Un ruolo ai cattolici nel nuovo paesaggio politico dopo Todi

Pierluigi Castagnetti

da Camaldoli 15 dicembre 2011

E vabbè, riparliamo di Todi. È vero che l’Italia ha altri temi che urgono, ma in controluce si intuisce, ad esempio, che dietro il governo Monti può mettersi in moto una qualche forma di aggiustamento se non di riorganizzazione del paesaggio politico in cui i cattolici potrebbero avere qualche ruolo. Per cui parliamone.

Todi è assunto come metafora di questa possibilità. Si elencano i ministri che sono passati da là, accadrà la stessa cosa quando conosceremo i sottosegretari, si organizzano convegni apparentemente per capire sostanzialmente per influire sul dopo Todi, come è accaduto due giorni fa dalle parti dell’ Udc e del Terzo polo.

Mi sbaglierò ma penso che se si vuole strappare in tempi troppo rapidi Todi dal “prepolitico”, dove l’ha collocato con chiarezza il cardinale Bagnasco, per trascinarlo nel politico, si commette un grave errore. Precisiamo allora. Nel governo Monti è vero che ci sono alcuni relatori di Todi, che peraltro sono stati scelti per la loro competenza e non per la loro appartenenza.

Forzare questo dato significa ferire la verità e creare difficoltà al governo e a quei ministri in particolare. Non deve sorprendere, per ragioni storiche oggettive (che abbiamo ricordato proprio nei giorni scorsi, durante la mostra “Quando si faceva l’Italia” che ha ricordato il contributo della Democrazia cristiana alla costruzione dell’unità e unificazione del paese), che un governo che si propone un grande sforzo per uscire da una crisi economica straordinaria e per riprodurre coesione sociale, si sia rivolto alle eccellenze del paese e in particolare a quelle persone competenti che hanno nel loro dna una concezione della politica inclusiva e non divisiva, come è sicuramente, ma non esclusivamente, per i credenti.

Ma torniamo a Todi. La fretta di qualche zelante protagonista di quell’evento contribuisce oggettivamente a evidenziarne alcune ambivalenze, che vorrei richiamare senza alcuno spirito polemico, quali la già citata ambiguità fra pre-politico e politico, la non piena rappresentatività della ricchezza del mondo cattolico italiano, la discutibile esclusione dei credenti già impegnati in politica, come se fosse possibile per i cattolici italiani partire da un punto zero. C’è un simpatico aneddoto irlandese: «scusi signore, partendo da qui qual è la strada per andare a Dublino?», «per andare a Dublino non mi sembra che sia la cosa migliore partire da qui».

Ma, soprattutto, c’è un limite che sembra aver determinato l’esclusione pregiudiziale di una parte dei cattolici, cioè quella “progressista” perché, si è detto, visto che la maggior parte degli elettori credenti si colloca nell’area moderata del centrodestra noi dobbiamo seguirla.

È senz’altro fuori discussione che l’orientamento elettorale dei cattolici sia prevalentemente quello, lo è sempre stato, ma ciò non può rappresentare la ragione per cui un nuovo protagonismo politico debba semplicemente fotografare una tale propensione elettorale. Se si fossero mossi con questo spirito, né Sturzo né De Gasperi avrebbero dato vita a un movimento politico ispirato ai principi del cristianesimo, ma si sarebbero limitati a costituire un partito semplicemente moderato.

Nella Democrazia cristiana neppure la parte più conservatrice, quella rappresentata dalla corrente dorotea, ha mai pensato di seguire semplicemente le pulsioni e le propensioni della cosiddetta base.

Il “profondo nord est” era tale anche cinquanta anni fa ma, diversamente dalla Lega di oggi, i vari Rumor, Piccoli e Bisaglia, non seguivano gli umori elettorali, ma cercavano di trasformarli in intelligenza politica. I capi non seguono, ma guidano. E queste personalità non trovavano disdicevole, anzi!, convivere e collaborare in un partito con le forze progressiste della sinistra Dc, a cui spesso riconoscevano una maggiore intelligenza della storia. Che l’elettorato cattolico sia tendenzialmente, ma non esclusivamente, moderato (basta leggere i sondaggi elettorali che dicono che una buona parte di cattolici da tempo vota i partiti della sinistra riformista) ripeto, non è dunque in discussione, ma ciò non dovrebbe impedire a un laicato cattolico che annuncia l’impegno a rimettersi in cammino di dilatare le sue prospettive e soprattutto la sua rappresentanza.

Sabato 19 e domenica 20 alla Domus Pacis si sono riuniti altri credenti che si stanno a loro volta “mettendo in rete”, non gli anti-Todi, ma quelli che da molto tempo coltivano una certa frequentazione con la realtà e le difficoltà delle scelte della politica, credenti non meno di altri, fedeli alla Chiesa non meno di altri, e nello stesso tempo fedeli alla responsabilità dell’autonomia nei termini sorprendentemente ma felicemente illustrati da Francesco D’Agostino nell’editoriale apparso ieri su Avvenire quando cerca di definire l’etichetta dei cosiddetti «cattolici adulti».

Sia chiaro, alla Domus Pacis nessuno si è definito in questo modo e nessuno ha polemizzato con Todi, anzi, se si leggessero le relazioni dei professori Guido Formigoni e Michele Nicoletti si coglierebbe la ricchezza di chi di fatto sente di dover andare oltre Todi, ma non contro Todi cioè, di misurarsi con le sfide concrete e terribili che la realtà pone oggi alla politica e, dunque, anche ai politici cattolici.

In questo senso si può dire che se, per scelta propria, Todi rappresenta solo una parte dell’universo cattolico italiano di oggi e se l’impegno indicato da Natale Forlani di voler continuare il cammino poiché «Todi è stato solo l’antipasto », c’è da augurarsi che il resto del tragitto delle “tante Todi” che animano il dibattito intra e para ecclesiale di oggi realizzi un di più di apertura e inclusione di tutti, verso tutti.