Libertà e Cristianesimo

Romolo Murri

S. Marino, 24 Agosto 1902

La repubblica di S. Marino della quale oggi siamo ospiti, o amici, resse, protetta dalla sua materiale debolezza, in secoli di servitù civile, perché di qui l'Italia traesse gli auspici del suo rinnovamento; ed anche oggi che lo straniero ha lasciato l'Italia e governano gli ordinamenti civili che le diede la monarchia « liberatrice », essa può apprendere nella repubblica di S. Marino, in questo piccolo terso specchio di un'era di libertà grandi e gloriose, l'esempio di maggiori franchigie popolari, di più savii ordinamenti, di mite e serena virtù civile. Ma per noi cattolici che, essendo fuori per breve tratto dai confini dell'Italia nostra, respiriamo tuttavia qui, oggi, un'aura di maggiore italianità, per noi la Repubblica di S.Marino è, fuori dei limiti di tempo e di spazio, un segnacolo manifesto e caro: poiché qui dove odii politici non conturbano il sereno possesso della religione cristiana, nè i rappresentanti di questa ebbero motivo di trarsi crucciosamente in disparte, stringendo nelle braccia gelose gli antichi e i vecchi istituti, e lasciando ad altri il dominio delle forze che muovono il mondo, qui noi vediamo splendere, in felice accordo, Libertà e Cristianesimo e avvantaggiarsi l'uno dell'altro.

Libertà e Cristianesimo! Due parole che io non so pronunziare senza commuovermi e che esprimono i migliori ideali di tutta, spero, una generazione di giovani cattolici italiani: tanto esse riassumono bene, oggi, tutto quello che nella vita o nelle lotte civili noi curiamo, proponendoci di difenderlo se posseduto, di cercarlo se smarrito, di raggiungerlo se promesso dalle sante lotte civili che combattiamo.

Libertà e Cristianesimo! L'una, o amici, sebbene grandi colpe abbia fatto commettere e grandi illusioni abbia suscitato, deve essere tuttavia grandissima cosa se, durante l'ultimo secolo, tanta gioventù d'Europa ha lottato ed è morta per essa: e se in nome di essa si sono compiuti nella vita civile di Europa tanti e sì gravi mutamenti: nei quali la nostra « filosofia della storia » ci impone di vedere, fatta la debita parte anche qui agli errori e alle colpe degli uomini, un grande progresso dell'umanità civile; poiché essi hanno, fra i popoli che se ne avvantaggiarono, diminuito enormemente l'impero della forza e dell'oppressione e allargato quello della giustizia e del diritto e dell'amore, permettendoci oggi anche maggiori speranze.

Osservano, o amici, che la libertà non è né uno scopo né una forza: ma che importa a noi del significato filosofico della parola quando, mentre noi giovani di oggi ci troviamo in mezzo fra un passato dal quale giunge l'eco confusa di tante catene e di tanti lamenti e del quale ci premono ancora alle spalle tanti residui, e fra un domani che amiamo come cosa che è nostra, perché ci proponiamo di esercitare in esso tutta la nostra attività a vantaggio della causa del bene e degli uomini fratelli, la libertà ci rappresenta la liberazione da tutti gli ostacoli che gli ordinamenti civili di ieri opponevano al lavoro e la possibilità dello sviluppo franco ed operoso di tutte le energie giovanili che ci fremono nell'anima e ci promettono così pieno l'avvenire?

E non vi pare che, intesa a questo modo, quella parola spieghi e gli entusiasmi che destò e la ripercussione profonda che ha nelle anime nostre ogni volta che noi sentiamo pronunciarla? che essa, in una parola, dica tutto?
Ma non sono io, per caso, in ritardo di trenta anni? La libertà può ella essere, per noi giovani cattolici italiani di oggi, un programma?
Amici, sì.
Cittadini d'Italia, appartenenti, nella varia gradazione dei suoi partiti politici, ai democratici, e, di me almeno e di moltissimi di voi posso dirlo, ai radicali, benché divisi in molte cose dagli altri che hanno lo stesso nome, il programma nostro politico, se ha per contenuto vaste riforme civili e sociali, nei rapporti esterni con gli altri partiti può essere ancora chiamato il Programma della libertà.

