L’attualità di quell’11 Ottobre

Emozioni, speranze, cambiamenti, a 50 anni dall’apertura del Concilio



Intervista a Giorgio Campanini, a cura di Maria Cecilia Scaffardi

da Vita Nuova (PR) – 12 Ottobre 2012

Professor Campanini, siamo a 50 anni dal Concilio, che tra le altre novità ha “aperto le porte ai laici” Come è cambiato, da allora, il suo impegno di laico credente?

Per me, come (credo) per tutta la mia generazione, il Concilio ha rappresentato uno “spartiacque”: non come radicale mutamento di prospettiva ma nel senso di un trasferimento a tutto il complesso della Chiesa (o forse soltanto, almeno allora, ad alcune sue componenti) di posizioni, e di intuizioni, che prima appartenevano soltanto ad un’élite. Come molti altri giovani di allora, avevo fortemente patito le “chiusure” degli ultimi anni del pontificato di Pio XII: non tanto a Parma, ove pure non si respirava un’aria particolarmente salubre (ricordo spesso che a vent’anni, volendo accostarmi al testo greco dei Vangeli, come giovane universitario, dovetti chiedere un particolare permesso al cancelliere, Mons. Argo Cavazzini, che sorridendo mi incoraggiò...) quanto a Roma, allora Gioventù di Azione cattolica (la “mitica” GIAC) come Dirigente nazionale Seniores, all’indomani del “caso Rossi”, constatando con mano le chiusure e le incertezze di una Chiesa che cercava di chiudere porte e finestre per ripararsi dal “vento nuovo” che proveniva soprattutto dalla teologia francese, alla quale ero stato introdotto lavorando alla mia seconda su Emmanuel Mounier... Per me il Concilio non fu dunque una novità, ma piuttosto una conferma.

Lei ha dedicato molti studi al tema del laicato, chiamato a vivere - secondo l’indicazione del Concilio - non nelle sagrestie ma nel mondo... Come vede oggi il ruolo dei laici rispetto alle aspettative, ma anche richieste, della Chiesa?

Il mio rapporto con la teologia, e specificamente con la teologia del laicato, è singolare e forse pressoché unico in Italia. All’indomani della seconda laurea (in filosofia, dopo quella in lettere), nel 1955, avrei voluto dedicarmi agli studi teologici: ma dovetti ben presto arrendermi perché sarei dovuto andare a Roma e, nientemeno, studiare qualcosa come nove anni, in quanto le due lauree civili non venivano allora considerate in alcun modo per chi non fosse presbitero e dunque sarei dovuto entrare in quelle facoltà come “matricola’... Continuai a studiare per conto mio teologia e, molti anni dopo, venni chiamato ad insegnare “Teologia del laicato” alla Pontificia Università Lateranense ed Etica sociale e Dottrina sociale della Chiesa nella neonata facoltà di teologia di Lugano: alla fine ho nel mio curriculum numerosi volumi di teologia ed una ventina di voci di dizionari teologici, da “Giustizia” a “Pudore’; da “matrimonio” a “Famiglia” ... Finalmente il laicato si sta aprendo alla teologia e questa certamente ne guadagnerà.

Muoverà anche di qui una rinnovata consapevolezza del ruolo dei laici nella Chiesa, come coloro che portano nella Chiesa i problemi del mondo e li illuminano alla luce di un messaggio cristiano riproposto nella sua integralità, a partire dal riconoscimento conciliare della profonda unità del “popolo di Dio”; e cioè di un corpo in cui esistono vocazioni e carismi diversi ma in cui sugli elementi di diversità fanno premio quelli di unità, a partire dal comune: riferimento al Battesimo.

Quell’11 Ottobre in cui si aprì il Concilio, se non ricordiamo male, Lei era a Roma. Che cosa ricorda di quel giorno e dell’atmosfera che si respirava nella capitale della cristianità?

Non dimenticherò mai quel giorno perché, per una singolare coincidenza, quello era anche il giorno del mio compleanno (il 32º).

Le parole di Giovanni XXIII, lo spettacolo del lungo corteo dei Cardinali, l’immensa folla attenta e plaudente resteranno per sempre nella mia memoria. Vedevo finalmente una Chiesa che si apriva al mondo e che si avviava a quell’incontro con la modernità - senza cedimenti allo spirito del mondo, ma guardando con simpatia al cammino dell’umanità che sarebbe stato il filo conduttore di tutto il lavoro e poi dei vari documenti del Concilio.

