indigesto ed abboracciato della baldanzosa riforma elettorale ( Italicum) che il piè veloce fiorentino vuole imporre, come un “catenaccio” , a tutti noi italiani. Nella situazione odierna mi sovviene un giudizio, sia pure datato al 2003, che un altro illustre costituzionalista, Michele Bovero, allievo di Norberto Bobbio,ebbe modo di esprimere sulle riforme costituzionali di cui si discuteva in quel periodo: la preoccupazione centrale dello studioso torinese era il rischio o il pericolo di passare da una “ democrazia matura “ ( oggi direbbero da rottamare !!!) ad una “democrazia degenerata “. Oggi, a mio avviso, non ci siamo molto lontani.