I partiti conservatori, e ne avemmo triste esperienza in Italia in questi ultimi anni, persuasi che l'essenziale per l'umanità è di non agitarsi, credono che il supremo scopo dì un savio governo sia impedire i movimenti popolari restringere i vincoli civili, così che le forze nuove non trovino modo di affermarsi e di svolgersi: la lotta è quindi perennemente, sotto qualunque veste si celi, dall'una parte per la compressione, dall'altra parte per la libertà; non essendo in potere dell'attività riflessa degli uomini nella storia creare le profonde energie che la vanno formando e riformando, ma solo regolarne in qualche modo le manifestazioni ed il corso.

Meglio ancora, o amici, se la libertà è facoltà di agire, essa deve apparirci, nella vita economica e sociale, come l'albumina nella quale si muove e si nutre ogni diritto in embrione e, quindi, il tutelarla e promuoverla come il supremo compito dello Stato civile, non creatore ma educatore e maestro degli ordinamenti sociali: così dalla libertà di sciopero è nata l'organizzazione operaia, così dalla libertà civile il suffragio; e per questo il ministero Zanardelli-Giolitti che venne dopo i ministeri di compressione, fu salutato con gioia, anche dai socialisti, come il ministero della libertà,

Ed in fondo, se voi guardate, di tutte le nostre rivendicazioni economiche e sociali è comune carattere il chiedere che il lavoratore sia, come contrattante e come cittadino, in eguali condizioni del ricco: ritenendosi che ciò basterà a dar libero corso alle forze che portano l'uomo a migliorare le proprie condizioni, e che da ogni nuova libertà affermata nascerà un diritto che ne spieghi la ragione ed i limiti e ne stabilisca il possesso, una forza civile che si porrà a guardia di quella libertà e di quel diritto.

Dinnanzi allo Stato italiano noi crediamo, come l'on. Sacchi, senza tuttavia trarne forse tutte le conseguenze che egli ne trae, che la costituzione ci presenti oggi e ci offra le libertà politiche necessarie per svolgere il nostro programma di ulteriori richieste civili e sociali: solo una vigile custodia di ciò che possediamo si impone, ed uno studio assiduo di allargare l'uso ed aumentare le derivazioni di queste libertà nelle conquiste delle lotte civili: quali sarebbero l'affrancamento di molti deboli dalla prepotenza della ricchezza che dà il lavoro, dei comuni dal potere centrale, dell'educazione da un insidioso programma settario del Palazzo della Minerva, dei partiti dalla tirannide della metà più uno, della vita locale dalla imposizione di deputati-agenti, e così via.

Bei propositi o amici: ma che ad alcuni parranno forse anche intempestivi, appunto perché a noi cattolici sta sul labbro una meno lieta confessione e incombe un più grave ufficio. Avversi, per molti equivoci e molte ingiuste prevenzioni, alla libertà, i predecessori nostri, lungi dallo spingersi, confidando nel Cattolicesimo, più innanzi degli altri, a gara, in questo uso della libertà per le lotte civili, non ci hanno neanche abituati ad usare di tutte le libertà che lo Stato ci concede: e noi siamo oggi, per colpa di parte nostra, meno liberi che non siano tutti gli altri cittadini, meno sicuri e civilmente operosi.
Io vi darò di ciò, amici, un esempio solo.

Tra le libertà che la costituzione ci concede è quella di rivolgerci direttamente al popolo, nelle piazze e nei luoghi pubblici, per esporgli le nostre idee ed incitarlo a sensi ed opere conformi ad esse. In trent'anni, quante volte ci siamo serviti di questo strumento delicatissimo di influenza civile e sociale, così importante che partiti giovani hanno sostenuto per esso gravissime e lunghissime lotte?