Potei seguire i lavori del Concilio, ovviamente, soltanto come osservatore esterno, grazie soprattutto alle cronache dell’Avvenire d’Italia di Raniero La Valle, ma anche dal particolare osservatorio rappresentato dall’Azione Cattolica, allora in via di profondo rinnovamento. Nei margini di libertà lasciatimi dal mio lavoro di allora, quello di funzionario della Camera dei Deputati, potei partecipare a numerosi incontri nelle sale di via della Conciliazione nei quali attivamente operava per il rinnovamento Vittorio Bachelet, che nel 1959 era stato nominato Vicepresidente generale. L’Azione cattolica di quegli anni, con la quale a lungo collaborai, rappresentò in Italia la punta di diamante per la recezione del Concilio Vaticano II.

A 50 anni dl distanza da quell’avvenimento, quale ritiene sia il lascito maggiore dei Concilio? E quanto, invece, deve essere ancora pienamente realizzato?

Il Concilio ha liberato la Chiesa dalla tentazione di porre li mondo al proprio servizio (sia pure con le migliori intenzioni) e le ha insegnato che è essa a doversi porre a servizio del mondo se vuole essere fedele al piano di Dio sull’uomo e sulla storia; e ciò non per banale conformismo ma a partire dalla consapevolezza che è il mondo ciò per cui Cristo si è sacrificato e per il quale ha dato una vita posta tutta nell’ottica del servizio. Si tratta di una verità antica, che nel corso della storia, tuttavia, si era un poco smarrita. Attorno a questa fondamentale verità si colloca il grande tema del “dialogo” con il mondo, volto a mettere in evidenza il positivo che è nella storia prima ed ancor più di del negativo, che pure è presente, e dal quale occorre sapere criticamente prendere le distanze. In questa prospettiva si collocano il dialogo con i credenti in altre religioni, l’apertura a tutti gli uomini di buona volontà, l’impegno a superare le persistenti divisioni fra i cristiani, e così via. È un programma di lungo periodo che solo in parte si è realizzato (cinquant’anni sono poca cosa nel bimillenario cammino della Chiesa...): basti pensare, per segnalare soltanto alcuni problemi, all’insufficiente valorizzazione del laicato, alla marginalità della presenza femminile alle difficoltà che si incontrano nel realizzare una comunità autenticamente povera e, conseguentemente, pienamente fedele al messaggio evangelico. La strada è iniziata, ma il cammino è ancora lungo...

Il Concilio, in particolare con la “Gaudium et Spes”; ha messo a tema il rapporto Chiesa-mondo. Che cosa è cambiato rispetto a cinquant’anni fa? Come vede questo rapporto, oggi?

Nonostante le resistenze frapposte da una cultura laica e talora acidamente anticlericale, e sebbene il Cristianesimo continui ad essere numericamente minoritario nel mondo, la nuova ed insieme antica immagine di Chiesa che il Vaticano II ha proposto - liberandola da talune rughe del passato - si sta, sia pure faticosamente, affermando. Occorrerà tuttavia abbandonare definitivamente tanto l’idea di una “cristianità” egemonizzata dalla Chiesa quanto quella di un’umanità irrimediabilmente alla deriva: Dio continua ad operare nella storia per vie che sfuggono alle lenti della sociologia e, ancor più, delle statistiche religiose. Il male ancora, e sarà sempre, presente nella storia, ma essa cammina, talora senza saperlo, verso la sua pienezza: Dio è là, e l’attende... È questo l’“ottimismo tragico” (quasi un ossimoro!) del mio ideale maestro, Mounier.

Siamo entrati nell’Anno fede. Quali sono, a suo parere, le “urgenze” che interpellano la Chiesa oggi?

Il documento con il quale il Papa ha indetto 1’“anno della fede” è intitolato Porta fidei, la porta della fede. Ebbene, porta ha una duplice funzione, quella dell’“uscita” e quella dell’“entrata”.

Occorre che la fede si apra al mondo ed il mondo alla fede ed i cristiani sono coloro che varcando quella a soglia portano sulle loro spalle questo zaino, e lo portano indietro più ricco e più pesante... Perché questo arricchimento avvenga occorrerà lavorare molto. Fra i campi che con maggiore cura dovranno essere arati vi è quello, fondamentale, della famiglia, quale del resto, non a caso, ho dedicato non poche energie.

Forse il mio ultimo libro saranno gli Scritti coniugali (redatti “a due mani” con la mia indimenticabile consorte, Gianna Agostinucci) che stanno per apparire presso l’Editrice AVE di Roma, nei quali si propone con forza l’ideale della piccola ed umile santità della famiglia. Passeranno in larga misura proprio da qui le “nuove” (perché il Cristianesimo è sempre novità di vita) vie della fede. Ho riletto con profonda emozione quelle pagine, tutt’altro che ingiallite, e vorrei consegnarle alle nuove generazioni come piccola testimonianza dell’irripetibile stagione conciliare.


Vedi Dossier: Concilio Vaticano II