Cattolici, tra amarcord e irrealtà

Nino Labate

da Europa - Commenti - 27 luglio 2012

Dove sta scritto che i cattolici impegnati in politica devono stare divisi? Su questa domanda si è organizzato l’anno scorso “Todi 1”. Siamo ora in attesa di “Todi 2”, irresponsabili elezioni anticipate permettendo. Il tema, data la qualità delle associazioni che lo hanno preso a cuore, non va preso sottogamba. Specie in tempi di antipolitica e di populismo dilaganti. Sostenuto con interventi autorevoli si avverte in filigrana, ma non tanto, il desiderio di organizzare una nuova unità politica dei cattolici italiani. Desiderio legittimo, su una necessità per molti inesistente. Il dubbio è che andrebbe infatti collocato nella terribile crisi economica che viviamo. Se si fa questo sforzo, non si evita l’impressione che questi appuntamenti rischiano di procedere tra amarcord e irrealtà.
L’amarcord riguarda l’unità politica del passato. Prende a riferimento l’esperienza di De Gasperi, posizionata storicamente e dunque irripetibile. E paragona il Codice di Camaldoli del 1943 col Manifesto del secondo Forum del 2012 e, forse Dossetti a Giovanardi, La Pira a Renzi, ecc. L’irrealtà riguarda il non porsi l’interrogativo su chi erano i cattolici nel dopoguerra italiano ancora rurale e affamato, ma con prospettive di lavoro a vita. E chi sono oggi i “cattolici postindustriali” nati nella ricostruzione e nel benessere del miracolo economico, ma con il 36% dei loro figli disoccupati, e l’80% di quelli che lavorano con contratto di lavoro a tempo determinato. Cosicché accantonata l’invocazione “lavoro, lavoro, lavoro” della Cei, il lavoro precario diventa il contraltare della famiglia precaria: soprattutto di madri e padri. Affiora anche una certa precipitazione.
Quella di rivolgersi alla borghesia italiana ormai scomparsa, o, peggio, a un ceto medio in drammatica discesa, definendo moderato questo bacino elettorale a cui in definitiva si guarda. Un bacino di diseguaglianze, composto da quel 10% delle famiglie italiane che si divide la metà della ricchezza nazionale, e dal 90% che si divide l’altra metà di cui un 25% sotto la soglia di povertà. In altri termini, e ammesso che di partito si tratti, non si è capito verso chi si vorrebbe indirizzare l’offerta politica (cattolica), e dove la si vuole collocare negli spazi già occupati della stanca triade: destra, centro, sinistra.
Ricordo che era buona abitudine nei vecchi congressi Dc, partire dalla lettura dei dati di realtà sociale, di cui rimane esempio di scuola il prologo della relazione di De Gasperi al V congresso di Napoli: “Analisi della base elettorale”, “Importanza decisiva dei ceti medi”. Dico questo perché credo che i promotori corrano il rischio di lavorare nel vuoto sociologico e culturale, e su convincimenti personali.
Scommettendo sulla molto probabile scomposizione- ricomposizione dei partiti, grillini compresi, e sul numero di iscritti delle importanti associazioni che partecipano al Forum. Ma facendo nello stesso tempo l’errore di non confrontarsi con le diverse anime del cattolicesimo italiano, come suggerisce Massimo Faggioli su questo giornale. Non sappiamo infatti se la ritrovata unità vuole ispirarsi alla dottrina sociale della Chiesa praticando un cattolicesimo sociale. Se vuole seguire la gerarchia con un cattolicesimo intransigente e clerico-moderato, che guarda al passato; oppure un cattolicesimo democratico e popolare riformista che guarda al futuro. Non escludendo il mantra catto-comunista ancora oggi evocato da chi vive sul famoso isolotto giapponese.
Oppure ancora se vuole scimmiottare il populismo conservatore dei repubblicani tea party Usa, o la destra xenofoba europea dei lefebvriani, o l’ateo-devotismo nostrano. Insomma ignoriamo l’identità di questo desiderio. Non dimenticando che nell’ultimo ventennio abbiamo incontrato, oltre al “cattolicesimo berlusconiano” – oggi presidenzialista – e quello federalista pagano, anche un cattolicesimo neo-liberista fondato su un individualismo spinto, addolcito dall’aggettivo metodologico.
Una scuola di pensiero, quest’ultima, con molti fan cattolici, che disdegna il Noi collettivo e comunitario, il gruppo sociale, l’aggregato, che non vuole sentire parlare di stato e partito politico. E privilegia l’Io solitario, artefice con la sua libera e autonoma azione, della storia dell’uomo e della società. Caso mai munendosi di armi, il cui possesso deve essere liberalizzato per difendere la proprietà privata! Siamo come si vede nell’ultra relativismo.
Se poi tale offerta si vuole indirizzare al cattolico praticante, la faccenda si complica ulteriormente. Dal lato più squisitamente religioso, ci sono alcune recenti ricerche qualitative sul fedele dei nostri giorni che suggeriscono cautela.
È buona norma dunque tener conto che sin dalle origini sturziane, ma soprattutto dopo la Costituzione e con più forza dopo il Concilio, esistono sin dentro il parlamento cattolici e cattolici. E sarebbe bene che Todi ne tenesse conto. Tutto allora sta a capire se nei retro pensieri c’è un partito politico, oppure con molta più saggezza e lungimiranza, se si vuole avviare un costante confronto di idee tra le diverse famiglie del cattolicesimo storico (politico e culturale) italiano, per poi dialogare tutti insieme con la Chiesa in piena e responsabile autonomia.
Quando il Papa 4 anni fa invitava da Cagliari i cattolici a “ ...fare emergere una nuova generazione di laici in grado di rinnovare la politica, l’economia, ... e l’etica pubblica”, aveva certamente in testa il degrado morale dei vertici della classe di governo di quel momento. Ma a tutto pensava tranne alla nuova unità politica dei cattolici italiani come dopo ha chiarito Bagnasco, proprio a Todi 1, invitando allo sforzo formativo ed educativo prepolitico. Oggi di grande e irrinunciabile attualità per poter “pensare politicamente” ancor prima di “agire politicamente”.