E tutti sanno ancora la ripugnanza istintiva di molti dei nostri vecchi per questi usi « che sanno di demagogia e di sovvertimento »: come se la maggior causa di abuso non fosse appunto la mancanza dell'uso moderato e legittimo di questa, come di tante altre armi civili.
Oh! amici, qui sul terreno di una liberissima repubblica, questo sia oggi il nostro proposito, di voler usare di tutte le libertà che la vita civile ci concede, e di prendere da essa le mossa per chiederne altre ed altre, perché ad ogni catena che cade schiere di umili sorgono alla luce e all'amore ed al bene, e ad ogni schiera di umili che acquista la libertà i cuori di tutti debbono rallegrarsi come di un vantaggio comune proprio, poiché è un nuovo passo innanzi della giustizia e del bene.

E noi giovani cattolici tanto più alacremente dobbiamo correre alla difesa e alla ricerca della libertà; perché essa è, come io vi dicevo, facoltà di agire, e dell'azione umana e delle condizioni intrinseche di moralità che la dirigono al vero bene, dell'ordine (armonia di nature operanti e di fini), solo noi cattolici possediamo un concetto sufficiente e adeguato: e solo noi, quindi, sapremo essere intieramente e veramente liberi e rispettosi della libertà altrui, che è lo stesso.

E la libertà noi chiediamo anche per il Cristianesimo: e il Cristianesimo cerchiamo nella libertà.
Esso fa parte, innanzitutto, del nostro programma: e non, come qualcuno potrebbe credere, con pensiero infantile, come remora e limite della democrazia, ma come spirito animatore e nerbo e sostegno di essa.
Oltre a ciò, uomini e credenti, noi cerchiamo il Cristianesimo per se stesso: per il bene che ha fatto all'umanità e alla civiltà e per il bene che può fare, pel bisogno intimo e vivo che ne sentiamo noi stessi. E noi ci proponiamo di essere profondamente ed integralmente cristiani, di difendere il cristianesimo con mezzi moderni ed efficaci dagli attacchi dei quali è soggetto, di promuovere con tutte le forze gli interessi della civiltà cristiana. Ora ciò è tutt'altro che facile, o amici: e giova considerare le difficoltà che nella sua via incontra la pratica viva ed effettuale, la difesa, la propaganda del Cristianesimo.

Amici, nella storia contemporanea del Cattolicesimo parecchie cose colpiscono dolorosamente l'osservatore. La prima è l'inferiorità politica dimostrata nel secolo scorso dai rappresentanti e dai seguaci di esso, l'appoggio dato all'oppressione che si ammantava di autorità, la diffidenza delle forze dei partiti giovani, la inettitudine a prevenire, con opportune riforme interne, le soppressioni e le spoglianze che dovè subire poi dalla società moderna.

Un'altra, che riguarda più da vicino la vita religiosa medesima, è l'influenza sempre minore del pensiero e della vita cristiana sulla attività umana, l'artificiosità che tenacemente attaccatasi alle manifestazioni letterarie ed artistiche del Cattolicesimo impediva ed esse di essere sentite e di commuovere; un terzo, il decadere della osservazione cristiana e di quello spirito di umiltà, di schiettezza, di amore, che fu caratteristica del Maestro divino, nella vita di coloro che oggi prendono nome da lui, il prevalere di occupazione formalistiche e legali di consuetudini esterne, che fanno applicabili a noi molti dei rimproveri da Gesù rivolti ai Giudei del suo tempo; e di rimbalzo, nelle anime, una nostalgia diffusa, e spesso acuta, d'un Cristianesimo più puro, più intenso, più cristiano, un ritorno accorato pieno di desiderio alle origini, all'Evangelo, più specialmente.

E noi giovani democratici cristiani, ai quali fu fatto rimprovero di trascurare per le cose civili e sociali la religione, noi sentiamo più vivo che tutti gli altri, lo affermo per la Chiesa, per tutte le tradizioni cattoliche italiane, per tutto quello che amiamo e cerchiamo, questo bisogno e desiderio vivo di Cristianesimo; e l'anima nostra riflette con un'eco di piacere o di dolore tutto ciò che gli uomini fanno o per esso o contro di esso, ogni bestemmia ed ogni benedizione, ogni appello ed ogni rifiuto iroso.

Ebbene, anche qui, eredi di diciotto secoli di storia or buona or cattiva, noi chiediamo pel Cattolicesimo e per la Chiesa, nella vita pubblica, una grande liberazione. Cose divine, il Vangelo e la società di credenti, esse non hanno tuttavia potuto traversare impunemente un così lungo corso di consorzii e di attività umane intorno ad esse; uguali sempre a sé medesime, liberatrici provvide di chiunque ne avvicinasse e gustasse l'ultima sostanza, esse soffrono, dentro di noi e nei nostri mutevoli istituti e costumi umani, di quello che noi abbiamo aggiunto e sostituito in parte ad esse e poi adorato e venerato, quasi fosse uno con esse; costumanze semipagane riverniciate, concezioni giuridiche attinte al diritto romano, idee filosofiche e teologiche elaborate nelle nostre scuole, istituti monastici degeneranti fatalmente nel tempo e incapaci di ringiovanire, sistemi, vedute e simpatie politiche, vantaggi e privilegi umani che ci sono cari e ai quali ci è difficile rinunziare, sedimenti invecchiati e ingombranti di vecchi sistemi e di vecchie elaborazioni sociali, osservanze esteriori buone e importanti solo quando le anima un intimo spirito di verità e di bontà, illusioni che coprivano l'ignoto dell'ala del soprannaturale, categorie astratte fredde e uccidenti come la lettera della legge, bagaglio di innumerevoli ingombri. Torniamo al Vangelo. Liberiamo, liberiamo il Cristianesimo, nascosto quasi e coperto nella vita del nostro popolo, restituiamolo a se stesso ed a noi, nella divina bellezza dei suoi lineamenti, nell'alito caldo del suo puro fuoco spirituale! Quanto gli uomini e noi stessi saremo sorpresi di riconoscerlo quale ci apparve talora nei più puri e felici momenti della nostra vita interiore, e con che impeto nuovo non sapremo amarlo e applicarlo!

Così, di sotto agli stucchi e ai mattoni dei quali l'insipiente e goffa arte del Settecento l'aveva ricoperto, riappare lentamente, nella purissima armonia delle sue linee antiche, un tempio eretto con fede d'arte nel Trecento; e qualche Madonna di Giotto sorride lietamente di fra i graffi e le scalcinature, in mezzo al lievissimo slancio d'un gentile tabernacolo gotico.

Voi intendete, o amici, che da questo desiderio vivo di liberazione, che pone il Cristianesimo in una singolare e nuovissima condizione, nascono atteggiamenti di esso speciali dinnanzi ai grandi problemi e alle grandi forze sociali d'oggi. Agonizza e muore sotto ai nostri occhi l'alleanza della Chiesa con gli interessi conservatori delle classi politiche governanti, la quale contrassegna la storia politica del Cattolicesimo nel secolo scorso. Cadono le prevenzioni esageratamente ostili agli studi dei quali il Cristianesimo, le sue origini, la sua storia, i suoi dogmi sono stati oggetto presso grandi scuole scientifiche non cattoliche, e in luogo della polemica di difesa del dogma vediamo svilupparsi nelle nostre scuole di teologia un lavoro di critica interna sulle fonti della rivelazione e sulle manifestazioni concrete di questa, una più acuta penetrazione della nostra storia, una revisione accurata di tutte le nostre dottrine, nell'intento di meglio conoscere la verità rivelata e di districare nettamente il dogma e a teologia dalle scienze positive, una ricerca affannosa di nuovi metodi.

E per tutto, o amici, se guardate, è un agitarsi del Cattolicesimo, un risalire alla vita, un immischiarsi nelle faccende del tempo, un muoversi lieto e lecito, come risveglio d'un bosco a primavera.
Sale e suona percuotendo il piccone demolitore dei vecchi stucchi e delle fasciature di mattone intorno alle agili colonne granitiche del tempio antico: tornano alla luce le bifore sottili, le leggiadre decorazioni, le immagini pie arridenti con tanta grazia soave di pietà e di contemplazione devota.

Fuori di metafora: la critica interna delle nostre cose scorre più vigorosa, per opera del Tyrrel, dell'Ehrhard, del Mignot, in Inghilterra, in Germania e in Francia: gli studii biblici si rinnovano: il Cristianesimo antico è studiato per ogni sua parte: la storia del Cattolicesimo è esaminata con rigidi criterii positivi: gli studii del clero si riformano e completano: la letteratura francescana ci porta una ondata freschissima di Cristianesimo e di Democrazia; le vecchie alleanze politiche cadono; e nella febbre del lavoro, nell'impazienza degli ostacoli, nello svolgersi di tanto lavoro nuovo, è un chiedere generale di libertà, luce e moto ai torpidi muscoli che sentono rifluire la vita e chiedono l'aperto.

E sono libertà salutari, o amici, delle quali anche in Italia incominciamo a servirci animosamente, sotto il sapiente magistero della Chiesa e pronti" a rimetterci ad essa in ogni questione o difficoltà che sorgesse: libertà dal valido uso delle quali tanto si ripromettono tutti coloro i quali hanno esaminato e compreso le infelici condizioni del sapere ecclesiastico e del pensiero religioso in Italia, e il terribile danno della diffusione rapida d'una cultura moderna che non ha in sé le impronte vive del Cristianesimo e che pretende anzi condannarlo in nome della scienza e del sapere positivo.

Ma anche qui l'uso della libertà ha spaventato una vasta cerchia di persone: e parecchi timidi amici della verità davano a noi il consiglio di non aumentarci troppo i nemici unendo insieme cose diverse e di occuparci di questioni sociali, mettendo da parte accuratamente le bibliche e apologetiche e filosofiche.
No, noi non possiamo farlo. Staccato dal resto, da tutto questo moto fecondo che affatica oggi il pensiero cristiano, il movimento sociale arenerebbe in sterili sforzi o diverrebbe cosa sì piccola da non valere la pena che il clero se ne occupasse con tanto amore. Anche per la Democrazia Cristiana il Cristianesimo non è solo il punto di partenza, ma altresì, in qualche modo, il punto di arrivo: anche per essa, anzi principalmente per essa, quel che più importa è di conoscere la posizione presente del Cristianesimo di fronte all'attività umana e di modificare quella posizione. Forse le parole con le quali ci hanno distinti non lo spiegano chiaro benché sia certo che lo dicano abbastanza, ma la cosa sta: noi democratici cristiani siamo militi del Cristianesimo in tutte le lotte che esso sostiene: noi abbiamo bisogno, innanzitutto, di provocare una ondata fresca e sana di Cristianesimo nel pensiero e nella attività civile del popolo nostro.

Anche oggi alcuni, forse anche di voi, avrebbero preferito che io mi occupassi solo di cose economiche e sociali: di sindacati e di cooperazione, di ore di lavoro e d'insegnamento professionale, di gruppi e di propaganda democratica cristiana.
Io sono dolente di dover disilludere questi tali. Il primo problema in Italia non è, almeno non è più, ora, il problema delle condizioni dei lavoratori. Altri ve ne sono, più urgenti almeno per questo, che il loro scioglimento è pregiudiziale allo scioglimento di esso. Prescindendo da quelli che abbiamo comuni con tutti i partiti in Italia, e sono molti e gravi, come quelli dell'istruzione, delle riforme amministrative, dell'organizzazione del suffragio, chi si ponga questa domanda: in qual modo è possibile in Italia profittare delle numerose forze latenti del Cattolicesimo per organizzarle e condurle nella vita pubblica, prima che esse vadano lentamente disperdendosi, egli si troverà innanzi un problema di giovinezza e di libertà.

Idee, programmi, attività giovanili o son pronte o si formerebbero presto: ma aduggia, ombra spaventosa, il campo l'intolleranza conservatrice, e lo empiono gli ostacoli frapposti all'azione nuova e non ancora rimossi.
E, dite amici, il giorno in cui, organizzate e spinte al lavoro con alacrità meravigliosa schiere di propagandisti democratici cristiani in tutta Italia e mentre i frutti del nostro lavoro erano e promettevano di esser tanti, che fu che ci arrestò sul meglio se non un problema di libertà?
Per questo io credo dovere urgente dei giovani cattolici italiani e mio, occuparci con studio diligente delle condizioni fatte al nostro lavoro in Italia dallo stato presente degli animi e delle cose, e dei modi di preparare e di assicurare alle attività giovanili rivelatesi e così faticosamente compresse un sufficiente terreno di azione. Ed in questo studio, o amici, tutti i problemi che riguardano il Cristianesimo e la Democrazia si fondono e tutti meritano la nostra attenzione: trascurarli e precludersi le vie dell'avvenire è lo stesso.

Egualmente, se pel lato che prospetta il passato noi vogliamo quasi una liberazione del Cristianesimo vissuto dalle soprastrutture che ne nascondono i divini lineamenti, anche nel lato che guarda verso l'avvenire le rivendicazioni del Cattolicesimo sono rivendicazioni di libertà. Il concetto ideale di uno Stato e di una Chiesa uniti in perfetto accordo, l'idea del braccio secolare, d'una tolleranza sospettosa, se non d'una soppressione violenta e sanguinosa dell'errore cui attenda lo Stato nel nome della Chiesa e di Cristo, conserva tutto il suo valore oggettivo, ma non fa al caso nostro. Gli Stati e Governi d'oggi non sono stati governi di tutela, ma di libertà: il popolo, dal quale emana direttamente il potere, per l'elezione dei suoi rappresentanti, non può reggersi a libertà che profittano di ogni energia giovane e nuova di pensiero, sospettata sempre ed avversata un giorno dai sovrani dal diritto divino. Se la Chiesa e il Cattolicesimo non sapessero accomodarsi a un regime di libertà e di fiorente democrazia sarebbe finito per essi; invece vi ripigliano nuove forze e vi prosperano.

Noi cattolici invochiamo quindi, oggi, dallo Stato la libertà: e siamo anche pronti a cedere il primo articolo dello Statuto, un articolo abrogato e abolito di fatto, per un altro che dicesse: "i cattolici possono, senza altre restrizioni che quelle del diritto comune, esercitare il loro culto, riunirsi in associazioni, possedere, fare dimostrazioni religiose, educare cristianamente i loro figlioli, amministrare i proprii beni e le proprie cose, diffondere ed insegnare le loro dottrine, lottare, come cittadini, pel trionfo delle loro idee".
E se lo Stato non ci accorda queste libertà, noi possiamo appellare al popolo ed ottenerle da esso, ma a un patto: al patto di essere sinceri nell'invocazione della libertà e nell'uso di questa. Guai o amici, se il giorno, verrà certamente, in cui per difenderci dalla politica antiecclesiastica di governi radicali avremo bisogno di appellare al popolo e alla libertà, il popolo giudicasse che il nostro appello non è sincero. Fatti recenti e presenti alla memoria di tutti son lì, ammonitori.

E quando o non si accetta o si accetta di malavoglia il terreno delle lotte civili fornitoci dalle leggi vigenti; quando si mostra disgusto degli istituti popolari e si adulano e lusingano le velleità reazionarie delle classi conservatrici; quando non si entra positivamente e volonterosamente nello spirito della democrazia, concorrendo ad ampliarne e svilupparne gli ordinamenti economici e civili, quando non si vive della vita e degli affetti del tempo, l'appello alla libertà, il giorno in cui dovesse aver luogo, non sarebbe ascoltato dal popolo e cadrebbe invano.

Vi pensi in tempo chi deve: chi, in Italia come in Francia ed altrove, mostra di non intendere i doveri presenti e le voci del Cristianesimo e della Chiesa.
Sarà utile al Cattolicesimo questo atteggiamento nuovo? Immensamente, o amici. Un soffio di Democrazia Cristiana, solo perché mostrava in noi cattolici una preoccupazione schietta e viva dei problemi del lavoro, ha rinnovato in meno di un anno tutta l'azione di parte nostra.
L'ora che corre, se sembra triste pel Cattolicesimo romano, è straordinariamente buona pel Cristianesimo: e voi sapete, o amici, che Cristianesimo e Cattolicesimo romano non sono distinguibili, essendo questo la pienezza di quello.

E il Cattolicesimo è, e riapparirà, la religione per eccellenza, la grande religione delle anime, della libertà e dell'amore, lo sforzo immanente delle società cristiane verso il possesso del bene e della giustizia, se lavorandovi intorno assiduamente, noi riusciremo a farlo conoscere al pensiero moderno quale è, a mostrare che il suo giogo è dolce, che esso non ha solo devozioni per le donne e pei volghi ma è l'adorazione perenne del Padre in spirito e verità. Dal Cristianesimo, così inteso e applicato, noi deriveremo l'alimento per la nostra democrazia. Io vi dicevo che la libertà è molto, ma non è tutto: condizione essenziale di vita e di progressi democratici, essa suppone una coscienza che guidi le attività divincolate, uno spinto di giustizia che splenda nel diritto nuovo, una virtù che dedichi le giovani forze mosse a usare di quel diritto e a difenderlo, e regga il loro lavoro per tramite d'oro della pace e della sapienza civile. Questa virtù, senza della quale la libertà, fatta fine a se stessa, perdendo fra le sottigliezze della ragione e gli impulsi della passione il senso del giusto e dell'equo, torna, per altra via, alla tirannide del numero e della forza, è per noi il Cristianesimo.

Per edificare, abbiamo bisogno di esso: esso ci distingue da ogni altro partito e ci assicura dell'esito.
Ed è singolare coincidenza, o amici, che il Cristianesimo, predicato da principio agli umili e ai puri di cuore, quando Gesù torceva l'occhio sdegnoso dai potenti del secolo come da cose che non lo riguardassero, perché aventi origine nella forza e nella violenza, dopo secoli oscuri di preistoria, fruttifichi nuove e meravigliose applicazioni sociali oggi che gli umili e i poveri salgono, come si è detto, alla ribalta della storia e che essi medesimi la democrazia chiama a compiere la giustizia nella società. Non vi pare la buona novella quasi un'altra « pienezza dei tempi? ».

Noi abbiamo in questi anni parlato sovente di Programma guelfo: nell'aprile scorso, amici delle vicine regioni del nord, e v'era anch'io, inneggiavano ad esso sulle memori rovine del castello di Canossa; oggi qui, dove non rovine ma istituti viventi, ai quali auguriamo perenne prosperità, ci ricordano le nostre glorie secolari, io risalgo col pensiero a quel programma. E forse qui sarà meglio inteso al lume non di memorie storiche ma di libere istituzioni civili e cristiane. Il nostro Programma guelfo non è confusione di Cristianesimo e di politica: esso non cerca l'esaltamento della Chiesa nella "umiliazione dello Stato moderno; né vuole compiacenti accordi dell'uno e dell'altra, inutile sogno; è un programma di libertà civili ed ecclesiastiche. Noi viviamo nello Stato e viviamo nella Chiesa: cittadini e cristiani, abbiamo oggi uno speciale motivo di invocare la libertà, la facoltà di muoverci, di volere, di fare. La società civile ci offre libertà vantaggiose e noi le accettiamo e le difenderemo, facendone il punto di partenza per la conquista di altre libertà ed autonomie: il Cristianesimo, non ad immischiarsi direttamente in faccende politiche, ma teso a rientrare in sé ed a raccogliere tutte le sue forze nello sviluppo del pensiero e del costume religioso, e noi aiuteremo questo felice rifiorire dello Spirito nel mondo, questo ritorno alle origini.

Ma noi osserviamo che Cristianesimo e civiltà hanno bisogno l'uno dell'altra e debbono, per divina missione, procedere uniti: la società civile deve garantire alla cristiana le sue libertà e questa avvivare della civile le opere, le speranze, le lotte.
Sudditi rispettosi dell'uno e dell'altro potere, noi svolgeremo nel campo, dell'uno e dell'altro la nostra attività, non soffrendo altri vincoli che quelli che la ragione di essere e l'autore dell'una e dell'altra ci impongono, ma questi accettando volentieri come norma del bene, non come ostacoli all'operare: con tanto di differenza fra l'uno e l'altro potere, che mentre l'ecclesiastico, per aiuto divino, nelle "sue supreme decisioni e nelle direzioni relìgiose non falla; il civile può essere detorto a tirannide ed oppressione e provocare le resistenze dei cittadini, legali e talora armate.

Questo programma di accordo fra civiltà e Cattolicesimo e di permeazione della vita sociale e dello Stato in nome di esso è il nostro Programma guelfo.
Noi lo indicammo spesso parlando di alleanza fra popolo e Chiesa: ma presidio del popolo che sale è la libertà, vita della Chiesa e sua forza il Cristianesimo rifiorente: noi possiamo quindi sostituire a quei due termini questi altri, meno concreti ma più eloquenti: Libertà e Cristianesimo.

E certo, o amici, col viatico di queste due grandi forze nell'animo, noi giovani democratici cristiani, nè paurosi delle difficoltà del compito, nè solleciti degli sforzi tenaci che si appuntano contro di noi, potremo lavorare e procedere uniti: sapendo come a noi tocca, con lo studio e con l'agitazione, dissipare i pregiudizii della cultura moderna, ravvivare nelle anime la fiamma della fede e del costume cristiano, e farci pensiero e nerbo d'una nuova organizzazione delle forze popolari democratiche, d'un nuovo partito che chiamando alla vita pubblica ed alle lotte civili energie sopite e latenti, le schieri a difesa della libertà, le spinga innanzi per le conquiste della democrazia nei nomi, con più cristiano e patriottico senso ricongiunti, di Roma e d'Italia.
Amici! Da due parti in Italia noi democratici cristiani siamo male giudicati: dai liberali e dagli anticattolici, che. ci rimproverano un passato del quale non assumiamo intiera l'eredità; e dai cattolici timidi che fanno della tradizione paurosa e restia il baluardo del loro Cattolicesimo.
Con uno sforzo lungo e faticoso noi abbiamo studiato l'età presente, ci siamo esercitati nella vita, abbiamo imparato; siamo pronti. Alla società civile diciamo: non diffidate di noi. Noi accettiamo sinceramente le libertà conquistate e i nostri diritti civili, pronti a difenderli, risoluti ad andare innanzi per la stessa via, educando forze popolari ai progressi della democrazia; cittadini d'Italia, noi concorreremo a fare l'Italia libera e grande. Alla Chiesa diciamo; noi abbiamo il nome e lo spirito del tuo Cristo nel cuore e nell'opera; l'anima dei nostri studi, delle nostre parole, dell'opera, delle associazioni nostre sarà il Cristianesimo. E primo frutto del Cristianesimo che noi riconduciamo nella società sarà restituire a te tutta la tua libertà.

E tu, o repubblica di S. Marino, sii testimonio: tu raccogli e serba per l'avvenire il ricordo di un giorno nel quale la gioventù italiana, raccogliendo in un programma solo i due grandi ideali che soli e sempre nell'umanità hanno avuto de' martiri, la Libertà e il Cristianesimo, mossero di quassù alla spirituale conquista della patria e della vita.